Che cos'è il cinema?
Presentato a Cagliari il Programma di ricerca scientifica sulla formazione della cultura cinematografica. E finalmente ci si prende sul serio. Scoprendo che in Italia la Sardegna non fa esattamente il fanalino di coda… di Salvatore Pinna
Mancavano studi nel cinema italiano sul funzionamento dell’Industria cinema e sul relativo mercato del lavoro, sui modi in cui le professionalità sono introdotte e su come avviene la formazione. Una serie di risposte, insieme a molte domande, sono venute alla presentazione pubblica del Programma di ricerca Scientifica di Rilevante Interesse Nazionale (PRIN), che ha per oggetto “Il rinnovamento dei quadri del cinema italiano. La formazione della cultura cinematografica.” I primi risultati della ricerca, presentata nell’aula Motzo della Facoltà di Scienze della formazione, da Francesco Pitassio dell’Università di Udine, ha fotografato lo stato della formazione cinematografica in Italia e ha evidenziato le criticità nel rapporto tra formazione e professione. In sintesi: i contatti tra scuole e imprese sono limitati o inesistenti; nel cinema italiano abbiamo una cultura imprenditoriale semiartigianale; il più delle volte l’accesso al lavoro avviene tramite praticantato.
Questa è una prima risposta. Le domande sono le seguenti: che cosa succede alla formazione in cinema nel momento in cui il comparto audiovisivo subisce le trasformazioni radicali per quanto riguarda i linguaggi, gli assetti tecnologici, gli asseti economici? Il comparto formativo è sensibile a queste trasformazioni? Esemplificando: dobbiamo formare direttori della fotografia che possono fotografare solo in pellicola a 35 mm, oppure devono essere versatili e capaci di considerare quello che sta accadendo sul piano tecnologico? Di che cinema si parla quando si parla di cinema? Quale ruolo può e deve svolgere l’Università? A questi interrogativi hanno cercato di dare una risposta gli studiosi delle Università italiane partner del progetto che sono Udine, IULM, Roma tre, Università della Calabria e, naturalmente Cagliari che ha lavorato in stretto contatto con Udine.
Marco Maria Gazzano dell’Università di Roma tre, ha spiegato lo stretto legame che esiste tra didattica, ricerca e i rapporti col territorio, tre poli insostituibili del lavoro universitario. Meno noto ma vitale quello relativo al territorio che comporta indagini e rapporti con l’economia e col mercato del lavoro e studi sulle nuove professionalità. A questo proposito ha auspicato un lavoro di sistema coi decisori politici, di cui ha lamentato garbatamente l’assenza, condizione indispensabile per sbloccare il mercato. “Noi insegniamo e insegneremo sempre di più una nuova nozione di cinema in relazione operativa con lo sviluppo delle tecniche ma anche delle nuove sensibilità che registi, autori e spettatori stanno sviluppando, e anche una relazione col mercato e le istituzioni che potrebbe portare a nuove decisioni per la politica. I decisori devono venire per imparare altrimenti come fanno a prendere le decisioni?”. Con ottimismo realistico Gazzano ha spiegato che le fasi di crisi sono anche quelle in cui è più conveniente investire in ricerca scientifica. “C’è un rapporto costante tra crisi economica e cinema. Quando ci sono le domande tecnologiche forti c’è anche una crisi economica di mezzo. Le crisi economiche non si risolvono con i mezzi soliti dell’economia ma per mezzo della teoria, cambiando i modelli di sviluppo e quindi le forme del rapporto concettuale con lo sviluppo”. Il cinema è stata la forma espressiva che meglio ha raccontato il ‘900. Non a caso in tutti i momenti in cui la crisi economica ha morso duramente la vita delle persone i cineasti e i teorici del cinema si sono detti: “che cos’è il cinema?” Oggi occorre ritornare a quella domanda, come fece André Bazin a cavallo degli anni Quaranta-Cinquanta. E allora che cosa è il cinema? Il cinema non è più solo il film. Cambia il modello di pensiero, cambia l’idea di cinema, estendendola, rendendola più ampia, intendendo qualunque cosa in cui si mette insieme immagine in movimento e suono. È chiaro che cambiano anche le professioni e la formazione delle professioni, la distribuzione dei prodotti e la costruzione di forme di esposizione dell’audiovisivo.
