Percorso

“Banditi a Orgosolo”, cinquant’anni di un capolavoro

SPECIALE DE SETA
E’ passato mezzo secolo dal grande film girato da De Seta, eppure la tenerezza e la poesia della pellicola sono rimaste intatte. Abbiamo chiesto a Giovanni Columbu, Marcello Fois, Ignazio Figus, Giuseppe Pilleri, Paolo De Angelis, Felice Tiragallo, Daniele Atzeni e Bastiana Madau il senso di tanta bellezza e  modernità. Ecco cosa ci hanno risposto. di A. Salaris, Me. Tiragallo, A. Floris e S. Pinna
 
''Banditi a Orgosolo''SPECIALE DE SETA:
 
A distanza di cinquant’ anni dalla sua uscita (1961), “Banditi a Orgosolo” è considerato, nel contesto del cinema europeo e più in generale mondiale, un’opera classica ovvero un film ampiamente apprezzato che è diventato punto di riferimento per generazioni di cineasti e, a distanza di decenni, mantiene la sua forza espressiva e comunicativa. Un film importante dunque, tanto più per la Sardegna in quanto, come notava Goffredo Fofi in un articolo di qualche anno fa, Vittorio De Seta ha capito l’isola prima e meglio di tutti gli altri cineasti che l’hanno raccontata. Il film alla sua uscita ha avuto un grande successo di critica a livello mondiale e in Sardegna è stato accolto con atteggiamenti contrastanti: da un lato chi riteneva che il film fosse una forma di sostegno al banditismo barbaricino e quindi in qualche modo un’apologia di reato; dall’altro chi notava il modo nuovo di osservare la nostra storia, con rispetto e partecipazione emotiva.
E’ importante  e perché “Banditi a Orgosolo”?
Qual è la sua  rilevanza  nel contesto sardo e in quello cinematografico?
Si può parlare  ancora oggi di attualità di “Banditi a Orgosolo”?
E’ presente e in che modo nel cinema sardo l’eredità di De Seta?
Sono queste le quattro domande  rivolte da Arianna Salaris, Maria Elena Tiragallo, Antioco Floris e Salvatore Pinna  a chi lavora nel cinema  in Sardegna, a  scrittori, critici,  esperti, per  raccontare l’eredità  lasciata dal  film “Banditi a Orgosolo”. Ecco le risposte

