Percorso

Memorie d’oltrecinema. "Barry Lindon" di Stanley Kubrick

Gianni Olla ci apre la sua cineteca per riscoprire un grande film del passato, ora sommerso

''Barry Lindon'' di Stanley KubrickRitorna nelle sale cinematografiche Barry Lindon di Stanley Kubrick, restaurato dalla Cineteca di Bologna, nell’ambito del progetto “Il cinema ritrovato”. 

Per molti critici e studiosi, è il film più bello del regista americano, ma, vuoi per lo scarso successo commerciale (un’anomalia nella carriera di Kubrick), vuoi perché altri suoi titoli (2001. Odissea nello spazio, Arancia meccanica) si sono imposti all’opinione pubblica come opere che andavano al di là della riuscita estetica, per segnare indissolubilmente una visione pessimistica del mondo presente/futuro o la ricerca di senso nella vita umana, si finisce spesso per mettere tra parentesi quell’opera persino troppo perfetta. Anche chi scrive, se dovesse essere sottoposto al gioco della torre, confessa di voler salvare, pur con molte riserve, proprio Odissea nello spazio.

''Barry Lindon'' di Stanley KubrickQueste considerazioni ex post, in realtà, erano già presenti nel momento in cui ebbe inizio la produzione del film, che occupò ben tre anni, tra scrittura del copione, sopralluoghi e riprese in Irlanda, Gran Bretagna e Germania, per un costo finale esorbitante di 13 milioni di dollari. Troppi, anche per la Warner, i cui dirigenti, pur avendo dato carta bianca al regista dopo il successo di Arancia meccanica, dovettero confessare le loro ragionevoli perplessità sul bilancio economico finale dell’intera operazione.
Si può anche aggiungere che gli stessi dirigenti della celebre casa produttrice, pur scommettendo sulla fama del regista, non furono mai interamente convinti della solidità del film che si apprestavano a garantire finanziariamente. Nel 1970 avevano accantonato un altro progetto lungamente accarezzato da Kubrick, Napoleone, di cui sono rimaste le tracce non solo delle sceneggiature iniziali, ma anche del vastissimo lavoro di documentazione, anche visiva, che il regista statunitense organizzò con i suoi fidati collaboratori e con un gran numero di consulenti storici.

''Barry Lindon'' di Stanley KubrickLa motivazione di questo diniego fu che, secondo un sondaggio d’opinione, il pubblico americano conosceva ben poco il personaggio Napoleone, e dunque, c’era il rischio di dovere puntare tutte le carte commerciali sui mercati europei. Probabilmente, alla Warner avevano in mente un’altra celebre disavventura: Cleopatra di Mankiewicz (1963), il film storico con Liz Taylor e Richard Burton che aveva portato la Twenty Century Fox sull’orlo del fallimento.
La vicenda raccontata in Barry Lindon fu ricavata da una celebre opera letteraria di William Makepeace Thackeray, scrittore vittoriano (La fiera della vanità è il suo più famoso romanzo), nato in India, e immerso, fin da piccolo, in disavventure familiari picaresche, che prefigurano la autobiografia “libertina” del suo eroe.

''Barry Lindon'' di Stanley KubrickIl romanzo ha per titolo Le memorie di Barry Lindon scritte da lui stesso e ha per protagonista un giovane rampollo della decaduta aristocrazia irlandese che fugge in Inghilterra, dopo una storia d’amore mancata e un duello con un ufficiale inglese, suo rivale. Costretto ad arruolarsi nelle truppe inglesi, partecipa alla guerra dei sette anni, diserta, diventa una spia prussiana, quindi un giocatore di carte, e infine impalma la vedova di un aristocratico e cerca in tutti i modi di diventare egli stesso, attraverso i capitali della donna, un gentiluomo accettato a corte. Tutto inutile: Redmond Barry, questo il suo vero nome, alla fine dell’opera, ritornerà nella sua amata/odiata terra natale, e quindi riprenderà da capo le sue peregrinazioni in Europa.