Le nuove professioni non ci sono ancora ma è compito della teoria identificarle. Un esempio per tutti riguarda la figura dell’esercente. Nell’epoca dell’expanded cinema sarà una figura sempre più strategica. Egli non sarà più quello che ritira il film dal distributore e lo dà a qualcuno che lo mette in bobina o su una qualunque piattaforma digitale. È uno che intende la sala come un palinsesto che funziona 24 ore su 24 e identifica, sala per sala, pubblici diversi. La tecnologia non è sufficiente. Occorrerà un professionista colto, magari formato dalle università che insegnano questa concezione espansa del cinema, che sappia scegliere e che sappia mettere in macchina un’idea creativa, un mosaico di opzioni. Un cinema esteso vuol dire pubblico diffuso dall’asilo nido in poi. Queste sono le condizioni per una svolta anche economica del cinema.
Se il cinema è varietà di linguaggi, di piattaforme e di offerte tematiche occorre una nuova considerazione del documentario di creazione. A incominciare dal fatto che è forma cinematografica non un genere. E' un campo di sperimentazione che sta dando a livello nazionale e internazionale risultati notevoli e come è sempre successo nella storia del cinema offre al film narrativo soluzioni linguistiche e pratiche di regia. Al cinema del reale è dedicata una parte del progetto PRIN come ha spiegato Daniele Dottorini dell’Università della Calabria. Si dovranno superare le solite difficoltà di diffusione del documentario e sarà necessario mettere in atto sperimentazioni nel campo della diffusione. Una rete di sale, diciamo quelle gestite dall’esercente di tipo nuovo, può essere una soluzione risolutiva. Non dimenticando che anche l’Università intende proporsi come momento di produzione e circuitazione cosa che avviene, sia pure in modo ancora informale e discontinuo, anche nell’esperienza cagliaritana del CELCAM.
A questo proposito c’è da dire che l’Università di Cagliari (Dipartimento di Studi Storici, Geografici e Artistici) svolge una parte importante nel Progetto. Antioco Floris ha illustrato la banca dati che censisce le attività formative delle professioni cinematografiche in Italia: comprende 1183 attività formative dal 2009 al 2011 condotte da organismi pubblici e privati. Sono state individuate 223 professioni che difficilmente vengono riconosciute o, come ha detto il relatore, non si troverebbero nei titoli di coda di nessun film. L’abbondanza di definizioni illumina la disorganicità delle imprese formative, non tanto il fatto che l’offerta prefiguri una domanda che non esiste “attualmente”. Opportunamente Floris ha operato una razionalizzazione che identifica 38 professioni effettive. La maschera di ricerca, che descrive il percorso formativo, dà conto, comunque, della parcellizzazione disciplinare. Si coglie così la proliferazione di discipline-professioni o l’onnicomprensività di professioni-pluridisciplinari, come quella del filmmaker in bilico tra uomo politecnico e autore di cortometraggi.
La banca dati è quella parte del progetto che, probabilmente, avrà maggiore visibilità in quanto materiale accessibile al grande pubblico e che, verosimilmente, diventerà un punto di riferimento per chi vorrà formarsi nel campo del cinema. Questo per almeno i prossimi due anni. Una banca dati ha bisogno di essere aggiornata e implementata e richiede investimenti continuativi. Oltre tutto non si riesce ad immaginarla senza uno sguardo, che ora manca, sulle scuole di cinema all'estero. Intanto va dato atto alla Regione Sardegna di aver sostenuto l’iniziativa investendovi, complessivamente, 60.000 euro per due diverse annualità. È una cosa molto importante, specie se avrà una continuità di programmazione, perché, come è stato ricordato, nei momenti di grave crisi economica l’investimento in ricerca serve a creare prospettive di lavoro.
Accanto alla banca dati che consente un’analisi quantitativa, ma che attraverso le maschere di ricerca permette una grande varietà di incroci, il progetto ha svolto anche un ricerca qualitativa i cui risultati sono stati presentati da Sara Sampietro dell’Università Cattolica del Sacro Cuore Milano. I risultati di questa indagine confermano quanto emerso dalla banca dati quantitativa. L’offerta formativa si presenta come un universo disomogeneo e mutabile in cui è difficile orientarsi. I corsi funzionano più come spazi relazionali che come luoghi di apprendimento. In estrema semplificazione non vi si impara molto ma è un filtro per le relazioni. Questo dato è confermato da quella parte della ricerca che ha svolto una panoramica sulle scuole private, dove spicca il caso della scuola Holden di Torino. I corsi delle private sono 826 e riguardano in prevalenza regia, sceneggiatura, montaggio, recitazione, fotografia, effetti speciali, trucco, suono, doppiaggio. Sono stati mappati ben 168 insegnamenti. Non c’è il servizio di stage ma contatti con aziende. L’individuazione di spazi professionali è fatta sullo schema del network relazionale. La formazione cinematografica pubblica in Italia consente riscontri interessanti che fanno ben sperare, da sardi, sul ruolo della Film Commission. Infatti i corsi pubblici sono più numerosi in Puglia e in Piemonte dove esistono Film Commission funzionanti. Vuol dire che più si incrementa la produzione cinematografica più c’è formazione. Ma anche che dove c’è più offerta formativa c’è un maggior incremento della produzione.
