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Viaggio in libertà intorno al web-documentario ''Lunàdigas'' - VIDEO

GUARDA IL WEBDOC. L’opera di Marilisa Piga e Nicoletta Nesler è un’esperienza multisensoriale che trasforma lo spettatore in regista. di Salvatore Pinna

Marlisa Piga e Nicoletta NeslerGuarda il web doc. Girovagare per il web-doc. Da sinistra a destra, all’incontrario, zigzagando, dall’alto, dal basso. Ecco un vero web documentario. Dal punto di vista del contenuto, si presta a una mia partecipazione attiva: da fruitore mi trasformo in regista. Comunque posso scegliere il mio metodo di fruizione e esplorare il documentario nelle sue parti secondo percorsi e tempi scelti da me, congeniali al mio modo.

Dal punto di vista multimediale, mentre un documentario classico è un audiovisivo, il web-doc è ipermediale e multisensoriale. C’è l’audio e il video integrati a testi, grafici, collegamenti ipertestuali. C’è qualcosa dei libri-game e dei videogiochi. Ma sensati, finalmente.

''Lunàdigas'', dietro le quintePre-visione: prima di vedere dentro
Presenta tre singolarità, o difficoltà, o opportunità: una lettura insolita e non abituale. Perché il documentario è nel web, e si può fruire solo nel web, ma non è il web. Nel web-documentario c’è un’intenzione nascosta dietro l’offerta, allo spettatore (fruitore, linkatore) di un viaggio in libertà (sciolto dai vincoli del testo, dell’intenzione ragionata, della struttura. Infatti è propriamente un’infrastruttura, uno spazio aperto, un luogo dove sistemare una struttura (possibilmente nostra).
La seconda singolarità o difficoltà o opportunità è offerta, da contenuto. Il contenuto è arduo, sottaciuto nella comunicazione sociale, quasi un tabù, per quanto si dica (una vera scoperta!) che riguardi un fatto diffuso maggioritariamente nella cultura occidentale. Esso riguarda le donne (e anche uomini si dovrebbe dire) che non hanno figli, per meglio dire che scelgono di non avere figli. Perché è un argomento tabù? Perché la società esige la maternità, la socialità (socievolezza), la comunione (singolo ha sinonimi negativi come spaiato, scompagnato, solo, separato, isolato, anche unico… che sembra un aggettivo positivo ma in Francia, dice mio figlio che ci vive e ha una sola figlia, figlio unico è una bestemmia).

Ho idea che bisogna guardarsi dalla conclusioni saccenti e frettolose, di chi ha la riposta pronta su tutto, di chi ne sa una più del diavolo, di chi sa da sempre. È vero che nella disposizione dei pezzi c’è già un’idea di regia. Ma il racconto, la narrazione, quella cosa che ci attendiamo e che ci libera dall’eccesso di libertà, il film finito, per intenderci, quello deve ancora arrivare e ci offrirà la soddisfazione doppia e dilazionata, di poter confrontare la nostra idea di film con il film delle due autrici.
La terza singolarità sta nel fatto che il film, quello tradizionale con tutti i pezzi cuciti per benino, con un punto di vista autoriale, con un perché del mondo che si trasforma in un come del mondo, al quale noi spettatori teniamo più che alla nostra libertà (condizionata), ci sarà (sequitur) e che il film come lo hanno pensato le autrici lo vedremo, e che quello che ci hanno consegnato è un puzzle.

''Lunàdigas'', dietro le quinte, Veronica PivettiI pezzi sono questi (le tessere), come in un gioco di Maria Lai, un gioco delle carte: da sinistra a destra: IN ALTRE PAROLE, TESTIMONI, ARTISTE, TESTIMONI, MONOLOGHI IMPOSSIBILI, TESTIMONI, RAGIONAMENTI. Sapendo il tema, la tipologia ad interviste, i titoli dei capitoli (o delle super tessere), mi diverto senza aver visto ancora niente (anzi mi proibisco tassativamente la visione), a congetturare. Intanto mi aspetto testimonianze di persone varie (donne dato che si parla di Lunadigas, ma potrei avere la sorpresa di vedere qualche uomo) che raccontano la propria esperienza di donne sterili per amore; la tessera “artiste” fa pensare che uno spazio specifico sia riservato a raccogliere quello speciale punto di vista. Già mi accorgo che la struttura del web crea questa suspense che mi autoinfliggo come nella composizione di un gioco di carte. La continuità temporale e lineare del documentario non mi consentirebbe questa flemma, questa dilazione dell’attesa. Questo è tempo per pensare e per prevedere. Continuando a ragionare sui link e sui tutoli mi aspetti molto da RAGIONAMENTI che potrebbero offrire la chiave di volta, i tasselli per costruire la suspense narrativa. Vedremo se sarà così.

