Stampa

Al festival con Anedda, Pani e Carboni

La seconda edizione del “Babel Film Festival” si è dimostrata, sin dalle prime giornate, vincente. Il pubblico ha affollato le proiezioni quotidiane dei film così come la serata d’inaugurazione all'Odissea. Applausi per i promo dei nostri registi ancora in fase di lavorazione. di Elisabetta Randaccio
 
Babel Film FestivalIl “Babel” sembra proiettarsi oltre i mini festival cinematografici locali, ma ha pure ampliato la sua vocazione internazionale, servendosi delle sinergie con associazioni, ambasciate, produzioni e manifestazioni filmiche, che hanno contribuito a dare voce al Festival nel territorio nazionale e all’estero. I materiali arrivati hanno evidenziato l’interesse per le problematiche della conservazione delle lingue minoritarie, contenuto e qualità formale sono di buon livello, nel complesso; d’altronde alcuni film sono stati segnalati da manifestazioni rilevanti come il “Sundance” e il nostro David di Donatello.
Nella serata di inaugurazione sono stati presentati anche i promo di due film ancora in fase di lavorazione: quello di Marina Anedda sui riti della Settimana Santa a Cagliari e di Marco Antonio Pani e Paolo Carboni  sul movimento dei pastori sardi.  Le scene in anteprima dei due lungometraggi hanno creato ulteriore aspettativa e curiosità nel pubblico in sala.
 
Marina AneddaMarina Anedda continua il suo interessante e personale percorso nell’universo etnico popolare  attraverso l’approfondimento di costumi e manifestazioni, ancora vive ai nostri giorni con un sguardo all’antropologia culturale e visuale, senza trascurare la vivacità narrativa nella descrizione di personaggi e ambienti sociali.
L’anteprima di “Capo e croce” di Pani e Carboni ha colpito perché intreccia documento e poesia su un argomento apparentemente legato esclusivamente a una durissima contingenza economica. Se le sequenze, nell’edizione definitiva, rimarranno le stesse con le musiche e il montaggio presentato, sin dall’incipit si viene coinvolti da una Sardegna “slavata” nelle immagini, mentre la colonna sonora,  prevalentemente pucciniana (brani dal “Gianni Schicchi” e dalla “Tosca”) commenta con una strana leggerezza drammatica il lavoro nelle aziende di pastori ridotti all’indebitamento per la cecità di scelte politiche devastanti, oppure il viaggio in nave, che si rivelerà drammatico, per andare a manifestare a Roma, dove  i lavoratori non arriveranno, fermati assurdamente da un blocco di polizia “preventivo”.
Nonostante, dunque, non manchino dei momenti fortemente legati alla cronaca, sembra venga sviluppata una attenzione speciale alla forma, con inquadrature efficaci e toccanti.

''La me lenghe sune il rock. E non dorme mai''Tra le novità del “Babel” si nota la scelta di sviluppare il filo conduttore del festival, le lingue minoritarie, in contesti originali. Questo è stato il presupposto perla serata al pub “Old Square Irish Pub”. In un contesto apparentemente distante dalle tematiche di un Festival, un pubblico, per la maggior parte, giovane ha seguito la presentazione di un libro interessante sul rapporto tra musica e idiomi locali (“La me lenghe sune il rock. E non dome chel”) di Marco Stolfa, che ha discusso del testo con il giornalista Giacomo Serreli.  Concluso l’incontro, sono stati proiettati alcuni videoclip di gruppi che utilizzano la lingua minoritaria inferendola con suoni di altre culture, a dimostrazione dell’incontro sempre felice di mondi diversi. Situazione concretizzata, poi, nell’esibizione di alcuni musicisti sardi, che hanno entusiasmato gli spettatori.

Soprattutto questo momento ha dimostrato come una manifestazione cinematografica possa contenere anime diverse e, nello stesso tempo, complementari, coinvolgendo un pubblico variegato e non d’elite.
30 novembre 2011