''Barry Lindon'' di Stanley KubrickKubrick, che usava i romanzi, anche famosi (Lolita da Nabokov, Odissea nello spazio da Clarke, Arancia meccanica da Burgess, Eyes wide shut da Schnitzler) come dei semplici spunti tematici, sfoltì e semplificò il lungo e dettagliato racconto, pieno di digressioni e occupato da un numero impressionante di personaggi principali e secondari. Insomma smembrò, rivoltò e, in qualche modo, riscrisse il romanzo, avendo in mente una sorta di affresco storico, o anche uno specchio generale di un’epoca, non futura, come in Arancia meccanica, ma passata: il Settecento che precede la frattura storica della rivoluzione francese.
Una delle variazioni più interessanti riguarda la cancellazione della narrazione in prima persona, esempio tipico del “memorialismo” settecentesco che, secondo Kubrick, avrebbe potuto sovrastare proprio l’idea dell’affresco storico.

''Barry Lindon'' di Stanley KubrickEppure, quei lunghi commenti e riflessioni che servono a spiegare e, soprattutto, a confessare l’ambiguità del protagonista/narratore, nel film non scompaiono totalmente. Vengono semplicemente attribuiti ad un narratore esterno – nell’edizione italiana, è affidato alla magnifica voce di Romolo Valli, scelto dallo stesso Kubrick – che finisce per diventare quasi il burattinaio della marionetta Redmond Barry. Insomma, un vero personaggio, benché invisibile.
Anche a partire da questo importante cambiamento formale, il senso della pellicola sta tutto in una raffigurazione della Storia volutamente “sdoppiata” tra i personaggi comuni e la memoria ufficiale, ovvero quella agiografico-documentaria rappresentata dalla cultura: le opere d’arte, i monumenti, le dimore nobiliari, la musica popolare e quella colta, ma soprattutto la pittura d’ambiente, in cui spiccano le celebri “conversation pieces” inglesi, citate, nella seconda parte del film, quasi testualmente.

''Barry Lindon'' di Stanley KubrickI due livelli rappresentano, in qualche modo, anche una sorta di opposizione all’idea nazionale, patriottica, eroica della storia, trasmessa dalle “res gestae” dei potenti e dalle vestigia della loro epoca. Eleggere a protagonisti coloro che vivono nelle pieghe della storia e la fanno avanzare attraverso la partecipazione alle guerre, alle rivoluzioni, o semplicemente lavorando, vivendo e morendo, finisce per imparentare il film con la storia sociale di Braudel, Marc Bloch e Lucien Febvre. In base a questa evidente progettualità, tutto, in Barry Lindon, diventa contrasto tra la meraviglia dell’immagine e del sonoro (musiche settecentesche, da Hendel a Mozart, passando per le marce militari, poi sovrastate dal magnifico e tristissimo andante del trio op. 100 di Schubert, che annuncia il romanticismo, ovvero l’apparente trionfo dell’interiorità, contrapposta all’utilitarismo estremo della vita di Redmond) e la povertà umana dei personaggi.

''Barry Lindon'' di Stanley KubrickLuce naturale e candele (o torce o fuochi) sono le uniche fonti luminose di ogni epoca che precede il Novecento. Kubrick si sottomette a questa esigenza realistica, grazie alla fotografia di John Alcolt, ad una pellicola sensibilissima e alle lenti che la Zeiss preparò qualche anno prima per l’esplorazione dello spazio da parte della Nasa. In questo modo il film diventa una vivente galleria d’arte che rifà, non testualmente ma idealmente, il mondo settecentesco, citando spesso non solo i paesaggisti tedeschi romantici, ma soprattutto Hogart, Constable, Gainsborough, Zoffany (per le quadrerie nobiliari che acquista l’arrampicatore sociale Barry), Stubbs.