Dal link IN ALTRE PAROLE mi aspetto le spiegazioni della scienza e della letteratura sull’argomento, una sponda per dire altrimenti, per collocarlo tra i fenomeni sociali già codificati. “Testimonianze” escute testimoni non neutrali, per così dire, esperti (inesperti) in corpore vili che raccontano la loro esperienza non più fenomeno come nella scienza). In generale, a livello della concezione, ci sono testi scritti perché sono porti come documenti che non possono che essere scritti. Ma c’è l’opzione di poter leggere le testimonianze e ogni altro materiale. Qui c’è una particolarità da segnalare. Prima di tutto che la scrittura è un altro modo di vedere nel cinema post-moderno. Ma soprattutto essa leva dall’effimero dell’esperienza transeunte le testimonianze, le trasforma in letteratura. In qualche modo le nobilita. In ogni caso consente allo spettatore-linkatore una attenzione più riflessiva.

''Lunàdigas'', dietro le quinteRe-visione: dopo aver visto dentro
Vedere un doc e “vedere” un web-doc non è la stessa cosa. E questo è il bello, questo è bello ed è bello questo web doc. Il doc ti vincola al tempo lineare che può essere breve o lungo ma comunque circoscritto. Quando è bello, c’è il brivido dell’imprevedibile ispirazione artistica e allora viene dilatato il tempo interiore. Faccio queste considerazioni, non in astratto e non teoricamente, ma “preda” della suggestione di “Lunadigas”. È questo già sarebbe molto. Nel web doc (Lunadigas) si è emancipati dal vincolo del tempo e della consequenzialità lineare. Si sta come davanti ad una consolle da dove peschi vari pezzi (che poi sono in Lunadigas esperienze umane coinvolgenti) che ordini e disordini a piacimento, coi tempi di visione, lettura, ascolto, immaginazione, riflessione che sono tuoi propri. E allora mi piace “naufragare in questo mare” prolungare a dismisura il piacere dell’(iper)testo. Con ciò non voglio dire che il web doc (Lunadigas) è come una Digital Library ridotta. Il motivo è semplice: in Web-Lunadigas c’è sottesa una idea di regia. In un certo senso anche in Digital Library c’è un’idea di regia ma è tutta politico-cultural-identitaria.

È chiaro che c’è, in web-Lunadigas – un’idea di regia e c’è anche un racconto pensato dalle due grandi imagier che sono Nicoletta e Marilisa. Questo racconto nella sua forma classica, per ora ci è negato. Ora lo spettatore-linkatore non ha propriamente un inizio, né propria mente una fine. Ha di più: tutto quello che sta in mezzo, cioè la scatola nera, cioè gli anelli intermedi che dobbiamo attraversare tutti. Per fare che cosa? Nientemeno che il nostro documentario.

''Lunàdigas'', dietro le quinte*Considerazioni finali a visione-lettura conclusa. Quanto è vario il mondo, quanto è curiosa l’umanità che la abita, quante idee di cui non sospettavamo l’esistenza e la piegatura.

*In pratica io non ho mai visto prima d’ora un web-doc. Ho visto lavori spacciati come tali, ma nessuno corrispondeva all’idea di come pensavo dovesse essere un web-doc. Web-Lunadigas per me è come un appuntamento atteso. Corrisponde in pieno all’idea che mi ero fatto del futuro della visione, alla mia idea di spettatore e di fruizione: solipsistica, indagatrice, di chi saltabecca (cioè procede a salti) infine dello spettatore nell’ultimo stadio del suo sviluppo: lo spettatore demiurgo che fa la regia e la cambia a piacimento.

*Si può dire che manchi il mistero (dato che mette a disposizione innumeri materiali e spiegazioni), il non detto che costituisce il fascino del cinema (doc o fiction non fa differenza)? No, non si può dire che manchi il mistero. Anzi esiste il fascino del mistero all’ennesima potenza. Mi scorrono materiali delle artiste. La lunadiga nell’arte, la storia bella sofferta di chi come Faa, si dà una ragione, trasferisce il senso materno in altra “generazione”, ne fa un elemento di forza e nasce una proposta originale e vitale (non lo dico per ragioni sindacali data la mia età. Però in un centro anziani in cui ci fosse la mano di Rossella Faa io ci andrei). Ho in mente la Trettel che è madre ma ammira le non- madri. Mentre lo penso, mi rendo conto che non so come si dice madre per una che non è madre. Forse diversamente madre? C’è sempre bisogno di un’altra parola per accompagnare la parola. Io credo che lunadigas (tratto da un contesto pastorale, quindi molto sapienziale, pieno di antica saggezza generativa…) quando uscirà il film, che avrà successo, diventerà un termine internazionale, perché è il modo più bello, poetico, reale per definire quel tipo particolare di madre. Sì di madre, perché non posso che pensare così a Margherita Hack che ha generato, oh, se ha generato! Questi sono alcuni tra i mille problemi che solleva il web-doc. Ciò vuol dire che fa girare il cervello come un moulinex. Se bastasse questo per dire che un film – perché questa è la parola con cui definire senza mezzi termini il web-Lunadigas – è bello, se gli spettatori fosse tutti abbastanza post-moderni nella testa, non ci sarebbe bisogno di altro. Ma sappiamo che non è così.