Giovanni ColumbuGiovanni Columbu, regista
“Banditi a Orgosolo” è importante perché è bello, perché la Sardegna compare finalmente vera, riconoscibile ai sardi e tale da suscitare per le sue vicissitudini l'immedesimazione del pubblico universale, perché reagisce e si distacca dalle rappresentazioni stereotipate e caricaturali della Sardegna, perché confida in attori reclutati localmente, non-attori che recitano in modo ammirevole un mondo e delle storie che sono in loro, perché introduce un modello produttivo avventuroso, affidato a un'estrema economia dei mezzi e delle professionalità, l' economia più consona a non forzare la messa in scena e minimizzare ogni artificio recitativo, perché il linguaggio è asciutto, perché sulle parole prevalgono le immagini e i silenzi, perché è stato girato in sardo e poi doppiato in un italiano privo di coloriture regionali, perché il doppiaggio impersonale e atono e in un certo senso astratto ha il valore di una didascalia sonora che lasciando vivere e parlare i volti, la mimica e la gestualità, lascia anche intuire allo spettatore l'identità linguistica dei personaggi. A riprova della validità di quel doppiaggio che potrebbe oggi apparire inadeguato alle soluzioni produttive e stilistiche del film, posso dire che più volte mi è capitato di incontrare qualcuno che ricorda “Banditi a Orgosolo” come un film parlato in sardo. Infine, un altro motivo di rilievo del film che mi sembra vada sottolineato è che il suo autore non è sardo e per questo testimonia  l'irrilevanza dell'identità anagrafica rispetto alla sensibilità e al talento degli autori.
Sapendo di esprimere un paradosso potremmo sostenere che “Banditi a Orgosolo” è ancora più attuale oggi di quanto non fosse cinquant'anni fa. Allora la rappresentazione di un mondo sofferente, oppresso dall'ingiustizia, isolato e quasi residuale, prossimo a essere travolto da inarrestabili sconvolgimenti generali, sembrava doversi ricondurre espressamente alle zone interne della Sardegna, isolate, lontane e quasi irreali, ma tuttavia ben identificate e circoscritte. Allora la rappresentazione e la denuncia si inscrivevano in una dimensione sociale e antropologica. Il film lo dichiarava in apertura e questo lo avvalorava e forse al tempo stesso prospettava un limite.
''Banditi a Orgosolo''Ora il film si offre a percezioni e letture diverse. Mantiene il carattere di documento, certifica luoghi e trascorsi storici, mostra con le sue obiettive e inesorabili immagini cose che sono accadute e state realmente, e tuttavia diventa sogno e fiaba terribile. Estinguendo i propri caratteri contingenti il film assume il valore di una metafora più vasta, ancora più vera e attuale: si proietta sull'intero universo umano, diversamente ma non meno sofferente e lacerato, insidiato e oppresso dall'ingiustizia, ancora una volta isolato e residuale nelle sue parti ora soverchiate da globali e oscuri sconvolgimenti.
De Seta rivive clamorosamente nella stagione più recente della cinematografia sarda. Il ricorso ad attori non professionisti, gli stilemi del documentario ripresi nella narrazione a soggetto, la flessibilità dei progetti riadattati sul campo, l'attenzione al vitale e indominabile divenire della messa in scena, tutti fattori ricorrenti nel fare cinema oggi in Sardegna, testimoniano la felicità e la forza della visione del cinema che De Seta ha più volte sostenuto ed espresso con “Banditi a Orgosolo” e in tutti i suoi bellissimi film. Credo che il cammino intrapreso da De Seta non solo possa essere ripercorso ma si offra a nuove esplorazioni e possa dare frutti straordinari e rendere possibili nuove entusiasmanti scoperte. Il vasto campo di ricerca che trovo più appassionante e che sento avere le sue più profonde radici nell'esperienza fatta da De Seta riguarda la possibilità di fare emergere nella recitazione tutto quanto in un interprete è meno consapevole e deliberato.
Si tratta di una via di ricerca che riguarda il modo di concepire la sceneggiatura e poi di avvalersene nel momento del casting, della scelta delle location, poi delle riprese e della direzione degli attori e infine del montaggio. Un procedimento costantemente soggetto ad aggiustamenti, che non può essere ridotto a formula né posseduto e comandato, una disciplina o forse solo una rigorosa e affascinante disposizione mentale e operativa che riguarda gli attori, in particolare la relazione tra l'attore e il personaggio, e che prima ancora riguarda lo stesso regista. Anche questo che oggi fermenta e genera nuovi esiti nell'esperienza del fare cinema in Sardegna si offre lungo il cammino intrapreso da De Seta.

