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Alessandro Lai, il grande manipolatore

Da Cagliari a Roma,oggi costumista di celebri registi, racconta la sua arte e i suoi progetti e parla del cinema in Sardegna: “ le maestranze e i mestieri non si inventano”. L'artista chiede rispetto per chi lavora ma è contrario ad ogni ideologismo. Dice no alla balentìa e all'ostinazione dei sardi ad essere autosufficienti. di Valentina Corona

Alessandro LaiDOPO L'ARTICOLO IL VIDEO

In una giornata dei primi di ottobre, a Roma piove. Alessandro Lai mi apre la porta di casa sua ed è al telefono. Parla di coppe ma non ci metto molto a capire che sta parlando di lavoro con una delle due preziose assistenti.

Mi fa accomodare, finisce la sua chiamata e si dedica a me. Mi mostra una favolosa vista sulla cupola di San Pietro che troneggia dall’attico di Via Napoleone III e poi si incomincia a fare sul serio. Si inizia parlare di cinema.
Il suo essere impegnato mi viene confermato anche da lui: Alessandro D’Alatri, Pier Francesco Favino e Muti, sono i prossimi progetti in porto. Costumista di successo e di fama nazionale, Alessandro Lai, nato a Cagliari, lavora copiosamente a Roma e non solo.

Piero TosiDa Cagliari alla grande bellezza di Roma...
Ho studiato a Cagliari e lì è nata la mia grande passione per Piero Tosi (rinomato costumista nonché insegnante di costumi del Centro Sperimentale di Roma n.d.r) e Visconti che poi sono diventati la mia vita. Con Tosi siamo tutt'ora amici, è stato il mio maestro, tutt'ora lo è; è quello del quale temo di più il giudizio, quello che sicuramente più mi condiziona. Lo sento molto spesso e siamo molto legati l’uno all’altro. È una persona incredibile. Dovresti fare un'intervista a lui, non a me. Lui ha vinto l'Oscar alla carriera, finalmente! Soprattutto dopo cinque nomination! Il suo commento è stato: “Caro, spero non ti capiti mai la tragedia che è capitata a me: quella di dover vincere un Oscar”.

Alessandro Lai al lavoroDall'Oscar alla carriera di Tosi ai tuoi Nastri d'Argento. Cosa si prova?
Ne ho vinti due, un grande riconoscimento, ma mi piacerebbe più vincere un David di Donatello. Purtroppo, sinora, ho solo 3 candidature. L'ultima inaspettata, proprio quest'anno, per un piccolissimo film.
La cosa più bella è che si va al Quirinale, una gita bellissima, una bella festa di cinema. È un riconoscimento che fa piacere perché dà importanza a un mestiere che, per come è gestito dallo stato italiano, sembra sempre poco importante. Ecco perché mi piace, non per un fatto personale, ma perché così si ridà prestigio al mestiere che faccio.
È quello che ho sempre voluto fare, lavoro tanto, tutta la mia vita è il mio lavoro e poche altre cose, per cui non mi stanco mai. Anche quando tu sei arrivata, stavo lavorando, anche ora sto pensando a quello che devo fare ed è la cosa che mi appassiona di più.
Oggi ho comprato degli occhiali per il Musical di Favino, incredibili! Sembrano anni '30, mi piacciono molto tutte le rifiniture, i dettagli. Anche se faccio un Musical, mi piace rifinirlo esattamente come se fosse un film con i primi piani.

Preferisci fare un film con costumi d'epoca o moderni?
Innanzitutto preferisco sempre fare un film. Adoro il cinema, sono drogato di cinema e lo amo in tutte le sue forme. Non preferisco il film in costume; mi piace anche il film contemporaneo, può essere molto costume anche se metti una maglietta - Ferzan ne è la dimostrazione e in conclusione, mi piacciono tutti.

Ferzan OzpetekTra i tanti registi con cui hai lavorato, con quale ti sei trovato meglio?
Amo molto i miei registi, tutti: con Ozpetek c’è un sodalizio speciale e ormai abbiamo fatto cinque film insieme; e la Archibugi, grande regista e autrice a cui sono molto legato: farò il suo nuovo film che inizierà a marzo - dopo anni (l'ultimo film girato insieme è stato “Questione di cuore” del 2009 -  e si girerà a Roma, cinque attori chiusi in una casa.

