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Chiacchierando con il regista

Andrea Lotta  presenta la genesi del suo "Ritorno a Zara". di Salvatore Pinna

Andrea Zara

Il viaggio, l’esperienza del ritorno si compone di momenti casuali, marginali ma profondamente significanti. Noto la stessa capacità di “Murrasarda” di cogliere il fluire della vita, la casualità, l’imprevisto. O di costruirlo il che è opera di regia. 
Non posso dire sia stato facile, ma era troppo forte la voglia di raccogliere ricordi e racconti sentiti per anni. Io nato in una terra che non abbandonerei mai non potevo rimanere sordo a un richiamo continuamente presente.

 

Poi mia nonna ha deciso di fare questo viaggio insieme a noi e imbracciare la videocamera è stata una scelta obbligata.

''Ritorno a Zara'', sul setNoto anche che le immagini sono ben girate da lei e da Micaela Cauterucci, nel senso che sono immagini “giuste”, adatte ai luoghi e ai personaggi e alle situazioni.
Micaela è stato un incontro fondamentale, Tajabone è stato il film che ci ha fatto conoscere. Lei è diventata la mia compagna e non solo nella vita di tutti i giorni ma anche nel lavoro in quanto è bravissima nelle riprese e nella fotografia. Con lei ho cercato di cogliere tutti i momenti più importanti e significativi del viaggio dedicando una giornata a riprese dell’ambiente. Abbiamo tenuto quell’impostazione tanto cara a me del documentario antropologico.

''Ritorno a Zara'', sul setNonna è un grande risorsa filmica perché è un grande personaggio. Ti fa capire che cosa sia all’ autenticità. Lei non parla soltanto, ma ha una gestualità enorme. Nel senso che cita i gesti: come quando giunge le mani a schiaffo nel ricordare l’opzione Sardegna del padre cacciatore e egoista, come per dire “ce l’ha fatta a ottenere quello che voleva!”.
Il lavoro di ripresa è stato faticoso perché a parte l’intervista a casa sua tutto il resto non ha niente di ricostruito, quindi abbiano cercato di riprendere tutto il suo viaggio senza l’utilizzo di microfoni radio per aumentare in lei il senso di autenticità. Abbiamo lavorato con un’ottima videocamera ma senza audio aggiuntivo e per me è stata questa l’incognita di tutto il viaggio. Sapevo bene che lei sarebbe  stata  fenomenale come tutte le mille volte che mi ha raccontato la sua storia, ma non sapevo se noi saremmo stati all’altezza.

Negli inserti a casa sua, Nonna è ripresa sullo sfondo di un vaso di rose bianche finte. Ha un significato particolare?
Su quelle rose c’ è un discorso a parte da fare. Mia nonna non ha mai saputo mantenere un fiore ne una pianta a casa sua. Non voleva più vedere piante o fiori morire e allora ha deciso di tenerli finti. Lei adora la sua attuale casa, adora Cagliari, ma allo stesso tempo ogni giorno si guarda allo specchio e vede se stessa nella splendida casa in cui è nata. E’ come se la vita vera non potrà mai andare avanti nella sua casa cagliaritana.

''Ritorno a Zara'', sul setLa musica è sempre presente e funziona da seconda pista dopo quella visiva. Sintetizza, descrive e commenta, rende le sensazioni della protagonista. Al principio c’è una musica tradizionale che richiama la terra croata. È il canto dell’abbraccio identitario. Il motivo del ricordo e della esperienza attuale di Zara è reso da una canzone di Martino Reggiani. Una ballata dello stesso Reggiani, eseguita strumentalmente insieme a Corrado Lotta è fa da accompagnamento all’attualità, al presente, alla descrizione dei luoghi, al passo di nonna Bianca nella sua città ritrovata.
Nella scelta della prima canzone è successo così: ho chiesto a Marco Lutzu di indicarmi qualcosa che richiamasse la terra croata e che fosse appropriato per un documentario di questo tipo. Lui mi ha dato un CD dei Klapa Braciera, un gruppo che canta a cappella e che è curato da un importante etnomusicologo croato Josko Caleta che fa ricerca sul campo e che registra i canti klapa (musica tradizionale dalmata) facendoli poi reinterpretare a un suo gruppo. “Maman Reine” e “La Ballata di Bendamatta” mi sono sembrate perfette per questo lavoro e credo diano un ottimo respiro alle immagini che altrimenti rimarrebbero asmatiche senza un buon sostegno musicale. Così ho chiesto a Martino Reggiani e a  mio fratello di registrare le basi senza voce e mi hanno accontentato aggiungendo il tocco del pianoforte.

''Ritorno a Zara'', sul set, Micaela CauterucciIl documentario ha il pregio raro di essere senza la fine. Ovvero la fine è l’inizio di un racconto che prosegue nel ritorno. Questa sospensione, queste tendenza a non definire è una delle qualità più importanti del cinema che vuole avere affinità con la realtà. Il film finisce con una cosa molto pratica: la nonna deve andare in canonica a pagare il costo della messa in suffragio del nonno, di suo marito.
Questo è un grande insegnamento del montatore di “Jimmy della Collina” Johannes Nakajima e del regista Enrico Pau. Ho scoperto quanto sia bello lasciare l’ultima parola agli spettatori, quanto sia bello non dare niente per scontato e far riflettere la gente. Chi esce da una sala cinematografica non deve mai parlare bene del film appena visto, ma ne deve parlare dopo una settimana.

25 luglio 2012