Marcello FoisMarcello Fois, scrittore
"Banditi ad Orgosolo"  è un film classico, fondativo, direi. Uno dei suoi maggiori pregi e', indubbiamente lo sguardo, il punto di vista.  Il cinema ha bisogno di  un punto di vista.  L'osservazione di De Seta e' onesta, non compromessa, non ricattata. Il regista scrive di qualcosa che può essere riconoscibile da chiunque ed essere concepita diversamente a seconda di chi guarda il film. Non è  il caso che l'autore venga anche dal documentario: realizza infatti un film specifico, minimalista, aperto, che attraverso una trama sintetica, una trama che può  essere scritta in due righe, sviluppa, esattamente come accade con i classici, un'opera aperta, infinitamente rileggibile e senza tempo. Dietro un'apparente retorica è  infatti facile riconoscere una specificità  estremamente  interessante in quest'opera: ti fa dimenticare quasi che la storia si svolge in Sardegna. Ci sono altre opere, altri film, che in modo simile riescono a sviluppare questa specificità.  Un esempio è "L'uomo di Aran", un film irlandese in cui e' possibile riconoscere un punto di vista e uno sguardo non dissimile dal film di De Seta. Sia nel “L’Uomo di Aran”  che in “Banditi ad Orgosolo” il folk non esiste:  si tratta piuttosto di vera e onesta antropologia. 
De Seta fa' un film decisamente antropologico. Tale valore antropologico è dato da un punto di vista specifico, un punto di vista che è  intenzionalmente distante.  Questa qualità  dello sguardo, questa distanza e questa classicità non sono rintracciabili quasi mai nei film girati dai registi sardi.  Ciò  accade davvero raramente poiché  pochi registi la scelgono per realizzare i propri film. Ritengo che uno dei pochi registi ad aver privilegiato questa classicità e questo specifico punto di vista sia  Giovanni Columbu in "Arcipelaghi" , in cui e' evidente che il regista Columbu abbia lavorato in maniera veramente autonoma. A parte Columbu  rintraccio  la qualità  di questo sguardo e di questa  distanza di osservazione anche in alcuni corti di Mereu.  Di sicuro non nei suoi lungometraggi che ritengo siano soprattutto sentimentali, molto lontani da De Seta. In ogni caso preciso che non è detto che l’ eredità di De Seta sia utile o indispensabile. Probabilmente si può  raccontare cinematograficamente anche attraverso altri punti di vista.  In ogni caso,  ogni volta che parliamo di cinema in Sardegna andiamo a toccare la questione spinosa ed  annosa che ogni volta ci conduce nella solita spirale di domande: il cinema sardo è quello dei registi sardi o quello dei film girati in Sardegna? Questa questione gira e rigira continuamente nel dibattito sul cinema e in quello sull' identità  ma rimane ancora aperto ed irrisolto.

Daniele AtzeniDaniele Atzeni, documentarista
“Banditi a Orgosolo”  è importante perché racconta in maniera intellettualmente onesta la società sarda dell’epoca. Nel contesto sardo c’è stata forse, attraverso la visione di BaO, la consapevolezza di quelle che sono le condizioni della società sarda pastorale dell’epoca. Nel contesto cinematografico è importantissimo non solo in Sardegna ma nel resto d’Italia, perché De Seta è un esempio per tantissimi ragazzi che si avvicinano al documentario. A me è capitato di intervistarlo e ci ho tenuto a dirgli che per la mia generazione era un maestro anche perché è stato il primo filmmaker. Lui mi ha detto: “ma cosa intendete voi per filmmaker, cosa vuol dire?”. Io gli ho detto che il filmmaker è una persona che realizza film occupandosi di vari ruoli, non solo quello del regista ma anche della fotografia, del montaggio, del suono e anche per questo è stato un esempio per tutti noi. Per la mia generazione che nasce col digitale che permette di realizzare delle opere in completa autonomia, occupandosi sia della regia che delle riprese e del montaggio uno come De Seta è diventato un esempio di indipendenza e di responsabilità morale dello sguardo. Si può parlare di attualità di “Banditi a Orgosolo” soprattutto per l’ approccio che De Seta ha avuto con la comunità del posto. Molti film che sono stati girati di recente, come quello fatto  da Giorgio Diritti, o da Crialese, manifestano questa volontà di approciarsi a delle realtà minime, a delle realtà dei piccoli paesi. Ho visto “Banditi a Orgosolo” mentre studiavo cinema a Roma nel 1997 quindi avevo 24 anni.
Mi ha colpito il fatto che uno sguardo così esterno, che una persona venuta dall’esterno, avesse potuto conoscere quella società e raccontarla in maniera così onesta e veritiera, andando a scavare sulle ragioni antiche del banditismo, andando a scavare sul rapporto tra il paese e le forze dell’ordine e quindi lo stato ecc. I documentari mi avevano entusiasmato perché io avevo l’idea del documentario classico, didascalico, con la voce narrante, invece ho scoperto che si possono fare  dei documentari che sono delle poesie in immagini. Un altro aspetto dell’attualità del film è che si tratta di una storia universale.  È una storia di ingiustizia, di esclusione. Il soggetto di “Banditi a Orgosolo” potrebbe essere preso e applicato in qualunque realtà e periodo storico e funzionerebbe in ogni caso perché è reso poeticamente. Secondo me Salvatore Mereu è il regista sardo in cui è più evidente la lezione di De Seta. C’ è lo stesso approccio alla realtà, una qualità di linguaggio cinematografico che si avvicina a quella di De Seta, una macchina da presa che osserva l’oggetto senza giudicarlo, senza prendere posizione, ma in maniera oggettiva, direi documentaristica.  Anche “Sonetàula” racconta un vicenda umana di solitudine di marginalità che ha valore universale anche se si tratta di un film in costume e si riferisce a una determinata società ed epoca.

