Percorso

"Dimmi che destino avrò" di Peter Marcias

Presentato al "Torino Film Festival" il film sarà nelle sale ai primi di dicembre ed è il consiglio della nostra critica Elisabetta Randaccio.
 
''Dimmi che destino avrò''Peter Marcias conferma la sua attenzione per il sociale e l'emarginazione anche con il suo ultimo film “Dimmi che destino avrò”, che ha debuttato al “Torino Film Festival” nella sezione “Festa mobile” ed è stato girato in un campo rom della periferia di Cagliari. L'intento del regista è quello di mettere fuori gioco qualsiasi  trito stereotipo sul tema, così la struttura narrativa (il soggetto e la sceneggiatura sono di Gianni Loy, un esperto sull'argomento) non cede né al pietismo, né al cronachismo, né alla divisione manichea in buoni e in cattivi dei protagonisti. Il plot inizia con una debole indagine di un malinconico commissario (ha perso da poco tempo la moglie) per una presunta scomparsa/sequestro di una ragazza rom, risolvendosi in un viaggio attraverso una cultura differente, ma sorprendente, incarnato, nella sua dimensione meno scontata, in una giovane donna, Alina. Quest'ultima è incerta tra la vita “impersonale” a Parigi -che permette di perdersi nella folla senza essere notati - e quella nel campo in Sardegna, dove la famiglia la travolge con il suo affetto e i suoi problemi.
 
''Dimmi che destino avrò''L'incontro tra i due è scandito da episodi esemplari, quasi didattici, tipici di una società la quale sembra non voler accettare la pluriculturalità, dove dovrebbe dominare la tolleranza e il rispetto, mentre a prevalere è la diffidenza, la paura, lo stereotipo, l'ipocrisia. Il commissario Esposito pare risolvere il problema occupandosi dei bambini del campo, “allontanati” dalla scuola, ma capaci di recuperare la loro creatività nello sport universale per eccellenza: il calcio. Per il poliziotto sarà il giusto modo di comprendere l'universo rom, pure senza la mediazione di Alina, che non può fermare il suo percorso esistenziale nell'accettazione di un'amicizia inaspettata e speciale. Il loro incontro diviene, così, un soffice allontanamento, in grado di produrre un segno profondo nelle loro sfera emotiva e sociale. Marcias, insomma, frena la retorica, gira una fiction, ma non dimentica la dimensione del reale. In questo senso, sono interessanti le scene in cui alcuni protagonisti dimenticano di essere personaggi e raccontano se stessi.
 
''Dimmi che destino avrò''Soprattutto nella sequenza del dialogo tra Esposito e i ragazzini, che sintetizzano senza drammatizzare le loro esperienze e i loro sogni, sembra di essere in un film di tipo neorealista, dove la verità nasce senza sforzo dalla quotidianità di chi è ripreso dalla telecamera. Il regista cagliaritano, inoltre, dimostra, ancora una volta, la volontà di maturare, di crescere come artista. La sua grammatica visiva diventa originale e maggiormente dinamica, rispetto ai lavori precedenti, mentre si conferma un buon direttore di attori. Salvatore Cantalupo (già apprezzato in “Gomorra” di Matteo Garrone), ma soprattutto Luli Bitri, veramente affascinante, riescono a definire i personaggi con sensibilità e intensità. Marcias, poi, si “diverte” anche a intrappolare lo spettatore in giochi di sceneggiatura imprevedibili: tutta la linea narrativa che riguarda il figlio di Esposito si nutre di ambiguità interpretativa e, probabilmente, lascia il desiderio di approfondire la storia complessa di questo personaggio e del rapporto con il padre.

Da segnalare anche la bella colonna sonora di Eric Neveux, priva di folclorismi scontati, si integra in maniera eccellente con il percorso psicologico dei personaggi.

27 novembre 2012
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