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"Pina" di Wim Wenders

Il consiglio di Elisabetta Randaccio
 
''Pina'' locandinaWim Wenders e Pina Bausch si conoscevano da tempo, un’amicizia nata durante una rappresentazione del mitico “Caffè Muller” a Venezia nel lontano 1985. Una folgorazione per Wenders, tanto da desiderare di realizzare un film con la grande coreografa e danzatrice. Per molti anni i due, nei loro incontri, nelle loro discussioni avevano messo a punto  alcune idee, persino le location dove adattare le performance pensate, all’origine, esclusivamente per il palcoscenico. Come capita nella storia del cinema, spesso, gli anni passano a costruire altri progetti e Wenders ha cercato la sua creatività, il suo sperimentalismo dilapidato nei tanti film girati senza più l’interesse di un tempo, “vagabondando” per il mondo. La sua carriera discontinua, però, metteva in evidenza quanto la sua genialità si esplicitava soprattutto nel genere “documentario”, che, in più occasioni, reinventava nel linguaggio e nei contenuti. Intanto, continuava il progetto “Pina”, che aveva, secondo Wenders e la Bausch, la necessità di un procedimento tecnico tale da riuscire a far convivere con equilibrio e forza la danza e il cinema.
 
''Pina''Questo è stato un problema risalente sin dagli esordi del mezzo filmico, perché i registi del grande schermo avevano la necessità di annullare la piattezza della visione del palcoscenico e riprendere i ballerini da punti di vista che ne mettessero in luce la particolarità, la dinamicità, l’espressività del corpo e del volto. Si può pensare, come esempio, all’incredibile tecnica di Busby Berkeley, il quale diede originalità e successo ai musical, di origine teatrale, con coreografie filmate in maniera straordinaria.
Per gli spettacoli di Pina Bausch la necessità di una tecnica innovativa era diventata un elemento fondamentale. Nel 2007, per Wenders la visione dei primi film in 3D gli chiarificò il problema. Partendo da questo, si decise di lavorare sull’opera. Ma anche vista in 2D “Pina”, girato quando la Bausch era già morta stroncata dal cancro, è un capolavoro assoluto, nell’approccio al materiale degli spettacoli, ai corpi dei ballerini (tutti meravigliosi).
 
''Pina''Le sperimentazioni della Bausch trovano un’eco nelle immagini di Wenders, che non opta né per un biopic (gli unici fotogrammi ritraenti Pina sono quelli mostrati in brevi filmati di repertorio, dove la vediamo soprattutto in dolorosi primi piani), ma neppure per la ripresa filologica degli spettacoli. Wenders mischia le carte, sovrappone le rappresentazioni, accentuandone la grande forza “filosofica” delle perfomance della Bausch (l’uomo-oggetto che diventa catena di montaggio in corpore vili, per esempio) e facendo danzare gli artisti nella cittadina di Wuppertal: nel trenino in elevazione, nell’archeologia industriale, nei piccoli frammenti di verde, mentre le macchine sfrecciano intorno. Le sequenze in teatro (quello dove la compagnia del “Tanztheater” si esibisce da tanti anni) sono montate in maniera tale da far “entrare” lo spettatore dentro lo spettacolo con emozione, partecipandovi quasi fisicamente.
 
Le testimonianze dei danzatori della compagnia (formatisi attraverso il “silenzio rumoroso” del metodo della Bausch) si sentono fuori campo, mentre i ballerini sono ripresi in primo piano, con la loro espressività straordinaria. “Pina” è un film imperdibile, che ci conforta anche sul ritorno artistico potente di un autore come Wenders.
 
9 novembre 2011