Ignazio FigusIgnazio Figus, documentarista
“Banditi a Orgosolo” è l’opera cinematografica sulla Sardegna più conosciuta nel mondo e già da tempo assurta a vero e proprio mito. L’opera, attraverso la sua potenza visiva, ha, in certa misura, rappresentato per noi sardi quello che il “documentario sceneggiato” “L’uomo di Aran” ha significato per gli abitanti delle isole irlandesi: un formidabile veicolo per portare all’attenzione del mondo i luoghi e gli accadimenti di quel piccolo lembo di terra. Tra le due opere vi sono altre analogie (oltre al fatto che entrambi i film sono stati premiati a Venezia): la prospettiva antropologica, la poetica descrizione dell’aspra bellezza del paesaggio, il conflittuale rapporto con la natura, il rifuggire di entrambi gli autori dai condizionamenti delle grandi produzioni, la troupe ridottissima ecc. E se Robert Flaherty gira un documentario “drammatizzato” (“documentario poetico”, è stato definito) mettendo in scena palesi ricostruzioni – si veda la famosa sequenza della caccia allo squalo - funzionali alla narrazione,  il lavoro di De Seta segue un percorso inverso, è, cioè, una fiction girata con piglio e soluzioni tecniche tipiche del documentario. “Banditi a Orgosolo” è un film che i sardi  continuano ad avvertire vicino al loro sentire, forse perché appare onesto, privo di “inganni” e irritanti giudizi. E forse perché si tratta di un progetto condiviso fin dall’inizio.
In qualche modo, per le modalità finora descritte, si può dire che De Seta abbia sperimentato una forma di “osservazione partecipante” (cara agli antropologi visuali) resa possibile dall'instaurazione di relazioni “vere” con i suoi soggetti e, per estensione, con il suo pubblico. Ecco, mi pare di poter affermare che a cinquant’anni dalla prima proiezione, l’attualità dell’opera risieda, oltre che nelle indiscutibili qualità estetiche, proprio nella “freschezza” delle sue modalità realizzative, artigianali (come De Seta ama definirle) e, per ragioni contingenti, innovative (più che sul plot rispondente a canoni piuttosto tradizionali per quel genere di film). Per queste e altre ragioni, i cineasti sardi (documentaristi e autori di fiction) ancora oggi guardano a “Banditi a Orgosolo” come a un'imprescindibile opera di riferimento. Per quanto visto finora mi pare che l’insegnamento di De Seta sia stato utilmente recepito (e fatto proprio in modo assolutamente personale) da Salvatore Mereu che fa un cinema attento ai rapporti di alterità, all’identità individuale e a quella dell’intera comunità isolana, un cinema dove l’ambiente non è mai semplice cornice, fatto di parole, gesti, sguardi e silenzi. Con in più la consapevolezza del significato profondo di quei gesti, di quegli sguardi e di quei silenzi. E non è poco.

Giuseppe Pilleri, conservatore della Cineteca Sarda
“Banditi a Orgosolo” è importante in assoluto. È uno dei film più importanti nella storia del cinema italiano. Quando uscì fu una rivelazione, una sorpresa, rivelò De Seta e il suo modo di fare cinema che era un modo innovativo, un modo sicuramente anche rivoluzionario per quel periodo. Per quanto riguarda la Sardegna è importante perché fu il primo film che parlava della Sardegna che fu accettato dai sardi, da tutti i sardi in maniera incondizionata, anche dagli intellettuali non soltanto dalla gente sarda,  perché dava un rappresentazione della Sardegna e dei suoi problemi reale, come l’avrebbero data i sardi stessi. E quindi fece epoca perché segnò il passaggio da quello che era stato l’immaginario cinematografico precedente, a una Sardegna reale descritta con un linguaggio moderno. È difficile dire se oggi “Banditi a Orgosolo” è attuale. Son passati tanti anni, la Sardegna è cambiata, soprattutto la Sardegna non è più soltanto la Sardegna dell’interno. Quella che aveva colpito De Seta era proprio quella delle zone interne. Non esisteva altra Sardegna nell’immaginario sociale e cinematografico. Per tutti non soltanto per De Seta. Tutti avevano in mente questa Sardegna antica, fatta di tradizioni, di riti, ferma nel tempo arcaico. La Sardegna è cambiata nel frattempo, l’immagine corrente della Sardegna non è più quella dell’interno ma è quella delle coste e anche quella delle città. È molto Costa Smeralda e la residenza del premier, cosa non trascurabile.
 
