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Film Consiglio

''Magic in the moonlight'' di Woody Allen

Il consiglio di Elisabetta Randaccio

''Magic in the moonlight''Ha appena compiuto 79 anni Woody Allen e la sua carriera straordinaria continua senza soste, alternando, come è ovvio, capolavori assoluti e raffinati giochi narrativi, perseguendo una idea di cinema personale, che ci aiuta, da una parte a capire la disgregazione del mondo impegnato follemente nella ricerca del profitto, dall'altra ci fa viaggiare nei sogni e in un immaginario costruito soprattutto dai miti e dalle icone del grande schermo.

Inoltre, Allen, che rispetta quasi in maniera severa la lunghezza standard del film commerciale, ci sembra avvicendi “romanzi brevi” e “racconti lunghi”, grazie soprattutto al suo essere uno sceneggiatore fantastico, i cui dialoghi brillanti possono - in qualsiasi lungometraggio interessante o meno siano utilizzati -  reggere la narrazione e dare ottimi spunti interpretativi ai suoi attori.

''Magic in the moonlight''Così, dopo il perfetto e drammatico Blue Jasmine, prende fiato dalle brutali trappole economico sociali della contemporaneità, per dedicarsi al proprio bagaglio onirico incrociato con un immaginario costruito attraverso gli anni  e i rimpianti di un passato sostanzialmente creato dalla sua mente forgiata dalle letture, dalle visioni di pellicole, dalle esperienze artistiche. I tardi anni venti di Magic in the moonlight, infatti, sono improbabili, contestualizzati esclusivamente dai vestiti, dalla musica Jazz, dalle automobili, dal cibo e dal vino, ma, paradossalmente, sono credibili perché direttamente discendenti da certe pagine di Fitzgerald o dai fotogrammi di alcuni film hollywoodiani inutili, ma fascinosi.

''Magic in the moonlight''In questa ambientazione di fiaba moderna, possono darsi battaglia il razionale Stanley, il quale, però, in maniera contraddittoria, è un perfetto illusionista con falsa personalità cinese, e la medium “spirituale” Sophie, che Stanley dovrebbe smascherare in un percorso cinico, già pronto a sbriciolarsi al primo sguardo intenso tra i due. La magia, “spostamento” evidente del cinematografo, può aiutarci ad accettare i dolori e i lutti della vita, meglio della religione, come scopre, in un monologo imbarazzato e drammatico, il protagonista; l'illusione, il sogno sono metodi per scoprire la parte migliore di noi stessi, come, allo stesso modo, capitava in Alice o in Scoop e altri film alleniani dove si cerca di tamponare la mancanza di riferimenti metafisici, riassumibili nella famosa battuta: “Dio è morto, ma neppure io sto tanto bene”...

''Magic in the moonlight''La leggerezza (nel senso contenuto nelle Lezioni americane di Italo Calvino) di Magic in the moonlight è estremamente godibile e piacevole e gli si può perdonare un finale frettoloso e quasi l'annullamento della figura dell'antagonista, ridotto a un disegno macchiettistico, seppure molto divertente. Gli interpreti, come spesso accade nelle opere del regista newyorkese, paiono avere trovato una loro precisa e adeguata chiave di lettura per delineare i personaggi, per cui, soprattutto Colin Firth e Emma Stone, sembrano essere nati per giocare al gentleman british “stupidamente” concentrato sulla mente e alla ragazza del popolo pronta a tutto pur di salvarsi dalla miseria. Allen, poi, si serve del suo illusionista personale, ovvero il direttore della fotografia Darius Khondij, per precipitarci in una Costa Azzurra mozzafiato illuminata eccessivamente, come a ricordare che dopo quei giorni di luce, di sole e di benefici intrighi, arriverà una tempesta nera di odio e di guerra.

17 dicembre 2014