Stampa

Introduzione al blog

di Salvatore Pinna

Opera di Maria LaiHo incominciato veramente a conoscere Maria Lai quando, nel 1999, ho visto il film “Inventata da un dio distratto”  di Marilisa Piga e Nicoletta Nesler. Sino ad allora sull’artista di Ulassai avevo posseduto nozioni frammentarie tratte da scritti di Salvatore Naitza e da fuggevoli contatti con sue opere in casa di amici che ne possedevano qualche esemplare. È vero che avevo visto  “Legare collegare”, il film girato da Tonino Casula su “Legarsi alla montagna”, l’opera-evento realizzata da Maria Lai ad Ulassai nel 1981.  Ma devo confessare che mi ero interessato più che al fatto, al film che lo rappresentava.

Il cinema, nella professione di cinetecario che avevo avuto la fortuna di scegliere, mi sembrava la forma di comunicazione che più di ogni altra realizzasse in pieno l’esperienza di legare e collegare. Il cinema rappresentava la vera forma di arte pubblica, facile da trasportare, capace di mettere in contatto le persone tra di loro, i paesi della Sardegna tra di loro, e tutti con l’immenso e intricato mondo. Per questo ci eravamo inventati una cineteca in Sardegna.

Bambino di paneNon sapevo, forse nessuno di noi lo sapeva, che nel lavoro col cinema e nella fondazione della cineteca seguivamo un percorso parallelo a quello di Maria Lai, lei come artista e noi come diffusori e come animatori, così ci dicevamo allora, di cinema.  
Pur con compiti diversi eravamo tutti ugualmente impegnati nella questione della fruizione, della competenza del pubblico e della prefigurazione di luoghi dell’arte. Le affinità con Maria Lai, che noi non “conoscevamo”, erano davvero profonde, dato che noi pensammo la cineteca come un’opera d’arte il cui disegno alla fine fosse il pubblico educato a leggere l’opera cinematografica, e, attraverso l’opera, ad impadronirsi della parola e della capacità di rispondere ai quesiti che poneva quel mondo complicato cui ho accennato. Col tempo comprendemmo che se davvero il pubblico, l’arte pubblica, era la nostra principale preoccupazione dovevamo avvicinarci a tutte le possibilità di fruizione a cui il pubblico necessariamente si apriva: e quindi elaborare progetti che riguardavano l’arte, la musica, il teatro, la televisione. Col tempo pensammo che fosse opportuno trasformare quella che era una cineteca in Sardegna in cineteca sarda: significava l’apertura ad un territorio poco praticato dal cinema: la Sardegna, le sue tradizioni, la sua vita sociale, i suoi registi che man mano incominciavano a crescere.
Insomma diventavamo più locali senza smettere di essere globali, rimanevamo fortemente ancorati al cinema pur essendo multimediali. Pensavano al cinema come pedagogia diffusa e insieme come severo esercizio creativo. Ci avvicinavamo sempre più a Maria Lai, continuando a non conoscerla.  

''2001. Odissea nello spazio''E anche in seguito, devo confessarlo, è il cinema ad avermi fatto conoscere, e qui dovrei aggiungere “ed amare”  Maria Lai con “Ansia d’Infinito” (2010) e “Post Scriptum” (2013) di Clarita Di Giovanni, con i film girati su di lei e con lei da Francesco Casu, regista multimediale particolarmente affine alle intuizioni spiccatamente moderne dell’artista.  E sono, ancora, le preferenze cinematografiche di Maria Lai a farmela conoscere meglio, a cominciare da “2001. Odissea nello spazio”, così vicino alle geografie cosmiche dell’artista ulassese, al suo sostanziale ottimismo sul destino umano. Allora il “bambino delle stelle” di Kubrick, che nasce e inizia il suo viaggio verso l’ignoto quando l’ultimo dei cosmonauti muore, prefigura il destino dell’artista la cui opera inizia a viaggiare oltre la sua persistenza biologica, se ci saranno ancora persone disposte ad abitarla e ad agire perché possa persistere ancora e a lungo.

Opera di Maria LaiConoscere attraverso i film di cui è protagonista, significa innegabilmente essere attratti dal personaggio, dai suoi pensieri potenti, dalla sua avventura umana, davvero grandiosa. I film restano un’esperienza intensa ma non sostitutiva, sono vie per accedere al suo mondo, per desiderare un rapporto diretto con l’opera, per volersi implicare nei suoi giochi e per desiderare di avere un contatto emozionale con i suoi luoghi.   
Dovrebbe essere chiaro che questo blog nasce da un bisogno di conoscenza e di condivisione. Non deriva dal saperne molto ma dal saperne poco e dal volerne sapere di più. Perciò si chiederà a molte persone di raccontare Maria Lai in tanti modi e da tanti punti di vista.

* Nel blog ci porremo domande su Maria Lai che riguarderanno: le singole opere, il gioco, la pedagogia, il teatro, il cinema fatto e il cinema visto, il pensiero, la multimedialità, il rapporto con la cultura e le tradizioni della Sardegna. Ai registi sardi abbiamo chiesto di abbozzare ciascuno un soggetto, un’idea, un frammento per un film su Maria Lai. In realtà un parere in forma di soggetto.

* In ogni puntata ci saranno due interventi. In questa incominciamo da Clarita Di Giovanni, regista, alla quale abbiamo osato fare anche una domanda sull’identità sarda, addirittura sul “sardo del futuro” prefigurato nell’opera di Maria Lai, o che ci piace pensare vi sia prefigurato.  E proseguiamo con Enrico Euli, che insegna, guarda caso, metodologia del gioco all’Università di Cagliari.

16 aprile 2014