''Banditi a Orgosolo''Perché molte volte la Sardegna viene catapultata agli onori della cronaca proprio perché è la residenza del premier che ne ha  fatto anche un centro politico rinomato per la storia attuale dell’Italia. Che cosa può essere rimasto dell’attualità? Forse il fatto che i problemi che “Banditi a Orgosolo” ha posto non hanno trovato ancora una soluzione, quindi in questo senso può essere considerato ancora un film attuale. Quello che spiega la sua persistenza cinematografica è il semplice fatto che si tratta di un capolavoro, perché i temi sono trattati con verità e con sensibilità poetica. “Banditi a Orgosolo” continua ad emozionarti e ti emozionerà sempre perché il tema è trattato poeticamente, è reso universale, tocca i sentimenti aldilà del riferimento ad un contesto dato e provoca fenomeni di partecipazione. È una partecipazione che è una condivisione di sentimenti nei confronti un uomo in fuga che ha subito un’ingiustizia. Uno degli obiettivi della Cineteca quando si mise in piedi il progetto sulla memoria storica audiovisiva della Sardegna, era far conoscere a tutti i sardi ma in particolare a coloro che si mettevano a fare film, quello che era stato fatto in precedenza e soprattutto quello che di buono era stato fatto. Quindi quello che aveva fatto De Seta, che aveva fatto Fiorenzo Serra, in modo che ci fosse una conoscenza delle opere più importanti che erano state realizzate in Sardegna. Io credo che questo obiettivo sia stato raggiunto ed è possibile scorgere la lezione di De Seta in molti lavori realizzati soprattutto da documentaristi sardi. Io ho sempre pensato che nelle caratteristiche dei sardi e di chi fa film in Sardegna ci sia una particolare propensione verso il documentario. Ci sono molti documentaristi bravi in Sardegna e secondo me questi, hanno saputo far tesoro dell’opera di Vittorio De Seta, soprattutto di “Banditi a Orgosolo” ma anche dei suoi documentari. Nel campo della fiction in Salvatore Mereu sono presenti certi modi di raccontare di De Seta. Soprattutto in “Sonetàula” il riferimento a “Banditi a Orgosolo” è abbastanza evidente.  

Felice TiragalloFelice Tiragallo, antropologo
Il film è importante perché la sua comparsa e circolazione ha dato forma ed ha espresso, con una efficacia  ed una immediatezza prima sconosciute, il problema delle zone interne in Sardegna, ma anche su una scala più vasta, il tema delle contraddizioni del processo di modernizzazione nel mondo occidentale, della presenza di vaste aree sociali che  affermavano implicitamente un diritto alla partecipazione alla vita democratica. Inoltre, su un piano più strettamente cinematografico il film di De Seta ha affermato uno stile anti-industriale e anti-convenzionale (location vere, attori non professionisti, adesione narrativa alla realtà sociale e materiale, ...) mai arrivato a una sintesi così alta nell'efficacia, nel dominio degli esiti espressivi e nell'economia dei mezzi. Marc Henri Piault, uno studioso di antropologia visiva, ha affermato che in De Seta, nel complesso della sua produzione, si assiste al prodigio di uno stile che "surfeggia", che cavalca le onde del flusso reale degli accadimenti in un miracoloso equilibrio di semplicità, sobrietà e lucidità di osservazione. In definitiva penso che “Banditi ad Orgosolo” sia uno di quei film che non si limitano a rappresentare, ma incarnano un problema, così come, a mio parere, "Salvatore Giuliano" di Francesco Rosi. Non a caso entrambi sono nati nella stessa stagione culturale e politica del Paese. In Sardegna il film  è stato accolto complessivamente con favore. Ignoro i dati del botteghino, ma osservo che la rivista sarda di cultura più prestigiosa in quegli anni, "Ichnusa", diretta da Antonio Pigliaru, dedicò un numero speciale al film, facendone oggetto di analisi meditate e articolate. Il tema della condizione pastorale, la mobilità forzata, la precarietà delle basi fondiarie, l'abigeato, il sequestro di persona come espressione "tipica" della devianza criminale, il difficile rapporto con le istituzioni statuali erano temi assai dibattuti, spesso a un livello alto, nella società sarda, allora alle prese con lo sforzo modernizzatore del Piano di Rinascita. e in quella nazionale, con la istituzione della Commissione parlamentare Medici a fine anni Sessanta, che doveva indagare sulle cause sociali, storiche e d economiche del malessere delle zone interne.
 
