Percorso

Legarsi a Maria Lai

Le riflessioni e i ricordi di Salvatore Pinna, Clarita di Giovanni, Enrico Euli e Pietro di Clemente

Opera di Maria LaiHo incominciato veramente a conoscere Maria Lai quando, nel 1999, ho visto il film “Inventata da un dio distratto”  di Marilisa Piga e Nicoletta Nesler. Sino ad allora sull’artista di Ulassai avevo posseduto nozioni frammentarie tratte da scritti di Salvatore Naitza e da fuggevoli contatti con sue opere in casa di amici che ne possedevano qualche esemplare.

È vero che avevo visto  “Legare collegare”, il film girato da Tonino Casula su “Legarsi alla montagna”, l’opera-evento realizzata da Maria Lai ad Ulassai nel 1981.  Ma devo confessare che mi ero interessato più che al fatto, al film che lo rappresentava.

Il cinema, nella professione di cinetecario che avevo avuto la fortuna di scegliere, mi sembrava la forma di comunicazione che più di ogni altra realizzasse in pieno l’esperienza di legare e collegare. Il cinema rappresentava la vera forma di arte pubblica, facile da trasportare, capace di mettere in contatto le persone tra di loro, i paesi della Sardegna tra di loro, e tutti con l’immenso e intricato mondo. Per questo ci eravamo inventati una cineteca in Sardegna.

Bambino di paneNon sapevo, forse nessuno di noi lo sapeva, che nel lavoro col cinema e nella fondazione della cineteca seguivamo un percorso parallelo a quello di Maria Lai, lei come artista e noi come diffusori e come animatori, così ci dicevamo allora, di cinema.  
Pur con compiti diversi eravamo tutti ugualmente impegnati nella questione della fruizione, della competenza del pubblico e della prefigurazione di luoghi dell’arte. Le affinità con Maria Lai, che noi non “conoscevamo”, erano davvero profonde, dato che noi pensammo la cineteca come un’opera d’arte il cui disegno alla fine fosse il pubblico educato a leggere l’opera cinematografica, e, attraverso l’opera, ad impadronirsi della parola e della capacità di rispondere ai quesiti che poneva quel mondo complicato cui ho accennato. Col tempo comprendemmo che se davvero il pubblico, l’arte pubblica, era la nostra principale preoccupazione dovevamo avvicinarci a tutte le possibilità di fruizione a cui il pubblico necessariamente si apriva: e quindi elaborare progetti che riguardavano l’arte, la musica, il teatro, la televisione. Col tempo pensammo che fosse opportuno trasformare quella che era una cineteca in Sardegna in cineteca sarda: significava l’apertura ad un territorio poco praticato dal cinema: la Sardegna, le sue tradizioni, la sua vita sociale, i suoi registi che man mano incominciavano a crescere.
Insomma diventavamo più locali senza smettere di essere globali, rimanevamo fortemente ancorati al cinema pur essendo multimediali. Pensavano al cinema come pedagogia diffusa e insieme come severo esercizio creativo. Ci avvicinavamo sempre più a Maria Lai, continuando a non conoscerla.  

''2001. Odissea nello spazio''E anche in seguito, devo confessarlo, è il cinema ad avermi fatto conoscere, e qui dovrei aggiungere “ed amare”  Maria Lai con “Ansia d’Infinito” (2010) e “Post Scriptum” (2013) di Clarita Di Giovanni, con i film girati su di lei e con lei da Francesco Casu, regista multimediale particolarmente affine alle intuizioni spiccatamente moderne dell’artista.  E sono, ancora, le preferenze cinematografiche di Maria Lai a farmela conoscere meglio, a cominciare da “2001. Odissea nello spazio”, così vicino alle geografie cosmiche dell’artista ulassese, al suo sostanziale ottimismo sul destino umano. Allora il “bambino delle stelle” di Kubrick, che nasce e inizia il suo viaggio verso l’ignoto quando l’ultimo dei cosmonauti muore, prefigura il destino dell’artista la cui opera inizia a viaggiare oltre la sua persistenza biologica, se ci saranno ancora persone disposte ad abitarla e ad agire perché possa persistere ancora e a lungo.

