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Marisa Allasio, la diva rossoblu

La ‘povera ma bella’ del cinema italiano, figlia dell’allenatore del Cagliari anni ’50, sconvolse le estati di tanti casteddai. di Marcello Atzeni

Marisa AllasioEstate del 1952, una ragazzetta, anagraficamente parlando, ma ormai donna, con tutte le curve al posto giusto, neanche fosse il circuito automobilistico di Monte Carlo, passeggia sul bagnasciuga de “Su Poettu”. Facile, anche allora, immaginare i commenti, gli sguardi, le attenzioni dei ragazzi della città.

“Ohhh, gi est pitticca… ma tu la conosci?”
“No, mai vista, ma forse è ora di smetterla con gli scioppini.”
“Mi sa che siamo cotti già dalle undici del mattino.”
Qualcuno pensa a una visione scaturita da un bombardamento a tappeto di casse di Ichnusa. Ma l’indomani, la biondina, con lo sguardo che trafiggerebbe il Monte Bianco e con un nasino simil francese, oltrepassa la battigia, si butta in mare, un paio di bracciate ed esce ad asciugare la testa dorata e il corpo fatato, lasciando le impronte dei piedi sul candido arenile. Ma chi è la biondina, anzi, la biondona, che manda in burrasca il cuore dei cagliaritani?

Marisa AllasioÈ la sedicenne Maria Lucia Allasio, detta Marisa, figlia di Federico, ex calciatore del Torino, e ora allenatore del Cagliari, in serie B. Rimarrà in carica dal 1951 al 1954, poi la partenza di Bercarich, fa sì che il suo posto in panchina venga preso da Cenzo Soro. Federico, aveva tanti amici in città, alcuni lo descrivono come una persona corretta, signorile, dalle maniere garbate. In seguito, circa dieci anni dopo, allenatore della Torres, assieme ad un imprenditore continentale, aprirà il primo ristorante a Santa Teresa di Gallura. Federico abita a Cagliari da solo; la sua famiglia, rimane a Torino. Ma lo raggiunge spesso, soprattutto nella stagione estiva, passa dei lunghi periodi in città. In tanti hanno stretto la mano a Marisa e ricordano la sua deflagrante avvenenza. Le sue vasche tra via Garibaldi, via Manno e il Largo Carlo Felice. Ma il suo destino, è ovvio, non può essere legato a Cagliari. Segue gli spostamenti del padre e a Roma, studia recitazione con Wanda Capodaglio. Dino Risi, uno dei maestri della commedia all’italiana, la vede, forse sul Lungo Tevere e la dirotta sul set di Poveri ma belli.

Marisa AllasioFilm cult degli anni cinquanta. 1956, esattamente. Nel quale recita a fianco di Maurizio Arena, Renato Salvatori e Lorella De Luca. Al botteghino è un successo strepitoso. “Giovanna”, è salda nella sua moralità e l’unica cosa che l’interessa, è l’altare e un anello al dito. Ha mille corteggiatori, ma idee chiare e dogmi cattolici, insormontabili. Si è in piena democrazia (cristiana). Quella è l’Italia. Guadato, l’allora, biondo Tevere, Marisa continua il suo percorso. La sua fu una carriera breve ma intensa. Con pellicole in fotocopia, tra le altre, Belle ma povere, Susanna tutta panna, Arrivederci Roma e Camping. In Marisa la civetta, di Bolognini, sceneggiato da Pasolini, si distacca, ma non più di tanto dal suo clichè. È una diva. Piace. E molto. Non solo agli uomini.

Marisa AllasioÈ la B.B di casa nostra, il successo le arride, le phisique du role è gigantesc, ed è anche bravina. Seppur, quasi sempre, doppiata. Sul set interpreta, fondamentalmente se stessa, non si sente una donna fatale e non vuol neanche esserlo. La malizia non esiste nel suo vocabolario e men che meno, nella sua vita. Coerente con se stessa viene impalmata da Pierfrancesco Calvi Di Bergolo (imparentato con i Savoia). La sua carriera si chiude, così intesa come protagonista, nel volgere di un paio d’anni, mentre le comparsate, precedenti all’ incontro con Risi, come in un film di Camerini, sono poca cosa. Presenta, un’edizione del festival di Sanremo. Giunonica e musetto penetrante, è all’apice. Ma il prete l’aspetta.

Marisa AllasioScorrono i titoli di coda. Rimpianti? Forse, uno e non dev’essere piccolo, ammesso che esista. Aver rifiutato l’offerta di Luchino Visconti per “Il gattopardo”. Ruolo che fu di Claudia Cardinale e la consacrò definitivamente nello star system. Beh, se non le viene il rimpianto significa proprio che era bella, brava, povera no, coerente sì e magari, non innamoratissima della macchina da presa, quanto di suo marito. I cagliaritani, che circa sessantenni fa la conobbero, il rimpianto ce l’hanno: per troppo poco tempo , il suo bikini, e tutto il resto, hanno reso bello  il “povero” Poetto.

4 marzo 2015