Nella categoria della formazione pubblica va inclusa quella universitaria, per notare il suo ruolo marginale a fronte di quella erogata dagli altri enti, come ha fatto il relatore Ivan Girina, giovane studioso sardo attualmente dottorando di ricerca all’Università di Warwick. Tuttavia se si osserva il grafico della distribuzione geografica della formazione cinematografica universitaria la Sardegna è visibile con un 4% che non è poco se si considera che sopra ci sono il Lazio (che fa la parte del leone in ogni settore), il Piemonte, Il Friuli e la Lombardia. Mentre i profili della formazione complessiva tendono più sul versante artistico (registi, sceneggiatori, filmmaker, montatori, attori), i profili della formazione universitaria comprendono anche produttori, traduttori, organizzatori-promotori ed educatori. L’università sembra interpretare con maggiore acume le necessità del cinema e della sua mobilità come cinema esteso e in continua mutazione audiovisiva.
Ivan Girina ha anche presentato i dati di una interessante ricerca sul rapporto tra realtà formativa e realtà industriale nel panorama cinematografico sardo. I dati sono stati desunti da interviste in profondità ad alcuni professionisti rappresentativi nell'ambiente isolano. Ne è risultata la percezione del carattere estemporaneo e artigianale della formazione il cui aspetto più evidente è l’assenza di figure tecniche. Al deficit di occasioni formative e di rapporti col la domanda lavorativa si contrappone una vivace realtà autoriale. Una figura chiave individuata è quella del produttore come “fund-raiser” e anche come interprete culturale delle esigenze cinematografiche del territorio. Grandi aspettative sono riposte nella Film Commission di cui si auspica un ruolo decisivo come mediatore tra la realtà formativa e quella industriale. Resta da dire che l’Aula Magna Motzo era così piena da stupire i professori delle varie università italiane presenti. “Forse si spiega con l’ansia di cercare un lavoro, di inserirsi nel mercato nel settore del cinema e degli audiovisivi” ha ipotizzato il professor Gazzano. Il che significa che questo incontro era considerato importante dagli studenti come fosse una guida per il mondo del lavoro.
Questa è una prima risposta. Le domande sono le seguenti: che cosa succede alla formazione in cinema nel momento in cui il comparto audiovisivo subisce le trasformazioni radicali per quanto riguarda i linguaggi, gli assetti tecnologici, gli asseti economici? Il comparto formativo è sensibile a queste trasformazioni? Esemplificando: dobbiamo formare direttori della fotografia che possono fotografare solo in pellicola a 35 mm, oppure devono essere versatili e capaci di considerare quello che sta accadendo sul piano tecnologico? Di che cinema si parla quando si parla di cinema? Quale ruolo può e deve svolgere l’Università? A questi interrogativi hanno cercato di dare una risposta gli studiosi delle Università italiane partner del progetto che sono Udine, IULM, Roma tre, Università della Calabria e, naturalmente Cagliari che ha lavorato in stretto contatto con Udine.