Opera di Maria LaiConoscere attraverso i film di cui è protagonista, significa innegabilmente essere attratti dal personaggio, dai suoi pensieri potenti, dalla sua avventura umana, davvero grandiosa. I film restano un’esperienza intensa ma non sostitutiva, sono vie per accedere al suo mondo, per desiderare un rapporto diretto con l’opera, per volersi implicare nei suoi giochi e per desiderare di avere un contatto emozionale con i suoi luoghi.   
Dovrebbe essere chiaro che questo blog nasce da un bisogno di conoscenza e di condivisione. Non deriva dal saperne molto ma dal saperne poco e dal volerne sapere di più. Perciò si chiederà a molte persone di raccontare Maria Lai in tanti modi e da tanti punti di vista.

* Nel blog ci porremo domande su Maria Lai che riguarderanno: le singole opere, il gioco, la pedagogia, il teatro, il cinema fatto e il cinema visto, il pensiero, la multimedialità, il rapporto con la cultura e le tradizioni della Sardegna. Ai registi sardi abbiamo chiesto di abbozzare ciascuno un soggetto, un’idea, un frammento per un film su Maria Lai. In realtà un parere in forma di soggetto.

* In ogni puntata ci saranno due interventi. In questa incominciamo da Clarita Di Giovanni, regista, alla quale abbiamo osato fare anche una domanda sull’identità sarda, addirittura sul “sardo del futuro” prefigurato nell’opera di Maria Lai, o che ci piace pensare vi sia prefigurato.  E proseguiamo con Enrico Euli, che insegna, guarda caso, metodologia del gioco all’Università di Cagliari.

Salvatore Pinna


 

Intervista a Clarita Di Giovanni, regista di “Ansia d’infinito” e “Post Scriptum"

di Salvatore Pinna

Clarita Di Giovanni e Maria LaiChe cosa ha significato Maria Lai per lei?
Il più alto punto di riferimento dell’arte contemporanea per l’isola. Con Nivola certamente, che  però dal ’31 in poi ha vissuto e operato in Europa e negli Stati Uniti, fuori da quel contesto.

In che cosa consiste la sua attualità e la sua modernità?
Nello stile di vita innovatore, fin dall’inizio coerente al segno stesso delle sue opere. A 20 anni, dopo gli studi al liceo artistico di Roma e in piena guerra, parte sola per Venezia determinata ad iscriversi all’Accademia di Belle Arti, unica donna nelle classi di Arturo Martini e Alberto Viani. Nel ’45, data per dispersa, rientra in Sardegna in modo rocambolesco su una scialuppa di salvataggio. Affronta con coraggio anni difficili, insegna, deve assistere all’assassinio del fratello Lorenzo, trucidato dai suoi rapitori nel tentativo di fuga. Torna a Roma nel ‘54, e dopo i primi successi e le mostre importanti, di nuovo si sottrae alle situazioni accomodanti, al clamore. Il suo scopo rimane la ricerca, rigorosa, mai ripetitiva. Maria sente e vive i cambiamenti sulla sua pelle, ma non s’identificherà mai nel femminismo: perché non avvertirà mai, nella sua condizione di donna,  un limite.

Opera di Maria LaiPremesso che ogni artista parla a tutti, come può l’opera e l’insegnamento di Maria Lai, contribuire alla formazione di un sardo che sappia fondere positivamente tradizione e futuro?
L’opera stessa della Lai sintetizza e salda queste posizioni apparentemente antitetiche. Materiali, forme, segni, linguaggi  e culti sono rielaborati dall’artista nella contemporaneità:  ma non dissacra mai la tradizione semmai ne rivitalizza l’essenza. L’operazione avvenuta  nell’81 con l’happening “Legarsi alla montagna”,  è esemplare in tal senso. Un’antica leggenda, una processione tradizionale, il segno di un nastro azzurro comune ai due eventi,  diventano un’operazione di arte comunitaria d’avanguardia.

