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Dalla Sardegna al Giappone: viaggio tra due isole con Enrico Ciccu

Via da Cagliari destinazione Tokio: “Finalmente posso sedermi al mio computer e sculacciare pixel colorati”. di Monica Galloni

Enrico CiccuÈ un direttore creativo, molto creativo. Nell’impero del Sol levante ha trovato la sua casa, in una realtà molto diversa da quella lasciatasi alle spalle. Ma lui assicura: “Qui certo non mi annoio!”

Enrico, innanzi tutto ti chiedo di presentarti ai nostri lettori.
Ciao Cinemecum, sono Enrico. O Ciccu. O CQ, come i miei amici amano chiamarmi su Facebook. Sono quello che si può comunemente definire un direttore artistico, cioè quella figura misteriosa che gestisce – nel mio caso – l'aspetto visivo di un prodotto, detta le regole per il visual dopo uno studio del marchio e del target, sceglie le persone adatte a lavorarci, le coordina, spesso ci lavora in prima persona o si occupa di una parte del processo creativo. In generale mi trovo a lavorare con illustratori, fotografi, cameramen, grafici, web coders tutte le varie figure necessarie alla produzione – postproduzione. Che detto così sembra una figata, in realtà in generale lavori molto più degli altri e spesso devi mediare tra il cliente idiota e lo sprazzo creativo fine a sé stesso dell'artista. Qui a Tokyo lavoro come direttore creativo per E-Talentbank, una società che si occupa di music management e che ha una sezione internazionale molto attiva e che prevalentemente fa Lookalization, cioè l'adattamento di un artista o di un prodotto dal Giappone all'estero e viceversa. Nel tempo libero (poco) mi occupo di seguire i miei progetti fotografici e video: sto portando in giro un lavoro fotografico (la prossima mostra è all'interno del Behance Japan Portfolio Review, progetto selezionato tra i 30 migliori del 2014) e sto per girare un video sperimentale per un artista indipendente di musica elettronica. Diciamo che non mi annoio, ecco.

''Tokyo Inside''Raccontaci quali sono state le motivazioni che ti hanno spinto a partire, se c'è stato un punto di rottura o magari una scelta maturata nel tempo.
Eh mia cara. mia cara! La motivazione era una, è una, e sarà sempre una. Io voglio lavorare. Voglio fare quello che so fare ed essere pagato per quello che faccio. Non volevo occuparmi di conti, fatture, inseguire debitori, scappare dai creditori perché non riesco mai a rintracciare i debitori, impazzire tra IVA, INPS, IRPEF, far perdere 10 anni di vita alla mia preziosissima commercialista (l'angelo Dr. Usai). Io voglio solo sedermi al mio computer e sculacciare pixel colorati. Basta. Dopo il Master a Milano sono entrato come stagista a E-Tree, a Treviso, che nel 2001 era l'azienda leader nel web design e multimedia. Lì mi sono formato, ho imparato, però il mio sogno era quello di aprire una E-Tree a Cagliari. Ho aperto lo studio nel 2003, Uzzupink Studio, ho lavorato poco ma bene (e commesso tanti errori di inesperienza organizzativa), nel 2007 lo studio è stato preso in blocco da Tiscali per il progetto IPTV durato neanche 2 anni, devo dire 2 anni piuttosto belli in cui credevo che finalmente avrei potuto cominciare a pensare a mettere qualcosa da parte – e poi la meravigliosa sensazione di essere in un progetto pionieristico. Dopo neanche 2 anni la notizia del fallimento: milioni di euro buttati in niente, spesi male, e tutti a casa. Allora con gli altri dell'IPTV nel 2009 ho creato Shibuya, una delle realtà più interessanti sulla carta e premiata più volte (dal Premio Web Italia del 2010 ai vari concorsi e premi vinti con i cortometraggi animati e non di Peter Marcias e Paolo Zucca – sì, ci lavorammo noi.) Poi  tra vari problemi, la crisi che tutti viviamo, ho deciso di andarmene e ricominciare. Ho lasciato Shibuya e mi sono guardato intorno. Durante il periodo d'oro eravamo stati presi come partner creativi da E-Talentbank grazie ad un video che avevo girato per loro. Lavorammo per loro per 3 anni, con frequenti viaggi in Giappone, finchè decisi di fare la follia: mi sono venduto tutto, ho affittato la casetta, e sono partito in Giappone a fare una proposta al boss di ETB. Beh, l'ha accettata, ed eccomi qua.

