Stampa

La Grande Bellezza, ovvero alla ricerca dell’uomo perduto

di Paolo De Angelis

''La grande bellezza''Che bel film, La Grande Bellezza! Tanto da non sembrare neanche un film italiano ma, semmai, di cultura internazionale e forse per questo, mentre in Italia fioccano le critiche negative ed anche un po’ velenose (che lo definiscono ambizioso e sovrabbondante), il lavoro di Sorrentino è apprezzato all’estero in modo incondizionato, con riconoscimenti e premi a ripetizione ed una accoglienza trionfale.

Eppure, a limitarsi ad una visione in superficie, sembra una storia solo italiana, caratterizzata com’è da una narrazione concentrata su “tipi” ed ambienti che vivono in un perimetro molto limitato al centro di Roma e in una società capitolina fatta di antica aristocrazia, alti prelati, redazioni di giornali culturali e terrazze davanti al Colosseo: ma è il messaggio del film che supera gli angusti limiti territoriali e viene letto in una chiave molto vicina a valori universali.

Perché, in realtà, quella che appare come una storia quasi lineare, che insegue i pensieri sempre più tormentati di Gep Gambardella, giornalista e uomo mondano, è un groviglio di storie e riflessioni, senza possibilità di dipanare quel filo narrativo, così complesso ed articolato; possiamo leggere il film partendo dall’impronta felliniana, oppure dalla crisi di un sessantacinquenne o ancora dalla vacuità dei discorsi annoiati dell’upper class romana o infine (ma ce ne sono ancora moltissime) dai riti pagani dei balli di gruppo o delle cerimonie rituali della chirurgia estetica.

''La grande bellezza''Ma, qualunque sia il punto da cui si osserva, nessuno di essi può rendere appieno il senso profondo che è nascosto, con abilità impressionante, dietro ogni immagine ed ogni frase del film: perché il centro della storia, attorno al quale ruota l’intero caleidoscopio di immagini, suoni, discorsi, notti insonni, incontri e ricordi (e molto altro ancora) sta proprio nel titolo, la Grande Bellezza, appunto.
Cosa sia, Sorrentino non lo dice, è chiaro che lo fa apposta, che intende mantenere coperto questo segreto dell’esistenza, lasciando a noi spettatori lo sforzo interiore della ricerca; ci da un indizio, quando fa dire a Gep che non ha più scritto un romanzo perché “cercavo la Grande Bellezza e non l’ho trovata”, un modo per dirci che è un concetto che riguarda ed ha a che fare con un equilibrio, una ricerca, uno stato interiore.

Ma ciò non basta a comprendere appieno il suo significato più profondo e reale, anche se viene spontaneo riflettere sulla siderale lontananza tra la Bellezza e quel mondo della notte, così perso nella sua personale discesa agli inferi, in una danza ininterrotta ed ipnotica che somiglia tanto al preannuncio della morte: e, se è vero che la Bellezza è il contrario delle esistenze che i protagonisti vivono, ciò significa che il mondo reale non ci offre altro che brandelli di vita, momenti senza valore, simboli privi di significati profondi, modelli di comportamento incapaci di esprimere altro che seriali coazioni a ripetere e ad imitare.

''La grande bellezza''Allora torna la domanda, che cos’è la Grande Bellezza? A quale dimensione appartiene, una volta esclusa quella della realtà materiale? Sembra, ad un certo punto della storia, che il film punti verso aspetti spirituali (la Santa che vive di radici; i dubbi religiosi di Gep) ma anche in questo caso la storia sterza all’improvviso e ci dice che no, non si allude a quello (almeno, non solo a quello): Sorrentino non crede del tutto alla sincerità di chi fa dell’anima un banco di lavoro e  descrive anche questo mondo come un luogo di convenzioni banali, basate sulla convenienza e l’ipocrisia (anche se alla Santa riconosce lo sforzo del sacrificio personale, con il tremendo tormento della scalinata salita in ginocchio alla ricerca di una salvezza interiore).
Perché tra la materia e lo spirito c’è ancora un’altra dimensione, che è quella del sogno: la chiave onirica è quella che lega tutto il racconto e che lo spiega in modo coerente.