Maria Lai e Achille Bonito Oliva, ''Post scriptum''Che Sardegna esprime Maria Lai?
Una Sardegna cosmica, un punto d’osservazione privilegiato del sé e del pianeta, immerso nella concentrazione e nel silenzio meditativo, condizioni essenziali per Maria. I telai, i pani o le geografie cucite non vanno assunte come tradizione recuperata; sono forme destituite da una finalità utilitaristica, rinate per una nuova missione. Quella dell’Arte, che Maria riteneva missione primaria, “cibo che si fa sangue”.  Le montagne dell’Ogliastra erano perciò importanti per Maria. «La montagna ti ha dato la gravitas»: la sintesi espressa da Achille Bonito Oliva nell’ultimo e bell’incontro che ebbe con l’artista (*), in questo senso, è perfetta.

Opera di Maria LaiQual è l’importanza di Maria Lai nel contesto culturale, sociale e politico sardo?
Maria Lai si fa tramite e rende fruibile il meglio della cultura  e del contesto socio-politico sardo. Da Gramsci a Cambosu a Dessì, fino ad artisti come Ciusa e lo stesso Nivola, non trascura nessuno dei suoi riferimenti culturali dell’isola. Da questi incontri elabora ed estrae forme artistiche nuove e rende nuovamente “visibili” le loro opere. In qualche modo - come ebbe a dirmi più volte - voleva restituire con gratitudine ciò che aveva appreso negli anni di formazione.  Lo ha fatto fino alla fine (es. il Monumento a GramsciFiabe intrecciate”, “Miele Amaro” con Cambosu, il “Lavatoio” con Nivola… etc.  )

(*) Alla fine del 2009 a Roma durante l’anteprima di “Ansia d’Infinito”, Maria Lai e Bonito Oliva si sono reincontrati per l’ultima volta riappacificandosi dopo anni “ruvidi”. Il brano filmato è in “Post Scriptum” (2013)


 

Il gioco e Maria Lai

di Enrico Euli, docente di metodologia del gioco presso l’Università di Cagliari

Bambino di paneGiocare è una sintassi, non un vocabolario... Il gioco ci rende elastici e ci fa esercitare nel controllo dei mezzi che siamo capaci di usare, ma che in questo momento sono superflui... Nel giocare, le persone usano la propria capacità di combinare parti del comportamento che non ci sarebbe ragione di affiancare in un ambito pratico. Ma proprio esse creano la novità.
E' facendo le cose che un organismo sviluppa un'elasticità combinatoria... (J. Miller) Quando vedi Maria Lai all'opera, sia dal vivo che nei vari film e documentari in cui appare o fa apparire le sue opere, molte di queste parole riemergono e si realizzano con stupefacente e semplicissima chiarezza.

Bambino di paneElasticità, processo creativo, combinazione di eventi, narrazione, connessione e riconnessione, novità nella ripetizione, apertura e definizione, curiosità, gratuità non funzionale e senso.
Tutte caratteristiche tipiche dell'arte, e della sua arte, e del gioco, e dei suoi giochi.
Quando ho una cordicella che è ben solida mi piace sentire che cos'è la solidità e che cosa è una cordicella, appendermici dietro e fare, saltandoci sopra, mille capriole scabrose... (J.Dubuffet)
Una adulta bambina, ed una bambina adulta, già a vederla e a sentirla parlare.
Negli ultimi anni, una giovanissima e vivacissima nonnina. Dolce e pungente, provocatoria e gentile.

Un'opera di Maria LaiUno spirito di gioco rimasto intatto, nello sguardo e nelle velocissime dita, nelle sue piccole e sapientissime mani.
Quando proponeva dei giochi non lo faceva, infatti, per bambini o per adulti: la sua arte è davvero pubblica, per tutti insieme, senza fittizie distinzioni ed oltre le convenzioni formali e delle età: i suoi 'giochi' si muovono nell'inconscio di ciascuno, parlano la lingua primaria delle metafore, molto più primitiva e molto più complessa e vitale degli anemici linguaggi dell'analisi e della coscienza. La sensibilità estetica è una rete di rimandi, di narrazioni sottese, di ubique relazioni: le metafore mescolano, sovrappongono, amalgamano i livelli di discorso, i concetti, creano nuove cornici e nuovi domini del discorso. Come in un bel film, l'azione artistica di Maria Lai si snoda ed emerge facendo tutto questo.
E facendolo insieme ad altri, co-costruendo l'opera e le sue regole, come in un eterno laboratorio vivente.

