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"Luci ed ombre" di Charlie Chaplin

di Alessandra Manconi

 Tentenniamo e tremiamo nella vita quotidiana, in attesa di un’ ispirazione, in attesa di una luce che rischiari il cammino.
Ed a volte questa luce la troviamo oltre lo schermo. La scrutiamo e la facciamo nostra. A volte il cinema fornisce al nostro ragionare il tassello mancante. Ci mostra il dolore, la gioia, la bellezza, la pazzia, la malinconia. La maternità, la prigionia, l’ adolescenza e la nostalgia. E la vecchiaia. Si, ci aiuta ad andare oltre la nostra vita e la nostra età. Il pensiero di poter andare avanti e capire come funziona la mente quando lotta contro il tempo mi ha sempre affascinato...

E così, dinnanzi al foglio vuoto, inizio a riflettere. Il regista crea un’ opera e ci concede di arrivare ad un tema attraverso
il suo sguardo. Noi ammiriamo, contestiamo, apprendiamo ed interiorizziamo. Noi cresciamo con l’ opera e l’ opera cresce con noi. Questa è il mio primo pensiero. Il secondo è trovare l’Opera. Quella che rappresenti una delle mie finestre sulla vecchiaia e che mi dia modo di assorbire il più possibile. Di scavare, di rielaborare. E così, ad un tratto penso a Charlie Chaplin. Chaplin che ha continuato ad esser padre sino a tarda età. Penso che forse chi continua a far figli anche da anziano possa avere un rapporto interessante con il tempo. Penso che la sua voglia di vivere e di essere oltrepassi ogni barriera temporale. Ed all’ improvviso capisco che è il suo sguardo che sto cercando. Afferro il cofanetto con alcuni dei suoi films e cerco. Cerco e trovo: Luci della ribalta. E’ il mio film, lo so.

Limelight

The glamour of limelight, from which age must pass as youth enters

Magia delle luci della ribalta, che la vecchiaia deve lasciare quando la giovinezza entra in scena.


Questa frase apre il film. “Ci siamo”, penso tra me e me. E’ la storia di una ballerina, Tereza, e di un clown, Calvero. E’ ambientato in un tardo pomeriggio dell’ estate del 1914, a Londra.
Lei tenta il suicidio e lui la salva. Lei non riesce più a danzare e lui non è più capace di far ridere. Lui l’ aiuterà a superare il blocco psicologico che la immobilizza e a riprendere a danzare. Lei gli dirà che l’ ama e gli chiederà di sposarla. Lo aiuterà persino a tornare sul palcoscenico e a ritrovare il contatto col pubblico. E’ un film delicato, di una dolcezza un po‘ amara. Calvero incontra la vecchiaia e sa di non riuscire più ad essere se stesso. Instaura un legame speciale con Terry, ma non vuole essere amato come un vecchio, non vuole la sua accondiscendenza, il suo sacrificio.
Tre sono le scene che mi si sono impigliate dentro con forza.


-Il vuoto-

Calvero fa un incubo che pare facesse anche Chaplin. E’ a teatro e si sta esibendo. Al termine dello spettacolo arrivano le grasse risate del pubblico e gli applausi e lui è contento. Ad un tratto, però, guarda innanzi a sè e si accorge che non c’è nessuno spettatore. Nessuna risata, nessun applauso. Solo un teatro vuoto.

La vecchiaia realizza i presentimenti della gioventù. (Sören Kierkegaard)


-Il buio-

Calvero accompagna Tereza ad un provino all’Empire Theatre, sullo stesso palcoscenico che in passato lo aveva visto protagonista. Ora, però, è solo uno spettatore. Attende su una panchina che lei finisca. E’ un gran successo e lei va via con l'impresario. Lui rimane lì, mentre le luci si spengono una ad una. Rimane immobile su quella panchina, sino a quando lei non torna.
Una cosa sola (tra le molte) mi pare insopportabile all'artista: non sentirsi più all'inizio. (Cesare Pavese)


-I vecchi cimeli-

Calvero si esibisce in uno spettacolo di beneficenza. E’ un gran successo ed esce di scena tra risate ed applausi. Il cuore, purtroppo, cede e viene trasportato in un magazzino in cui son riposti dei vecchi cimeli. Sa di esser giunto alla fine, ma sa anche di esser già morto tante volte ormai. Chiede di esser portato a vedere danzare Tereza.

The glamour of limelight, from which age must pass as youth enters.

E così, mentre lei volteggia sul palco, lui si spegne.

Ho rivisto diverse volte la scena finale. Calvero viene coperto con un lenzuolo bianco ed io sento una fitta forte forte all‘altezza del plesso solare. Vorrei strappare via quel lenzuolo ed aiutarlo ad attraversare il palcoscenico con la sua arte.
Sento il suo desiderio di essere, che trascende la vecchiaia e la morte. “Il desiderio è il senso della vita” aveva detto in precedenza a Terry. Mi manca il respiro per un istante e continuo a dire : “Lui voleva ancora recitare. . lui voleva ancora fare il suo spettacolo...far ridere... voleva essere applaudito..voleva il successo..il palcoscenico..le sue luci..”. Ogni volta che lo guardo sento in me una profonda confusione e mi chiedo perché finisca sempre nello stesso modo. Mi chiedo perché non possa ancora avere un’ altra volta il suo palcoscenico. Ed è per questo che “Limelight” mi aiuta. Mi fa vedere l’uomo oltre il vecchio corpo. Mi fa sentire sentire l’ artista che continua a bramare le luci della ribalta fin che può.

E’ questa la vecchiaia che cercavo, non ci son dubbi. Quello sguardo tormentato e forte che un uomo strutturato e brillante come Chaplin poteva fornire al meglio.

Un ringraziamento particolare alla brava Claire Bloom, ossia Terry, che ha continuato a volteggiare dentro di me per aiutarmi a scordare quel lenzuolo bianco. A Buster Keaton, per l’ eleganza con cui ha espresso la volontà del suo personaggio di non essere solo un vecchio cimelio. A tutti i figli di Chaplin, sparsi qua e là per il film.

Al cinema, che proietta ombre e luci dentro di me.