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''Quando c'era Berlinguer'' di Walter Veltroni

Il consiglio di Elisabetta Randaccio

''Quando c'era Berlinguer''La prima immagine del film “Pugni chiusi”  (2011) di Fiorella Infascelli, toccante documentario sulla vicenda degli operai della Vynils che, per quindici mesi si autoisolarono nell'ex carcere dell'Asinara, inquadrava un operaio il quale, rivolgendosi alla camera, diceva “Mi manca Berlinguer, sì, mi manca Berlinguer”.

Era un modo, sicuramente inconsueto, di evocare una figura di riferimento per operai e cittadini alla ricerca di una politica più concreta, maggiormente legata alla realtà e non esclusivamente rivolta al potere, che non tanto logora chi non ce l'ha, ma diventa una dipendenza oscura, perdendo qualsiasi senso della ragione per cui lo si è conquistato. L'autorefenzialità per eccellenza.

''Quando c'era Berlinguer''Ecco, allora, è bene cercare di ricordare un figura rigorosa, ma passionale, non un eroe, non un santo, ma una persona convinta della importanza dell'impegno politico, come esempio di dignità assoluta, compito necessario per far crescere il proprio paese: Enrico Berlinguer (1922-1984).
Walter Veltroni, alla sua prima prova da regista, sceglie una prospettiva che non cede mai né alla spettacolarità, né al comune biopic da “santino” moderno. Gli aneddoti personali sono praticamente azzerati, le interviste, persino quella alla figlia, sono il racconto di uomo capace di tentare una grande scommessa politica e, nella sostanza di perderla, pur facendo toccare al suo Partito Comunista quel trenta per cento il quale neppure negli anni togliattiani aveva mai sfiorato.

''Quando c'era Berlinguer''Le immagini in bianco e nero delle vecchie “tribune politiche”, che avevano milioni di ascoltatori, pur senza  protagonisti urlanti o sbracati negli insulti scatologici, raccontano la ricerca di una via europea al comunismo, assai diversa da quella intrapresa in URSS, i risultati degli anni settanta e quelli oscuri precedenti il rapimento di Moro, la battaglia persa alla FIAT nel 1980 e, poi, la morte, quasi in diretta in un ultimo sofferto comizio, che Veltroni ci mostra in tutta la sua drammaticità. Fino all'ultimo, prima il dovere e il rispetto degli elettori, poi se stesso. Certo, in “Quando c'era Berlinguer” ritroviamo anche il contesto, il periodo della guerra fredda e quello della rivolta del settantasette.

''Quando c'era Berlinguer''Si sente pure Franceschini, uno degli ideologi delle Brigate Rosse, mettere in evidenza come uno degli intenti del gruppo fosse spaccare il Partito Comunista. Il montaggio, ben organizzato di Gabriele Gallo, ci fa intravedere gli anni di piombo e quelli della disillusione. Ogni intervistato ammette come, morto Berlinguer, sia finita sia un'idea seria e chiara di politica di opposizione, ma anche l'essenza di un Partito. Il regista, poi, non eccede neppure nelle immagini dell'incredibile funerale, dove fu protagonista una folla, che sembrava soffrire davvero: su questo episodio, infatti, esiste almeno un altro film, assai dettagliato, firmato da grandi registi del cinema italiano (“Ciao Enrico”, 1984).

''Quando c'era Berlinguer''E proprio nei titoli di coda di “Quando c'era Berlinguer”, bel documentario che, grazie ai distributori (la BIM), tenta la via delle sale in maniera dignitosa e non frettolosa e umiliante, vediamo la scena del picchetto d'onore al funerale del segretario del partito comunista con i migliori autori del nostro cinema: Maselli, Antonioni, Scola, Magni, Mastroianni, Gregoretti, Lizzani, alcuni, ancora oggi alla ricerca di un'Italia dove la cultura sia una risorsa e non un peso, altri, invece, lo hanno raggiunto e si sono presi parte della nostra memoria e della nostra storia.

2 aprile 2014