Bambino di paneIl giocare, infatti, non è un'attività specifica, ma uno stile di vita, un modo di essere nel mondo.
E, in Maria Lai, si esprime la forza della cultura contadina e pastorale, delle rocce ogliastrine, della forma di vita entro cui è vissuta e che è andata a mescolarsi con i più eterei e sofisticati codici dell'arte e della civiltà occidentale. Anche questo fa la sua bellezza.
La bellezza arresta il moto. Per esempio: vedete un falco che si libra in volo per poi scendere in picchiata, oppure una volpe che fa capolino davanti a voi nel bosco, o l'allegro salto di un delfino nell'onda di prua. Questa rapida inspirazione, questo piccolo fiato -hshsh, come fanno i giapponesi fra i denti quando vedono qualcosa di bello in un giardino-, questa reazione, ahhh, è la risposta estetica, come il trasalire nel dolore o il gemere nel piacere.
Aisthesis risale agli omerici “aiou” e “aisthou”, che significano sia “percepisco” sia “resto senza fiato”. (J. Hillman).

Bambino di paneUn restare senza fiato che non ha nulla di epico, di prepotente, di guerresco.
Un giocare, il suo, di continue concorrenze, ma nessuna competizione.
Un cooperare nel conflitto, una diuturna lotta nonviolenta tra quel che si crea e si distrugge, si lega e si scioglie, cambia e sta.
Stabilità e precarietà, persistenza e caducità, ordine e disordine: sempre congiunti e inseparati, indissolubili e ineliminabili, come la regola e il caso.
Maria Lai esprime il piacere del kosmos, la passione che tiene insieme i movimenti della vita e del mondo.
Come il gioco del Tempo, di quel bambino eracliteo che da sempre costruisce castelli di sabbia, solo e a ridosso delle onde...

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Intervista a Clarita Di Giovanni, regista di “Ansia d’infinito” e “Post Scriptum


 

Legata alla Sardegna sempre e per sempre

di Pietro Clemente

Opere di Maria LaiC’è un ricordo di Maria Lai scritto da Pietro Clemente, docente di antropologia culturale presso l’Università di Firenze, in occasione della morte dell’artista di Ulassai. Pregnante nella sua sintesi. Da leggere. L’autore mi ha autorizzato a riprodurlo in questo blog.

Legata alla Sardegna sempre e per sempre

Era una donna piccola piccola e antica antica, come quelle delle fiabe, ed era una grande artista legata alla Sardegna sempre e per sempre. Aveva 94 anni, e sicuramente avrebbe detto che abbiamo ragione di piangere per i morti di Boston e non per lei, creativa fata della scultura. Io la ho conosciuta molto tardi lungo gli anni Novanta ed era già molto più grande di me ora, ma acuta, chiara, saggia, piena di idee.

Opere di Maria LaiLa ho adottata come mia maestra di forme, di costellazioni, di pecore e di pastori. Diceva «il nostro vantaggio di essere nuragici è che siamo legati alla terra e alle rocce». La mia generazione aveva sempre pensato che essere nuragici era una fregatura non un vantaggio ma una arretratezza, con odore di formaggio marcio. E mi ha dimostrato di avere ragione . Se vi capita di guardare il libro di racconti sardi di Salvatore CambosuMiele amaro”, illustrato da lei, o il libro sui presepi per cui mi ha onorato chiedendomi una prefazione, vedrete che aveva ragione. C'è una capretta di Maria in cui trascorrono Giotto e Chagall, una semplicità d'incanto. Mi aveva insegnato a vedere cose che non vedevo e anche se avrebbe ragione a dirmi che per lei era tempo di tornare alla terra, per me è tempo di piangerla, di cordoglio.

Certo dentro il dolore al calor rosso del mondo esploso, ma con un angolino in cui offro la mia testimonianza davanti alla maestà della morte di questa donna che come artista amava definirsi “una bambina antichissima”. A si biri mellusu Marì. Pietro Clemente  (www.simbdea.it)

16 aprile 2014

 




     

     





 

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