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Quei dannati "185° giorni" di Scardella

 Un documentario per non dimenticare il giovane cagliaritano trovato suicida in carcere. Una vicenda umana che ancora oggi lascia aperte molte ferite. E su cui la Cassazione vuole vederci chiaro: riaprendo a sorpresa il caso.  di Maria Elena Tiragallo 

 Cagliari, 23 dicembre 1985: in un supermarket viene ucciso Giovanni Battista Pinna, il titolare. Passa una settimana e in carcere, con l'accusa di omicidio, finisce uno studente 24enne, Aldo Scardella. Aldo viveva nei pressi del negozio e sulla strada che conduceva dal market all'abitazione, venne ritrovato il passamontagna di uno dei rapinatori. Gli esami del guanto di paraffina, così come la prova di annusamento sul passamontagna, risultarono negativi. Anche gli altri indizi a suo carico erano deboli: servì a poco. Il pm e il giudice istruttore rimasero convinti che Scardella fosse colpevole e lo tennero in isolamento per sei mesi.
Per molto tempo non  potè incontrare neppure il suo difensore, l'avvocato Gianfranco Anedda e il primo colloquio con i familiari  fu concesso solo il 10 aprile del 1986. Il giovane  manifestò grandi sofferenze mentali causate dalla solitudine e fece istanza ai magistrati affinchè fosse revocato il regime di isolamento. Fu tutto inutile. Il 2 luglio 1986 Aldo Scardella fu trovato impiccato nella sua cella di Buoncammino. L'autopsia riscontrò la presenza di metadone, anche se le cartelle cliniche del carcere non prescrivevano per lui alcuna  terapia. Nel 1996 nuove indagini sull'omicidio portarono alla condanna, nel  2002, di Walter Camba e Adriano Peddio, dichiarando Aldo totalmente estraneo ai fatti. A vent'anni di distanza la famiglia Scardella, si è rivolta alla  magistratura chiedendo di fare un po' di luce sulla vicenda. Luce che sembra iniziare a trapelare: la Cassazione ha riaperto il caso e i giudici chiedono che il pubblico ministero indaghi per omicidio volontario. Al di là delle questioni giuridiche, finalmente un passo in avanti nella giustizia.

Oggi, la storia di Aldo rivive nel documentario "185 giorni" di Paolo  Carboni, realizzato da un'idea del fratello di Aldo, Cristiano Scardella.
«Sto rispettando il volere di mio fratello - ha detto Cristiano - un  giovane che ha patito l'arresto, la detenzione e la morte. La scarcerazione doveva essere automatica, ovvero nell'esatto momento in cui fu provato che  non era stato lui a sparare. Non mi piace la vendetta, vorrei solo che  venisse fuori la verità. Questo documentario deve servire per non  dimenticare la vicenda, si poteva fare un film ma a causa dei costi è stato fatto un documentario. Coi filmati, le testimonianze, gli articoli giornalistici dell'epoca». Difficile parlare di giustizia, a questo punto.
«Io vorrei poterlo fare, mi è difficile però perché oggi la giustizia è fatta da uomini che sbagliano anche a causa degli sbagli degli altri».

Nel film immagini di repertorio, articoli giornalistici, testimonianze degli avvocati si alternano a quelle del fratello Cristiano Scardella e all'amico Sergio Perniciano in un ricco flashback. «E' stato molto impegnativo girare questo documentario - spiega il regista - anche per le autorizzazioni di cui abbiamo avuto bisogno. Abbiamo raccolto materiale per anni, data anche la materia piuttosto delicata. Volevo raccontare una storia forte, da raccontare in un docufiction, così quando ho incontrato Cristiano e mi ha spiegato la sua idea, subito l'ho sposata. E' ovvio che è solo un capitolo della storia di Aldo, che rimane ancora aperta. Mi premeva fare qualche cosa contro l'ingiustizia. E' ovvio che non ho grandi pretese artistiche: il film vuole essere solo una rievocazione storica ma con un doppia valenza, quella di rendere omaggio anche a Sergio Penniciani, l'amico di Aldo. E' morto lo scorso inverno».