Enrico Ciccu, set lavorativiCom'è stato l'impatto col mondo del lavoro giapponese, come ti sei inserito e in quali campi hai lavorato?
Non è stato per niente facile. Il loro modo di lavorare è completamente diverso dal nostro, lavorano molto per produrre poco per via di processi produttivi farraginosi. Nelle grandi compagnie hanno una struttura piramidale assoluta, nessuno vuole prendersi la responsabilità delle decisioni, quindi infinite riunioni per decidere il nulla. Per fortuna non è il caso di dove lavoro: l'azienda è media e la comunicazione è più orizzontale e facile. Come campi lavoro un po' su tutto, specialmente web e visual, e ogni tanto video e fotografia. C'è sempre molto da fare, comunque. Qui c'è molto lavoro, molto da fare, anche cambiare lavoro è facile Ma solo se conosci il giapponese. Purtroppo questo è lo scotto da pagare. Per questo motivo sto cominciando a frequentare una scuola perchè come lingua è terribilmente difficile e scoraggiante da imparare da soli.

La spiaggia di KamakuraOvviamente non può mancare una comparazione tra l'Italia, magari più nello specifico la Sardegna,e l'estero.
Con la Sardegna il paragone è impossibile. Basta solo dire che, per esempio, il Giappone ha il senso dell'unità e tutti, tutti collaborano all'economia del paese e non al loro orticello privato spezzando le gambe alla concorrenza. Devo continuare? Con l'Italia beh.... qui si valorizza il lavoro. Se c'è crisi, tagliano le tasse. Se si è in ripresa, le tasse non vanno a superare una certa soglia (il 10%). Le tasse, che non sono alte, le pagano tutti. Anche l'ambulante cinese, che vende dolci in strada ti fa lo scontrino. Perché primo se lo può permettere visto che le tasse sono accessibili, secondo perché se non fai lo scontrino viene letteralmente espulso dal paese. C'é da aggiungere che non sto descrivendo un paradiso, anche qui esistono situazioni paradossali, però stranamente hai la sensazione che qua tutto funziona, tutto si incastra.

TokyoRaccontaci un aneddoto curioso che hai vissuto e che ti ha stranito magari per via della profonda differenza culturale?
Una delle cose più difficili qua è fare amicizia, non nel senso di conoscere gente – che è facilissimo – ma proprio come concetto di amicizia. Loro non ti sentono come “amico”, mai. Sei e sarai sempre straniero. Conosco italiani, francesi, sudamericani che vivono qua da 10, 15 anni e non hanno un amico giapponese. O al massimo ne hanno solo uno. Paradossalmente, è più facile trovare una fellatio che un amico! Spesso il loro modo di divertirsi è assurdo. Loro pagano vagonate di soldi per fare quello che noi facevamo gratis alle feste del liceo. Sono finito in posti che organizzano questo tipo di feste in cui ti ubriachi e ti mettono in mezzo a giochini spinti con delle signorine che si fanno palpeggiare, e per loro è il massimo della vita. Sono molto soli: ieri sono andato al cinema con una mia amica e nella sala la maggior parte erano ragazze, sole, di sabato sera. Vale la regola delle tre birre: alla terza, sono i tuoi fratelli o le tue sorelle e ti raccontano tutto, e ti saranno amici per tutta la vita. L'indomani spariscono.

5 novembre 2014