E la Sardegna?
La Sardegna non è fatta per il cinema. È un'isola che ha altre caratteristiche. È una terra che può essere filmata a livello documentaristico, ma il cinema non è nato e non è cresciuto in quella terra; non si è sviluppato in Sardegna: di questo bisogna tenerne conto. Lo dico studiando la storia in maniera oggettiva. Il cinema si è sviluppato, anzi è nato in poche zone del mondo: Italia, Hollywood, Cina, India; ci sono dei luoghi che hanno fatto sviluppare il cinema e hanno raccontato delle storie; e hanno creato le maestranze che hanno fatto il cinema. Hollywood è diversa da Cinecittà, Bollywood è diversa dai film di Zhang Yimou. Ognuno di questi luoghi ha avuto una forza geografica. Il cinema non è nato e non è mai stato fatto veramente  in Sardegna.
Questo lo dico anche per rispetto verso coloro che lo fanno. C’è stato altro: c’è stata la scrittura. Infatti penso che molti dei registi sardi siano soprattutto degli autori di scrittura. Salvatore Mereu è un bravissimo scrittore, la sceneggiatura di “Bellas Mariposas” è una delle più belle che abbia mai letto. Enrico Pau è un ottimo sceneggiatore e tra l’altro spero di fare a breve il suo ultimo film.

''Bellas mariposas''Dopo Roma, com’è stato tornare a lavorare a Cagliari?
“Bellas Mariposas” è stato il primo caso. Mi sono trovato molto bene. È un film che è stato pensato per Cagliari. La sceneggiatura era straordinaria, da Oscar. Purtroppo il film ha sofferto di tare produttive che hanno condizionato soprattutto la seconda parte del film della lavorazione.
Ci sono senza dubbio delle parti estremamente interessanti, ad altissimo livello. Poi forse la storia nel contesto cagliaritano ha sofferto durante la realizzazione, soprattutto per lacune organizzative. Non mi sembra che ci sia neanche la volontà di cambiare qualcosa, le maestranze e i mestieri non si inventano.
Quando sono stato a Cagliari per quel film ho girato soprattutto con sardi perché si trattava di un piccolo film: purtroppo è stato difficilissimo trovare qualcuno che avesse un minimo di professionalità indigena; che sapesse cos’era un raccordo, un inquadratura etc… L’ho trovato disarmante. Quando ero lì ho pensato che ormai, essendoci una Film Commission,  in futuro  si sarebbero potute tirare su queste figure: truccatori, parrucchieri, costumisti, direttori della fotografia, iniziando con il fare i video assistant e così via. Ma chi insegna a chi in Sardegna? Studiare è importante. Il contesto di crescita lo è ancora di più. Se manca la base, tutto il resto è più difficile e creare del cinema in Sardegna è davvero duro.

''Keep cool'' un film di Zhang YimouIl limite dei sardi è quello di pensare di essere autosufficienti. Io non lavoro da solo, ho tanti assistenti a cui demandare e non penso di esserci solo io.
Ho conservato dei caratteri sardi di moralità, amicizia, quasi arcaici di solidità e carattere; sono tenace però l’ostinazione, l’ottusaggine, la balentìa, no. Non si va molto lontano, con queste caratteristiche. C’è un lato isolano che non ci porta tanto lontano ed è rischiosissimo. Il cinema per me non ne ha bisogno. La mia domanda è: perché il cinema deve essere fatto in Sardegna? Sì, si può fare, non lo dico a livello colonialistico: se c’è una storia si può anche fare, ma se dovessi fare un film in Sardegna, mi porterò le persone da fuori.
Il cinema è scrittura, metodo, non è improvvisazione. Non tutti possono fare il cinema. È un mestiere vero, di professionisti, che richiede delle specializzazioni e delle specialità.
A me piace stare in Italia; qua a Roma mi sento al centro del mondo culturale. Mi sento rinascimentale. I nuraghi sono bellissimi , ma la testa ha bisogno anche di altro. La Sardegna  è una terra con delle grandi potenzialità inespresse, ma dà l’idea di non voler cambiare: a volte sembra statica, solida ma ostile a qualsiasi miglioramento.

Enrico PauEppure qualcosa sta cambiando… per esempio Moviementu.
Si, è una bella iniziativa ma diffido di un certo modo “radical chic” e di un certo ideologismo superficiale che è lontano dai miei gusti . Il momento è molto difficile, i soldi per fare i film sono pochi e ce n’è molto bisogno, però non puoi fare i film per forza anche quando non li hai. Bisogna avere sempre rispetto per le regole e per chi lavora: non si possono superare certi i limiti. In Sardegna, invece, talvolta vengono superati, a Roma non sarebbe possibile. Fare questo lavoro non significa doverlo fare a tutti i costi, soprattutto se mancano le basi. La Sardegna è diventata una terra di nessuno.