''Banditi a Orgosolo''"Banditi ad Orgosolo" fu spesso, a entrambi i livelli,  un eccellente catalizzatore di questo dibattito, che durò fin dentro gli anni Settanta, quando il film veniva ancora capillarmente proiettato in assemblee studentesche, circoli del cinema, e altri luoghi di aggregazione. Oltre che nella storia del cinema, il film è considerato un punto di riferimento nella storia più specialistica dell'antropologia visiva, dove "Banditi ad Orgosolo" occupa un posto vicino a capolavori come "Nanook of the North" di Robert Flaherty, o "Les Maitres Fous" di Jean Rouch. Volendo fare dei confronti tematici e stilistici interni all'Isola, lo stesso Fiorenzo Serra, grande documentarista, ha impresso nel suo narrare i modi di vita e le tradizioni della Sardegna una forma di esemplarità didattica e di generalizzazione che invece De Seta, a mio parere, raggiunge proprio nella misura in cui non vuole perseguirle, tanta e così intensa è la sua adesione alla vicenda umana che si svolge davanti alla macchina da presa.  L'attualità di “Banditi ad Orgosolo” sta nel fatto che il film, come notavo, arriva ai nostri giorni "intrecciato" al problema umano e sociale che narra. Esso è, ancora oggi uno dei veicoli per l'immaginario collettivo della figura del pastore sardo nei termini più sfaccettati e profondi. Il film rappresenta dunque ancora oggi  l'insieme dei problemi che lo riguardano e che non sono estinti. Ma che si sono trasformati.
Dunque sarebbe bene collocare il film di De Seta nel suo contesto storico, riconoscerlo come un intervento di militanza civile e politica, cosa che fra le altre cose ambiva ad essere,  e affidargli il ruolo di espressione filmica insostituibile delle radici storiche contemporanee della questione delle zone interne, ruolo che del resto occorre riconoscere, nel suo ambito, anche all'inchiesta su Orgosolo di Franco Cagnetta, che ispirò il film.  Non mi pare che "Banditi ad Orgosolo" abbia lasciato eredi diretti nella cinematografia recente di autori sardi. Francamente credo che sia stato un bene che i nostri registi si siano tenuti lontani da tentativi ispirati al metodo e allo stile di De Seta. Anzi, in modo paradossale, potrei dire che quelli che più tengono conto della lezione di De Seta sono quelli che più se ne distanziano. Alludo in particolare a "Miguel" di Salvatore Mereu, in cui il mondo pastorale è affrontato sul registro narrativo del picaresco, dell'autoironia e della comicità favolistica. Io credo che De Seta abbia apprezzato queste scelte.

