Percorso

L'"Atto di Dolore" di Joe Bastardi

L’ultimo cortometraggio del video maker cagliaritano. L’intervista di Monica Galloni

''Un'atto di dolore''Un atto di dolore”, l'ultimo cortometraggio del videomaker Joe Bastardi, lascia spazio a più livelli interpretativi. La trama è (in teoria) semplice: il film ricostruisce una triste vicenda  di abusi sessuali, subiti da alcuni ragazzi da parte di un prete all'interno di un seminario.

Ma non c'è nulla di ovvio o di palese; è un film circolare che a una prima visione appare frammentato, ma  invece offre gli elementi per capirne i collegamenti interni, e per preparare gli spettatori ad un finale che per molti risulterà inaspettato, ma che si ricongiunge alla perfezione con l'incipit iniziale.
Un atto di dolore” racconta la storia vera, a tratti romanzata, di un prete, Don Giorgio (Emilio Puggioni), che decide di dare voce, grazie all'aiuto del giornalista Sandro (Ugo Garau) e di Don Massimo (Gianluca Medas) e al consiglio dell'insolito ma determinante Don Enrico (Alessandro Spedicati), a tredici ragazzi vittime, in tenera età, degli abusi di Don Matias. Il film pone di fronte a molti interrogativi  e sollecita profonde riflessioni sociali.

''Un'atto di dolore''Il regista non  prende per mano lo spettatore per aiutarlo a farsi strada nell'intreccio narrativo; come sottolinea lo stesso Joe Bastardi: «non vi è nulla di troppo spiegato o palese: è lo spettatore che se lo deve spiegare». A tale proposito il filmmaker cita Kandinskij e il concetto di arbitrio: «La composizione non è frutto di arbitrio, non è l'uomo che guida questa forza, è la forza che guida l'uomo. Io non intendo dipingere nessuno stato d'animo. Il corso indefinibile e tuttavia determinato dell'animo è lo scopo di ogni mezzo artistico».
Tutto inizia con un “Atto di Dolore”: un'inquadratura estremamente suggestiva di un uomo, fuori fuoco, ma dalla chiara fisionomia, che recita, per l'appunto, la preghiera del pentimento. La seconda inquadratura ne completa il senso, ci spostiamo all'interno di una chiesa, le riprese sono tremolanti, quasi incerte: un altare, un Cristo crocifisso. Chiaramente simbolica la scelta dell'inquadratura che sottolinea il senso di colpa, la silente vergogna del personaggio davanti a un senso di fede che si intuisce traballante, come la macchina da presa.

''Un'atto di dolore''L'“Atto di Dolore” che dà il titolo al film è un intricato groviglio di sentimenti simili e opposti, solitari e condivisi; sottende lo stato d'animo del carnefice; e quello di Don Giorgio, colpevole di non aver fatto nulla quindici anni prima, quando avvennero le violenze, e la sua lacerazione interna tra due spiriti di cristianità: quella individuale e quella radicata all'interno della chiesa cattolica, che potrebbe facilmente sfociare nel protezionismo. E' anche, e soprattutto, l'atto di dolore dei ragazzi violati, ognuno con una propria personalità e quindi una differente reazione, ma tutti quanti segnati, nel profondo, dalla stessa ferita.
Trattare una tematica così delicata e scottante è un atto di coraggio, ma può facilmente trasformarsi in scelta temeraria, con il rischio di intraprendere un sentiero troppo ambizioso; in questo caso l'interpretazione dei ragazzi violati non riesce ad essere efficace nel restituire allo spettatore la drammaticità dell'evento. Molto difficile provare anche solo un vago sentimento di immedesimazione nei loro racconti, sono dei resoconti recitati, non sentiti, non riescono a veicolare quel senso di angosciante partecipazione che ci si aspetterebbe, nulla che scuota l'anima. La tensione narrativa ne risente notevolmente.

''Un'atto di dolore''Una menzione particolare va invece alle musiche composte da Stefania Secci che accompagnano con delicatezza e pathos il racconto, senza mai essere didascaliche o ridondanti, e impreziosiscono la narrazione dando spazio alle emozioni. Il senso di inquietudine, il dramma interiore e la tensione verso la verità affiorano nelle sequenze grazie anche all'efficace fotografia di Claudio Marceddu, che dipinge con tonalità cupe ma anche luminose le dicotomie della storia, creando una dimensione quasi monocromatica.
La toccante inquadratura finale è sottolineata dalla voce struggente di Rossella Faa che interpreta un commuovente ''Canto della madre''.