Marco Maria Gazzano dell’Università di Roma tre, ha spiegato lo stretto legame che esiste tra didattica, ricerca e i rapporti col territorio, tre poli insostituibili del lavoro universitario. Meno noto ma vitale quello relativo al territorio che comporta indagini e rapporti con l’economia e col mercato del lavoro e studi sulle nuove professionalità. A questo proposito ha auspicato un lavoro di sistema coi decisori politici, di cui ha lamentato garbatamente l’assenza, condizione indispensabile per sbloccare il mercato. “Noi insegniamo e insegneremo sempre di più una nuova nozione di cinema in relazione operativa con lo sviluppo delle tecniche ma anche delle nuove sensibilità che registi, autori e spettatori stanno sviluppando, e anche una relazione col mercato e le istituzioni che potrebbe portare a nuove decisioni per la politica. I decisori devono venire per imparare altrimenti come fanno a prendere le decisioni?”. Con ottimismo realistico Gazzano ha spiegato che le fasi di crisi sono anche quelle in cui è più conveniente investire in ricerca scientifica. “C’è un rapporto costante tra crisi economica e cinema. Quando ci sono le domande tecnologiche forti c’è anche una crisi economica di mezzo. Le crisi economiche non si risolvono con i mezzi soliti dell’economia ma per mezzo della teoria, cambiando i modelli di sviluppo e quindi le forme del rapporto concettuale con lo sviluppo”. Il cinema è stata la forma espressiva che meglio ha raccontato il ‘900. Non a caso in tutti i momenti in cui la crisi economica ha morso duramente la vita delle persone i cineasti e i teorici del cinema si sono detti: “che cos’è il cinema?” Oggi occorre ritornare a quella domanda, come fece André Bazin a cavallo degli anni Quaranta-Cinquanta. E allora che cosa è il cinema? Il cinema non è più solo il film. Cambia il modello di pensiero, cambia l’idea di cinema, estendendola, rendendola più ampia, intendendo qualunque cosa in cui si mette insieme immagine in movimento e suono. È chiaro che cambiano anche le professioni e la formazione delle professioni, la distribuzione dei prodotti e la costruzione di forme di esposizione dell’audiovisivo.
Le nuove professioni non ci sono ancora ma è compito della teoria identificarle. Un esempio per tutti riguarda la figura dell’esercente. Nell’epoca dell’expanded cinema sarà una figura sempre più strategica. Egli non sarà più quello che ritira il film dal distributore e lo dà a qualcuno che lo mette in bobina o su una qualunque piattaforma digitale. È uno che intende la sala come un palinsesto che funziona 24 ore su 24 e identifica, sala per sala, pubblici diversi. La tecnologia non è sufficiente. Occorrerà un professionista colto, magari formato dalle università che insegnano questa concezione espansa del cinema, che sappia scegliere e che sappia mettere in macchina un’idea creativa, un mosaico di opzioni. Un cinema esteso vuol dire pubblico diffuso dall’asilo nido in poi. Queste sono le condizioni per una svolta anche economica del cinema.
Se il cinema è varietà di linguaggi, di piattaforme e di offerte tematiche occorre una nuova considerazione del documentario di creazione. A incominciare dal fatto che è forma cinematografica non un genere. E' un campo di sperimentazione che sta dando a livello nazionale e internazionale risultati notevoli e come è sempre successo nella storia del cinema offre al film narrativo soluzioni linguistiche e pratiche di regia. Al cinema del reale è dedicata una parte del progetto PRIN come ha spiegato Daniele Dottorini dell’Università della Calabria. Si dovranno superare le solite difficoltà di diffusione del documentario e sarà necessario mettere in atto sperimentazioni nel campo della diffusione. Una rete di sale, diciamo quelle gestite dall’esercente di tipo nuovo, può essere una soluzione risolutiva. Non dimenticando che anche l’Università intende proporsi come momento di produzione e circuitazione cosa che avviene, sia pure in modo ancora informale e discontinuo, anche nell’esperienza cagliaritana del CELCAM.
A questo proposito c’è da dire che l’Università di Cagliari (Dipartimento di Studi Storici, Geografici e Artistici) svolge una parte importante nel Progetto. Antioco Floris ha illustrato la banca dati che censisce le attività formative delle professioni cinematografiche in Italia: comprende 1183 attività formative dal 2009 al 2011 condotte da organismi pubblici e privati. Sono state individuate 223 professioni che difficilmente vengono riconosciute o, come ha detto il relatore, non si troverebbero nei titoli di coda di nessun film. L’abbondanza di definizioni illumina la disorganicità delle imprese formative, non tanto il fatto che l’offerta prefiguri una domanda che non esiste “attualmente”. Opportunamente Floris ha operato una razionalizzazione che identifica 38 professioni effettive. La maschera di ricerca, che descrive il percorso formativo, dà conto, comunque, della parcellizzazione disciplinare. Si coglie così la proliferazione di discipline-professioni o l’onnicomprensività di professioni-pluridisciplinari, come quella del filmmaker in bilico tra uomo politecnico e autore di cortometraggi.