Paolo De AngelisPaolo De Angelis, magistrato
Il cinquantesimo compleanno di un film, soprattutto di un’opera fondamentale come "Banditi ad Orgosolo", impone, insieme con gli auguri ed i brindisi di rito, la scelta del tono e della misura da dare alla festa: pacato, riflessivo, intriso di ricordi oppure fortemente celebrativo e necessariamente diretto alla ricerca di una “universalità” del messaggio? Entrambe le scelte sono legittime ma occorre pur sempre avere uno sguardo oggettivo e orientato alla sincerità (culturale, si intende): e questo comporta almeno due livelli di riflessione. Il primo: il valore fondamentale della narrazione è legato alla descrizione (intesa non solo come sguardo ma soprattutto come analisi) del piano antropologico-criminale della storia, alla indicazione dei meccanismi socio-culturali che, in quel mondo rurale, conducevano (inevitabilmente?) alla scelta anti-statale ed illegale. È chiaro che la fortuna del film è strettamente legata (anche) a quella visione e, quindi, all’esistenza di quel tipo di società: questo ne determina, nel contempo, sia il valore assoluto di profonda comprensione del fenomeno criminale di stampo barbaricino (non è un caso che De Seta si nutrì, nel lavoro di preparazione, dell’opera di Pigliaru), sia il senso di lontananza, almeno quanto può essere lontana l’esperienza descritta. Questo conduce alla unicità dell’opera che ha portato all’attenzione globale un mondo, un fenomeno, una società che oggi, in quel modo, non esistono più. Non che sia estinto del tutto o che sia completamente riformata la realtà sociale ed antropologica: ma quella presenza ha il valore di un’antica radice da cui ha avuto origine una pianta molto ramificata e, pur a patrimonio genetico comune, con profonde diversità strutturali da quella genesi. Naturalmente, questo non significa che la lezione di De Seta sia solo un’immagine del passato, più o meno remoto: essa ha il valore profondo del metodo, prima ancora del merito e dei contenuti, poiché ha insegnato che il senso del cinema (ovviamente, di un certo cinema, quello di forte passione civile) è quello della riflessione sui fenomeni sociali, che non possono essere liquidati con descrizioni animate dal preconcetto e basate sul semplicismo bozzettistico.
 
''Banditi a Orgosolo''Basta applicare la lezione (quella sì, realmente universale) che ancora promana da "Banditi ad Orgosolo", e, anche oggi, potrebbe nascere un’opera come questa, totalmente differente, come contesto, ma profondamente coerente al senso del messaggio. Forse, mancano oggi storie “forti”, col valore simbolico di quella di 50 anni fa e centrare un film “moderno” sulla durezza del mondo pastorale potrebbe avere un sapore anacronistico: ma, nel solco di quell’insegnamento, così sincero e “reale”, ci sarebbe solo da scegliere tra l’antropologia dell’industrializzazione ed il malessere della società della crisi. Le storie con una radice a metà strada tra le regole del codice barbaricino e l’irruzione della società globalizzata non mancherebbero e forse non è un caso se, proprio ieri, le lotte degli operai della Vinyls affascinano, con il valore della cronaca documentaristica, i giurati di Venezia: certo, nemmeno a paragone con De Seta ma anche il maestro, per capire la Sardegna, cominciò con i documentari… C’è anche la seconda riflessione: la forza del film nasce dall’inestricabile legame tra fiction e contesto realistico, in primo luogo la contrapposizione del singolo alle regole dello Stato (senza che ciò significhi che il primo avesse sempre torto ed il secondo sempre ragione). Il tessuto socio-culturale è, nel frattempo, mutato in modo profondo, anche se i contrasti di quel genere permangono: la modifica del contesto induce a nuove riflessioni ed a nuove analisi.
Oggi, è l’area metropolitana a richiedere una analisi di tipo culturale e di osservazione descrittiva: "Banditi ad Orgosolo" si concentra sulle vicende di un mondo isolato e senza legami con l’esterno, quello odierno è un contesto nel quale occorre fondere i valori della tradizione con le influenze della globalizzazione. Ciò comporta un diverso approccio e i latitanti della montagna diventano figure del mito, non più della realtà. Ma, come detto, l’unicità del capolavoro ne traccia l’assolutezza della lezione, che quindi oggi va ripresa, aggiornata ed adattata alle medesime esigenze narrative, fatte di descrizione, analisi, contenuti, riflessioni. C’è, in realtà, un punto comune che, come un filo rosse, unisce (o potrebbe unire) i "Banditi di Orgosolo" alle opere (ed alla realtà) odierne: è il co-protagonista del film di De Seta, la natura, il paesaggio, il contesto naturale, aspro e selvaggio, tutt’uno con i dolori antichi della lotta per sopravvivere. Ancora oggi, quel paesaggio potrebbe avere il ruolo fondamentale di scenario narrativo che ebbe allora: non come semplice fondale del set, straordinario e gratuito, che la Sardegna può offrire ma come segno identitario e culturale, quello sì eternamente tramandato. Ma purtroppo, non è immutabile e l’opera dell’uomo, che tende a trasfigurarlo e a sfruttarlo, rischia di far perdere questo valore, che è il valore aggiunto intrinseco alla narrazione delle storie della Sardegna: in uno scenario sociale in cui tutto cambia, sarebbe bello che il cinema sardo potesse oggi raccontare il malessere dal punto di vista della natura violata.