Joe BastardiLa parola al regista Joe Bastardi:
Com'è nata in te l'esigenza di raccontare questa storia scomoda?
Non mi ero accorto di avere una storia da raccontare. C'è stato, diversi anni fa, un incontro con un amico che mi ha confidato una storia; da lì un concatenarsi di situazioni mi hanno portato a conoscere un contesto drammatico. Il corto non è stato un'opera voluta a tavolino, ma più una scoperta che una scelta. Le testimonianze che gli attori rendono nel film sono racconti di vere violenze, realmente accadute; ognuno di loro interpreta un ragazzo violato che esiste e che ho incontrato e ne ripropone gli atteggiamenti (nella realtà sono sette). Nessuno di questi ragazzi ha voluto denunciare il fatto, nessuno di loro ha voluto leggere la sceneggiatura o vedere il cortometraggio.

Come sono stati selezionati i ragazzi?
Quasi tutti provenivano dalle scuole teatrali di Cagliari, si sono presentati in 140, non capivano come affrontare un provino o in che modo riuscire ad entrare nella psicologia di un personaggio, soprattutto in quella di un ragazzo abusato, che tutto può essere tranne che teatrale o eccessivo. In questo è stato fondamentale l'aiuto di Jacopo Cullin, che ne ha curato la recitazione con preziosi consigli.

''Un'atto di dolore''Com'è nata la scelta di far interpretare il ruolo di Don Enrico ad Alessandro Spedicati - noto come Diablo, storica voce dei Sikitikis-?
Molto semplice, ha fatto il provino ed è stato il più bravo. Grazie alla sua sensibilità ha capito perfettamente la psicologia del personaggio, quella di Don Enrico, un prete che gestisce una comunità, un uomo che ha vissuto certe esperienze e che si è fatto prete in età avanzata. Avevo bisogno che raccontasse questo anche esteticamente e i suoi tatuaggi lo hanno reso ancora più credibile. E' un prete che dispensa ottimi consigli usando come citazioni gli scritti giovanili di Marx, sicuramente atipico.

E' inevitabile chiederti se dietro questa storia ci sia un atto d'accusa volontario contro la chiesa...
Sono convinto che la Chiesa ne esca bene, nessuna accusa, solo una riflessione e magari un sottile consiglio, cioè quello di slegarsi da certe sovrastrutture.
Tutti i personaggi sono in cerca di redenzione, alcuni come Don Massimo compiono il loro atto di dolore senza però riuscire a distaccarsi dalla sovrastruttura ecclesiastica. Ognuno in modo del tutto personale e intimo si sente colpevole di qualcosa.

Sul setChi ti ha sostenuto nella realizzazione del film?
Tante persone, soprattutto Peter Marcias e Enrico Pau, che reputo i miei punti di riferimento, principalmente a livello umano, per la loro profonda sensibilità e ovviamente anche a livello artistico.
Sicuramente qualcuno avrà sollevato qualche critica per via di alcuni aspetti un po' criptici del film.
Innanzi tutto credo che sia un corto che vada visto almeno tre volte, molte cose sfuggono al primo sguardo, per prima la caratterizzazione dei personaggi. C'è da dire che “Un atto di dolore” nasce come un lungometraggio, dove i protagonisti sono meglio delineati. Poi sicuramente c sono diversi livelli di comprensione. Ovviamente tutto dipende dalla sensibilità dello spettatore. Sicuramente nulla è ovvio, offro gli elementi per poter capire, ma nulla è palese, come nella vita dopotutto, nulla è immediatamente comprensibile.

Dove potremo vedere “Un atto di dolore”?
La prima proiezione è stata a Bologna per Visioni Italiane, successivamente al Festival Terre di Confine a Narbolia e qualche giorno fa ha ricevuto una menzione speciale a Roma all'interno di una rassegna di corti. Spero che la prossima possa essere una proiezione a Cagliari.

2 aprile 2014

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