La banca dati è quella parte del progetto che, probabilmente, avrà maggiore visibilità in quanto materiale accessibile al grande pubblico e che, verosimilmente, diventerà un punto di riferimento per chi vorrà formarsi nel campo del cinema. Questo per almeno i prossimi due anni. Una banca dati ha bisogno di essere aggiornata e implementata e richiede investimenti continuativi. Oltre tutto non si riesce ad immaginarla senza uno sguardo, che ora manca, sulle scuole di cinema all'estero. Intanto va dato atto alla Regione Sardegna di aver sostenuto l’iniziativa investendovi, complessivamente, 60.000 euro per due diverse annualità. È una cosa molto importante, specie se avrà una continuità di programmazione, perché, come è stato ricordato, nei momenti di grave crisi economica l’investimento in ricerca serve a creare prospettive di lavoro.
Accanto alla banca dati che consente un’analisi quantitativa, ma che attraverso le maschere di ricerca permette una grande varietà di incroci, il progetto ha svolto anche un ricerca qualitativa i cui risultati sono stati presentati da Sara Sampietro dell’Università Cattolica del Sacro Cuore Milano. I risultati di questa indagine confermano quanto emerso dalla banca dati quantitativa. L’offerta formativa si presenta come un universo disomogeneo e mutabile in cui è difficile orientarsi. I corsi funzionano più come spazi relazionali che come luoghi di apprendimento. In estrema semplificazione non vi si impara molto ma è un filtro per le relazioni. Questo dato è confermato da quella parte della ricerca che ha svolto una panoramica sulle scuole private, dove spicca il caso della scuola Holden di Torino. I corsi delle private sono 826 e riguardano in prevalenza regia, sceneggiatura, montaggio, recitazione, fotografia, effetti speciali, trucco, suono, doppiaggio. Sono stati mappati ben 168 insegnamenti. Non c’è il servizio di stage ma contatti con aziende. L’individuazione di spazi professionali è fatta sullo schema del network relazionale. La formazione cinematografica pubblica in Italia consente riscontri interessanti che fanno ben sperare, da sardi, sul ruolo della Film Commission. Infatti i corsi pubblici sono più numerosi in Puglia e in Piemonte dove esistono Film Commission funzionanti. Vuol dire che più si incrementa la produzione cinematografica più c’è formazione. Ma anche che dove c’è più offerta formativa c’è un maggior incremento della produzione.
Nella categoria della formazione pubblica va inclusa quella universitaria, per notare il suo ruolo marginale a fronte di quella erogata dagli altri enti, come ha fatto il relatore Ivan Girina, giovane studioso sardo attualmente dottorando di ricerca all’Università di Warwick. Tuttavia se si osserva il grafico della distribuzione geografica della formazione cinematografica universitaria la Sardegna è visibile con un 4% che non è poco se si considera che sopra ci sono il Lazio (che fa la parte del leone in ogni settore), il Piemonte, Il Friuli e la Lombardia. Mentre i profili della formazione complessiva tendono più sul versante artistico (registi, sceneggiatori, filmmaker, montatori, attori), i profili della formazione universitaria comprendono anche produttori, traduttori, organizzatori-promotori ed educatori. L’università sembra interpretare con maggiore acume le necessità del cinema e della sua mobilità come cinema esteso e in continua mutazione audiovisiva.
Ivan Girina ha anche presentato i dati di una interessante ricerca sul rapporto tra realtà formativa e realtà industriale nel panorama cinematografico sardo. I dati sono stati desunti da interviste in profondità ad alcuni professionisti rappresentativi nell'ambiente isolano. Ne è risultata la percezione del carattere estemporaneo e artigianale della formazione il cui aspetto più evidente è l’assenza di figure tecniche. Al deficit di occasioni formative e di rapporti col la domanda lavorativa si contrappone una vivace realtà autoriale. Una figura chiave individuata è quella del produttore come “fund-raiser” e anche come interprete culturale delle esigenze cinematografiche del territorio. Grandi aspettative sono riposte nella Film Commission di cui si auspica un ruolo decisivo come mediatore tra la realtà formativa e quella industriale. Resta da dire che l’Aula Magna Motzo era così piena da stupire i professori delle varie università italiane presenti. “Forse si spiega con l’ansia di cercare un lavoro, di inserirsi nel mercato nel settore del cinema e degli audiovisivi” ha ipotizzato il professor Gazzano. Il che significa che questo incontro era considerato importante dagli studenti come fosse una guida per il mondo del lavoro.
14 dicembre 2011