Bastiana Madau, ex direttrice della Biblioteca Comunale Orgosolo
Non penso si possa parlare  oggi di attualità di “Banditi ad Orgosolo”, nel senso che quel mondo non esiste più. E tuttavia io mi sento sempre di consigliare la visione del film, non solo perché gli esercizi di memoria aiutano a ricostruire i processi che portano all’oggi e a vivere nel presente con maggiore consapevolezza, ma anche e soprattutto perché ancora è godibilissima la sua qualità espressiva: De Seta girò “Banditi a Orgosolo” con lo sguardo potente e la tenerezza del cuore, ai tempi in cui lo sguardo era "dentro" di noi, non ancora pilotato dalle mirabilie degli effetti speciali. E c’è un terzo ma non ultimo motivo per cui la visione del film va ancora caldeggiata, ed è il fatto che l’opera cinematografica resta indissolubilmente legata all'inchiesta di Cagnetta pubblicata nel ’54 da Nuovi Argomenti, rivista diretta da Alberto Moravia, su una regione italiana che l’antropologo non esitò a definire “las India de aquí” e che fu di forte stimolo di analisi sociologica, giuridica, politica a tutto a campo anche per il laboratorio intellettuale sardo. Insomma se “Banditi a Orgosolo” portasse anche alla scoperta dei più grandi pensatori sardi del dopo guerra – da Antonio Pigliaru a Michelangelo Pira, per intenderci – darebbe un necessario contributo alla costruzione di un maggior senso critico in ambiti estesi all’intera produzione culturale dell’isola, dal cinema alla letteratura.
 
Vittorio De SetaRintraccio l'eredità di De Seta nel cinema sardo forse nell'insistente richiamo alla natura nel bel film di Salvatore Mereu "Sonetaula" e, nello stesso film ma non solo, nell’utilizzo non di attori professionisti bensì di "tipi", per altro bravissimi, interessanti al pari dei "Michele Cossu" di De Seta (mi riferisco a Francesco Falchetto, Serafino Spiggia…). E tuttavia ho visto “Sonetaula” anche come un lungo, poetico addio al ‘mondo dei banditi’ e, se vogliamo, a quello di De Seta:  Mereu, tra i nostri registi più ironici, anche qui parte da temi che sono dentro la costruzione mitografica delle "terse dell'intérieur" (come lo scrittore Edouard Vincent definiva la Barbagia) per attuarne un forte spostamento. Non è un caso, secondo me, che in seguito abbia preso un’azione frontale, documentaristica, sulle tematiche più pregnanti dell’oggi, multietniche, multiculturali, anche spostandosi geograficamente dall’interno dell’isola verso Cagliari. Ancora "desetianamente", se vogliamo concepire l'eredità di De Seta anche come volontà di indagare, svelare e comprendere microcosmi. Quali altri eredi? Forse Giovanni Columbu? Un suo film a cui resto molto affezionata è connotato da una profonda conoscenza e tenerezza per il mondo dei pastori. Mi  riferisco all’indimenticabile "Visos", sul sogno e i sogni nel mondo della Sardegna pastorale. Ma un po' tutti i registi sardi hanno probabilmente a cuore De Seta.
 
Ricordando che i critici inscrivono la cinematografia di De Seta nella tradizione romantica europea, forse possiamo parlare di una eredità raccolta da più registi sardi significativi e, in questo senso, penso ad esempio a Gianfranco Cabiddu, che tra i nostri, forse più di tutti ha un approccio passionale nella rappresentazione cinematografica della realtà sociale e culturale dell'isola, soprattutto nella rivisitazione del passato.
5 ottobre 2011
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