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Il divenire cinema di una traccia millenaria

Le riflessioni del narratore sul campo di "Su Re". Dal set alla prima di Torino: l' ambientazione, la lingua, l'espressionismo dei volti e delle voci. di Carlo Rafele
 
''Su Re''. Foto di scena di Luca CrippaCinemecum mi invita a tornare criticamente sul film che quattro anni or sono mi fu dato in sorte, costituendo un’esperienza davvero rara e particolare: esperire sul campo un’avventura cinematografica che a buon diritto si collocava, nelle intenzioni e nei risultati, in quell’universo – oggi desueto, da ripensare e ricostruire – che siamo soliti riconoscere come “cinema d’autore”.
La chiamata sul Set  significò accogliere e condividere “sul campo” una sperimentazione incessante, a volte estenuante, della quale non sarebbe superfluo vagliare le modalità produttive ed “esistenziali”, per scoprire e definire a quale prezzo in questi nostri anni un Autore-Regista possa rincorrere e affermare la sua Idea: un “patto” tra l’Opera e l’Autore che si rende possibile in porzioni di tempo che hanno durata di innumerevoli anni.
 
''Su Re''. Foto sul set di Rosi GiuaOggi, nell’entusiasmo della “prima” assoluta che il Festival Internazionale di Torino dedica a “Su Re”, mi preme guardare oltre il rumore e l’ebbrezza di quelle intense giornate vissute sul Set (vi rimando al “Diario-Reportage” - che redassi  per Cinemecum - nonché alla Partitura Radiofonica in 11 puntate scritta nel 2010 per Radio Sardegna, realizzata da Cristina Maccioni, con la Voce recitante in lingua sarda di Cesare Saliu) e concentrarmi su una precisa questione di carattere ermeneutico.
Si potrebbe dire, per paradosso, che un film che affronta i Vangeli presta il fianco a una sfida titanica. Se poi i Quattro Vangeli sono configurati come “tracce parallele” – com’era inizialmente nel Film-Progetto di Giovanni Columbu – la sfida si sposta sul terreno dei corsi e ricorsi interpretativi, divenendo da subito occasione di confronto su materie e tematiche che appartengono all’universalità del dettato culturale: icone di una dialettica critica e filosofica che non ha mai concesso riposo o scappatoie a coloro che hanno desiderato interpellarla.
''Su Re''. Foto di scena di Luca CrippaIn sostanza, la dimensione cinema-Vangeli necessita, per essere accreditata, della confluenza di una fitta trama di elementi “culturali” nell’accezione più ampia e indifferenziata; l’autore-regista non soltanto non potrà dirsi “ingenuo” ma dovrà necessariamente ingaggiare un confronto-scontro con quel fitto catalogo di tradizioni e riferimenti, testuali e figurativi, che invadono prioritariamente sia l’approccio letterale che la messa in immagini.
Di conseguenza, il Progetto “Su Re”, per dirsi attendibile, deve confermare o proseguire un percorso di interpretazione che non potrà mai dirsi “concluso”, che dovrà anzi mantenersi costantemente “aperto”, pronto ad arruolare nuovi tentativi, nuovi accessi. E al tempo stesso costituirsi come “variazione” del canone riconosciuto, accendendo forme e stilemi originali, ripetendoli e differenziandoli.
''Su Re''. Foto sul set di Rosi GiuaIl tentativo di Columbu germoglia e confluisce inizialmente verso tre direzioni che costituiscono appunto la “variazione” e che potremmo così connotare: l’Ambientazione, la Lingua, l’Espressionismo dei volti e delle voci. Tre direzioni che si immettono immediatamente nel libero giuoco dei riferimenti comparativi.
Accadeva sovente, nella pratica quotidiana del Set, di trattenere nella testa e sulle labbra i nomi dei cineasti che sul tema “Passione e Morte di Cristo” hanno offerto le prove più esemplari: Pasolini, Rossellini, Gibson. Su questi Nomi si giocava e si misura la delicata scommessa del film di Columbu. Con quali differenze, tuttavia?
''Su Re''. Foto di scena di Luca CrippaChe Giovanni prediligesse il tono “rosselliniano”, lo si poteva arguire e constatare sia leggendo alcune sue dichiarazioni che spiando dal vivo, sul Set, il desiderio di consegnarsi a quella oggettività socratica che proprio il regista-maestro de “Il Messia” aveva fissato come canone teoretico della sua ultima fase.
Eppure “Su Re”, proprio per quei peculiari caratteri di originalità, aggiunge e rafforza un elemento che in Rossellini è depotenziato, deliberatamente smorzato, mentre compare con evidenza nelle opere di Pasolini e Mel Gibson: l’Epos, il robusto respiro “epico” che la processione di volti e di voci lascia fluire senza tregua.
Un Epos espressionista, modulato sul tragico, che scaturisce anche nel tono delle luci, nella traccia del chiaroscuro, nella tinta della Crocifissione - potente, impavida, tremendamente nuda, scaturita sulle alture del Monte Corrasi.
''Su Re''. Foto sul set di Rosi GiuaSe in Gibson l’ossessione del primo piano si faceva racconto autonomo, “Su Re” incalza con la “smorfia” di natura espressionista, generata e ritrovata nella galleria dei volti: dal Cristo di Fiorenzo Mattu (variazione del Cristo di Holbein, che tanto inquietò Dostojevskij) ai due Ladroni dialoganti sulla Croce.
Da osservare, poi, il volto di Maria scolpito nella fierezza mediterranea di Pietrina Menneas; quindi Bruno Petretto per Giuseppe Arimatea, Tonino Murgia per Caifa, Paolo Pillonca per Pilato: facce che accordano la loro silenziosa presenza alla abbacinante cadenza delle Voci in lingua sarda: spaventose e stranianti.
Rimane, infine, il riferimento a Pasolini, a quel “Vangelo” datato ’64, di cui tanto si è scritto, che ormai gode di rendita imperitura, nascendo in una temperie storica propensa a mettere in discussione il “sacro” e stemperando l’acutezza dei contrasti nella dominante lirico-elegiaca, che trovava appagamento nella voce fuori campo di Enrico M. Salerno.
''Su Re''. Foto di scena di Luca CrippaA tal proposito mi piace rammentare l’episodio che vide protagonista il regista Glauber Rocha, in visita a Parigi nella redazione dei “Cahiers du cinéma”. Si lavorava su un numero speciale da dedicare a Pasolini morto pochi mesi prima, i redattori offrirono a Rocha un microfono e gli chiesero di improvvisare un ricordo del regista del “Vangelo secondo Matteo”.
Rocha disse: «Pasolini è stato perverso quando bisognava essere sovversivi e, cosa ancor più grave, ha sognato un Cristo-Edipo quando c’era bisogno di un Cristo nero e nudo».
Sembrerebbe, oggi, la migliore introduzione all’esperimento “Su Re”, le cui prime immagini rivelano un Cristo trattenuto nel dettato – autorevolmente e indiscutibilmente “paterno” - del profeta Isaia.
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27 novembre 2012