''Barry Lindon'' di Stanley KubrickUna straordinaria sequenza, che riguarda Lady Lindon, distrutta dal dolore dopo la morte del figlio, è quasi un ricalco animato di un celebre quadro di Fussli, L’incubo. E non a caso il pittore tedesco è già pienamente romantico. Ma quella sequenza iper cinetica, seguita con la macchina a mano, e duplicata, più avanti, dalla rissa che si accende tra Redmond e il suo figliastro, Lord Bullingdon, è anche l’unico momento in cui i due personaggi principali si discostano dalla loro “fissità” rituale, appunto pittorica, per diventare essere umani dominati dai sentimenti.
Nel resto del film, la fissità, apparentemente illustrativa, si anima attraverso un unico movimento di macchina, che si potrebbe considerare come la forma filmica dominante: un lentissimo carrello all’indietro che, dai piani ravvicinati dei protagonisti – frammenti isolati di realtà illustrate – si allarga a mostrare l’intero spazio, ovvero a mettere in opposizione il quadro e il suo contesto reale.

''Barry Lindon'' di Stanley KubrickSolo la celebre e lunga sequenza della battaglia campestre tra le giubbe rosse inglesi e quelle blu dei francesi – che non piacque a Billy Wilder, cultore della sobrietà e della fulmineità scenica – rovescia il significato del movimento di macchina: la scena totale è basata su una ipnosi estetico-figurativa di tipo pittorico; i dettagli mostrano i soldati mandati al massacro come bestie, ritualmente inquadrati in formazioni di “droni” umani.
Barry Lindon, nel suo grandioso “fallimento” commerciale, fu anche uno degli ultimi film storici, un genere consustanziale alla storia del cinema, fin da quel Nascita di una nazione che segnò l’inizio del racconto filmico articolato e divulgativo.

Tutto sommato, la Warner non aveva sbagliato ad ipotizzare non solo la scarsa conoscenza del personaggio Napoleone da parte degli spettatori nord americani, ma soprattutto l’eclissi del genere, che riprenderà vita, qualche anno più tardi, con i film per la tv, eredi, in Italia, dei vecchi sceneggiati di matrice teatrale, o con i grandi “colossal” hollywoodiani del nuovo secolo (da Il gladiatore a Troy, da Le crociate a Exodus, da 300 a Alexander), quasi sempre caratterizzati da una sorta di scenario “fantascientifico” declinato al passato, ovvero lontani anni luce dal rigore del film di Kubrick.

''Barry Lindon'' di Stanley KubrickPrima e dopo Barry Lindon, non a caso, si possono segnalare solo altri due titoli accostabili, per le dimensioni produttive e l’accuratezza delle ricostruzioni, al film di Kubrick: Ludwig di Luchino Visconti (1972), altro grandissimo e bellissimo fallimento commerciale, e I duellanti, film d’esordio di Ridley Scott (1977), che cita a lungo e piuttosto bene Kubrick.
Entrambi sono basati proprio sul contrasto tra lo splendore figurativo e pittorico (in Visconti, lo splendore, oltre che architettonico e artistico, è anche di tipo musicale, legato alle composizioni di Wagner) e l’evocazione di una disfatta materiale e morale dell’uomo.
E, giusto per riprendere il tema “non svolto” da Kubrick, I duellanti, tratto da un racconto di Conrad è un’epopea avventurosa storicamente ambientata durante e dopo il dominio europeo di Napoleone.

Per concludere, Federico Fellini – che raramente amava i film dei “rivali” – quando uscì Barry Lindon era già sul set di Casanova, il suo allucinato e fantasioso eroe settecentesco, sgradevolmente libertino ed eversore, secondo il regista romagnolo, del secolo dei lumi.
Dichiarò che Barry Lindon era un grandissimo film e aggiunse che anch’egli tentava di fare un film in cui le immagini fossero quasi dei quadri – pensava certo a Piranesi e non alla pittura di “conversazione” inglese – e l’opera completa una galleria di immagini. Certamente diverse da quelle “documentarie” del regista statunitense, ma non meno significanti.

18 febbraio 2015

 

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