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"In grazia di Dio" di Edoardo Winspeare

Il consiglio di Elisabetta Randaccio

''In grazia di Dio''Nell'ultimo film di Edoardo Winspeare, “In grazia di Dio”, presentato con successo all'ultimo Festival di Berlino, è presente un elemento-personaggio il quale lo percorre costantemente: il vento. Il vento arcaico che penetra la natura di un angolo del Salento suggestivo, che spazza strade di paesi semideserti e campagne, che sembra sintetizzare le ansie e i dubbi dei protagonisti, i cambiamenti possibili, probabili, positivi, contraddittori di una società in disfacimento.

Winspeare racconta di luoghi e situazioni a lui ben conosciuti, osserva con attenzione e pure con una certa ironia ciò che la crisi economica ha fatto a pezzi, le nuove ignoranze, il tentativo di riprendersi un modo di produzione e una struttura solidaristica-sociale, difficile da replicare, perché gli uomini e le donne dei nostri giorni sono quelli del “dopostoria” teorizzato da Pasolini: frammentati nei desideri di profitto e consumismo, pure il sottoproletariato ha perso la sua vitalità trasformata in aggressività insensata.

''In grazia di Dio''Così, il paesino del Salento, dove, in un passato prossimo, vigeva un benessere discreto supportato dai risparmi degli emigrati degli anni sessanta, con cui si sono comprate piccole aziende e case, nel giro di una crisi economica pesante, è come bloccato, tornato ad un'immobilità senza tempo. A poche miglia di mare c'è la Grecia, di cui si colgono la lingua e le canzoni nei balbettamenti della radio, ancora immaginabile come un'arcadia; dall'altra l'autostrada, possibilità di fuga. In questo contesto, Winspeare fa muovere Adele, personaggio complesso, incapace di esprimere le emozioni positive, cresciuto nella difensiva, nella diffidenza e in un particolare individualismo. Il regista salentino non ama le storie di eroi o di personaggi tagliati con l'accetta, per cui non semina l'empatia né nella protagonista né nell'esiguo clan di donne messe in scena: la sorella, laureata con ambizioni d'attrice, la figlia imprigionata dalla nuova ignoranza, mentre la nonna, la quale conserva il suo passato di sofferenze per resistere a qualsiasi naufragio della vita, è il riferimento di tutte e, nel cambiamento, troverà pure l'amore.

''In grazia di Dio''Se lasciare l'azienda familiare e la casa in paese provocherà in Adele una sicurezza in se stessa derivata da un nuovo modo di intendere il lavoro e il guadagno (ritorna, infatti, in questo ambito, anche il baratto), il mutamento non può ancora penetrare nella sua persona; ritrova la risata, ma non la comprensione per le esigenze della sorella, della figlia, di chi vorrebbe starle vicino. Adele e le altre si ritroveranno esclusivamente ripartendo dall'istinto primordiale materno, in una scena finale, che echeggia, nella fotografia eccellente di Michele D'Attanasio, la pittura classica e mostra le donne come immobilizzate nell'affetto.
Winspeare, come sempre, è un regista abile nel raccontare senza retorica, attento ai particolari e in “In grazia di Dio”, non si sottrae neppure a usare la lingua salentina, l'unica capace di esprimere senza filtri l'essenza dei personaggi. Il suo film, nello stesso tempo semplice e complesso, si avvale di un gruppo di attori, in passato definibili come “non professionisti”. In realtà, sono tutti molto bravi e convincenti, tra cui spicca la performance di Celeste Casciaro (nella vita moglie di Winspeare): strepitosa nel disegnare una figura scostante, coraggiosa nel farsi attraversare dalla macchina da presa nel volto e nel corpo, senza trucchi e inganni, in maniera tale da accentuare un'espressività molto forte e seducente: è uno dei punti di fascino del film.

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28 maggio 2014