Che ci dici della proposta di Enrico Pau di girare il suo prossimo film?
Si chiama “Accabadora”, ma non ha niente a che vedere con il libro di Michela Murgia. Ha una sceneggiatura ad altissimo livello e spero che Enrico riesca a realizzarla con tutti i mezzi che occorrono. Io mi sono messo a disposizione e lo reputo un grande cineasta. Il film sarà in costume d’epoca, non ti dico altro.
So che Enrico non ha ancora trovato tutti i soldi che gli servono, io gli ho anche proposto di girare il film  in Puglia e lui si è messo a ridere. Lì io lavoro spesso. C’è una Film Commission straordinaria. Ho fatto “Mine Vaganti”, “Appartamento ad Atene”, “L’amore è imperfetto”, “Allacciate le cinture”, “E la chiamano estate”, ben cinque film, tra Bari e il Salento.
Le poche volte che ho avuto a che fare con la Film Commission Sardegna, ci sono rimasto male in quanto non sapevano nemmeno chi fossi – non perché io sia importante- ma perché mi sono accorto che non conoscevano nemmeno le maestranze; avevano una semplice lista di alberghi. La FC non è solo dare le facilities, ma dovrebbe anche tirare su le maestranze: ciò significherebbe creare un'opportunità di lavoro in un momento di crisi. Ci vuole un contesto adeguato, è necessario creare un minimo di struttura. Vedo delle regioni che sono gestite globalmente in maniera diversa. I sardi alle volte invece sembrano velleitari.

Caterina MurinoC’è qualche attrice sarda che ti piacerebbe vestire?
Caterina Murino senza dubbio. Abbiamo già fatto insieme un provino per “La vedova scalza”, che poi non è sfociato in un film, ma è stato un incontro bellissimo. Mi ricordo di una fotografia, dove lei è vestita da me, in cui risultava molto glamour.

Leggi Cinemecum? Ti piace la nuova veste grafica?
Leggo Cinemecum da tanto, e la nuova versione per me è ancora da migliorare, soprattutto perchè si parla ancora troppo di Sardegna che dal punto di vista cinematografico ha poco da raccontare. Vi consiglio di fare le interviste agli altri, non ai sardi. Il cinema è mondiale e non può ridursi  a qualcosa di circoscritto. Va bene Cinemecum ma potrebbe essere ancora più aperto.

Gianni AmelioSe un ragazzo poco più che ventenne, di Cagliari, volesse intraprendere la tua professione, che cosa gli consiglieresti di fare?
Studiare, studiare, studiare. Andare via e viaggiare. Anche se a dir la verità sono pochissimi quelli che vogliono fare questa professione. Siamo delle rarità e non è qualcosa che capiscono tutti all’inizio. È un mestiere di manipolazione: prendi qualcuno che non conosci e lo manipoli nel corpo, nella forma, nella postura. È quello, non è fare vestiti. Poi bisogna saper fare anche quello, ma non è solo quello, sia chiaro. È un lavoro di manipolazione sia fisica che psicologica: devi far diventare qualcuno un altro, e manipolarlo.
Se qualcuno si sente di voler fare questo mestiere, deve prima di tutto studiare la storia del cinema, conoscere i film del passato, soprattutto quelli degli anni ’30, l’epoca in cui il cinema è stato creato e sviluppato, conoscere il cinema russo, quello post rivoluzionario, il cinema italiano, ovviamente, specie quello degli anni d’oro. Conoscere e studiare i grandi registi: Gianni Amelio, che per me è il più grande dei registi viventi, oltre a Sorrentino, il mio Ozpetek.
Poi, non solo cinema ma anche storia dell’arte, nata prima dell’avvento del cinema e poi la letteratura.
Se qualcuno vuol fare il costumista, ben venga, ma l’importante è che capisca che non significa fare vestiti. I costumi non sono vestiti. Anche se io sono un grandissimo appassionato della storia dei vestiti. Sono come un archeologo, mi piace studiare le mode, gli stili, i tessuti, gli abiti del passato...

Alessandro Lai e la costumista Gabriella PescucciA questo punto mi viene naturale chiederti con quali registi vorresti collaborare…
Senza dubbio Gianni Amelio perché riesce sempre ad avere un grande equilibrio tra la sceneggiatura, la direzione degli attori, l’immagine, senza essere mai noioso ma sempre profondo ed emozionante.
Poi c’è anche Sorrentino, film come i suoi ben vengano: sono il trionfo del mio lavoro, del lavoro della scenografia, della fotografia, degli attori, è il trionfo del cinema. Ne “La grande bellezza” - per citarne uno - Sabrina Ferilli ha guadagnato tanti punti.
Paolo Virzì, anche se ci ho già lavorato a teatro, mi piacerebbe farci un film. E ovviamente rifare un nuovo film con Ozpetek, lui non mi basta mai! Ogni volta è sorprendente!


 

L'INTERVISTA A ALESSANDRO LAI

 

 

23 ottobre 2013