Non che sia una lettura interamente psicanalitica che avrebbe però il pregio e lo spazio per una visione di insieme del film (giraffe tra le antiche vestigia della civiltà romana; fenicotteri a riposo sulla terrazza delle chiacchiere vuote) ma una vera e propria esperienza dell’anima nella sua più intima e profonda capacità di decodificare, oltre la realtà, i segnali che la percezione sensoriale non può o non vuole capire.

''La grande bellezza''E infatti Gep prende sonno fissando il soffitto e rivedendo il mare della sua adolescenza; si aggira in un bar tra sconosciuti, muovendosi al rallenty, mentre sente una voce che gli dice “adesso chi si occuperà di te?”, per la consapevolezza acquisita della morte di Ramona; una bambina, da una cripta sotterranea, gli grida “non sei nessuno”; la direttrice nana si sveglia nel cuore della notte e si aggira in una terrazza deserta, cercando la massa scalmanata che (forse) era lì poco prima. E ancora, la costante alterazione del ritmo veglia-sonno, che porta a confondere i piani del tempo e della realtà, quell’aggirarsi all’alba, nei vicoli più nascosti della città eterna, spiando con invidia la pace serena dei cortili nei conventi, i ricordi che riaffiorano dal passato e costringono a rievocare la propria esistenza dimenticata: è la dimensione del sogno e non importa se gli occhi siano aperti o chiusi, interessa solo l’incessante flusso della coscienza che rielabora e sistema i frammenti delle vite che abbiamo vissuto.

Non è allora casuale che Sorrentino affidi all’arte e alla letteratura buona parte del percorso narrativo, come le pietre che Pollicino semina per ritrovare la sua strada: quadri meravigliosi e statue magnifiche custodiscono il segreto  di civiltà scomparse, incomprensibili nel chiasso scalmanato che ci attornia; le citazioni letterarie sul tempo perduto e sul nulla che non può essere raccontato sono tentativi di dare forma al caos delle esistenze.

''La grande bellezza''Il film traccia il percorso e ci invita a seguirlo: nei cunicoli dei palazzi romani così come sotto il cielo stellato la ricerca di un punto fermo è sempre al primo posto nelle paure e nelle ansie degli uomini; Sorrentino lo sa e, mostrandoci l’abisso nel quale siamo precipitati, ci ricorda che la mappa del tesoro, se sappiamo riconoscerla, è stampata dentro di noi.
Finisce il film e almeno sia in grado di capire che c’è una bella differenza tra il conoscere Antonello Venditti e salutarlo con sufficienza, come segno del proprio successo sociale; e conoscere, ad uno ad uno, i nomi di tutti gli uccelli, come espressione di una pace raggiunta e conquistata.
E così possiamo anche comprendere che ascoltare il racconto del nostro passato da una voce registrata che ci ricorda quando eravamo felici è un dolore lancinante, eppure, se non ci rimane altro, anche questo ci può bastare.

''La grande bellezza''Ed è a questo punto che la Grande Bellezza si fa strada e sbuca dove meno te le aspetti: è nel profondo dell’anima, sepolta da mille parole inutili e da un mare di corpi sudati ed avvolti dalla disperazione, ma è lì, saldamente ancorata alla nostra memoria, a ciò che eravamo e che poi non siamo più stati.
Gep si confessa e più che deluso si considera deludente: ma riesce a recuperare un ricordo, una sensazione, una fiamma che aveva dentro ma aveva perso e sorride, sotto la luce del faro, davanti al corpo spiaggiato della Concordia, simbolo di ogni fallimento, felice di aver ripreso un filo che gli apparteneva e che credeva di non avere mai avuto.
E si, caro Sorrentino, grazie veramente, perché è proprio così: la Grande Bellezza, se solo avessimo la forza di ricordarlo, siamo noi.

Articoli correlati:

Dimensione Roma

La "Grande bellezza" alla sfida dell'Oscar

19 febbraio 2014