''Lunàdigas'', dietro le quinte*Quando verrà il film-film (ecco che mi metto disordinatamente e presuntuosamente a fare il regista) il suo problema sarà di ridurre il mistero infinito che dirama i suoi fili dal web-doc, a quantità contenibili nella mente e nelle consuetudini dello spettatore. Immagino che esso non vorrà avere troppa lana da filare, che esiga una quantità ridotta di lavoro creativo. Se è stato capace di provare il brivido della vita, di farsi sedurre da tutte le promesse del progetto, vorrà provare quel brivido speciale, aggiuntivo dell’arte. Cioè vorrà il doc-doc, o il film- film col racconto delle demiurghe di prima mano. Se non altro per confermare con il film delle autrici il suo film.

*Come sarà il doc-doc? a parte il montaggio dei vari racconti, la loro successione secondo le tematiche, gli umori, il climax: molte testimonianze strappano il sorriso, sono puro divertimento, altre hanno un che di amaro, altre fanno riflettere, tutte sono interessanti, piene di pathos e di sincerità. Ecco se dovessi dare già una marca caratterizzante delle storie della Storia è proprio al sincerità. A questo contribuisce, secondo me non poco, l’approccio delle registe. Si capisce che le persone sono partecipi di un progetto, che sono preparate nella materia, anche quando sono sorprese di doverci riflettere sono sincere e lo spettatore insieme a loro si stupisce di avere ignorato un tema di tale evidenza. Evidenza, ovviamente, a pensarci dopo! Ecco che il problema esiste. Che esiste ce lo dicono le persone e la storia, poi l’Eurisko e l’antropologo, per chi vuole anche una conferma statistico-scientifica.

*La dice lunga sul tabù dell’essere lunadigas il fatto che spesso le stesse persone intervistate sono destate al problema dal progetto stesso. Quasi che il tema fosse rimosso nelle loro coscienze non soltanto sanzionato dalle coscienze tradizionali, dal pensare comune materno. A parte il montaggio, dicevo, penso che ci sarà un leitmotiv visivo, quello che nel web-doc è dato dagli elementi che compongono la Home: la città (in questo caso una Cagliari sincretica, compresa tra una stazione e una palazzina liberty rosa, penso il teatro delle saline - dove tutti i luoghi più riconoscibili sono disposti insieme - come si fa nella diegesi filmica -, e che sia e debba essere Cagliari non ci sono dubbi: perché è qui che avviene il film (il suo pensarlo), è qui che viene battezzato il nome ufficiale futuro delle non-madri, è qui che nasce l’idea… E poi perché di questo progetto, web documentario, documentario, tema si discuterà a lungo e non solo in Sardegna e non solo in Italia.

*E poi c’è la luna iperbolica intorno al quale ruota il mondo. Perché il tema è un tema-mondo, e ogni testimone è e vuole essere un mondo, anche narcisisticamente, anche egoisticamente.
*Sul piano visivo mi piace molto la soluzione delle due registe accostate in un vero o falso split-screen, comunque ambiguo (come è giusto) dato che potrebbe essere proprio una finestra e loro essere presenti e recitare in simultanea. Anche se io propendo per il montaggio split-screen. Questa non è solo una soluzione visiva, comunque simpatica ed efficace, ma da il tono al film. Loro sembra guardino da una finestra, anzi da dietro i vetri, in realtà recitando e dialogando affermano una lontananza-vicinanza, confermata peraltro dal fatto che sono esse stesse due lunadigas, quindi interne al progetto e al tema. Questo è un tema che non tollera narratore onnisciente (questo può essere l’Eurisko per la sua parte), ma ha bisogno di mostrare la sorgente dell’idea (le due registe), l’umanità, l’ironia, persino la discrezione, una sorta di riluttante timidezza, con cui il tema va affrontato. Nulla vi può essere di voyeuristico e di giornalistico, pena la perdita del dono più prezioso: la sincerità.

''Lunàdigas'', dietro le quinte, Margherita Hacker*E come sistemare le interviste impossibili pensate da Cicci Borghi? Forse è meno complicato di come può sembrare. Vanno disseminate per parentele, per affinità, per attrazione e per acme drammatico.

*I set della interviste sono accomunati da uno stile, anzi da uno stilema. Gli sfondi, i luoghi sono belli. Le persone sono riprese al meglio della loro capacità comunicativa ed espressiva. Forse dicono della classe sociale, del livello culturale. Del resto, senza inutili e fuorvianti populismi, non sono le persone emerse nella ricerca Eurisko?
*C’è un principio di fondo? L’interrogativo torna a fare capolino ogni tanto. Diciamoci la verità: anch’io sono in curiosa attesa del doc-doc. Mentre provo a elaborare il mio documentario mentale coi materiali, e con indizi registici, messi a disposizione del web, aspetto di vedere “il” documentario. In fondo anch’io sono uno spettatore normale e insieme diverso.

*I contenuti, già i cosiddetti contenuti. Mi scopro a pensare pensieri che non vorrei a avere o non vorrei formulare in questo modo. Ma penso alle persone che come me avranno questi pensieri a allora mi decido. Il problema non è fare figli o non farli per mancanza di predestinazione naturale (fisica o genetica o mentale o familiare). La questione è di esercitare la genitorialità, una qualche genitorialità, cioè prendersi a cuore qualcuno. Comunque vada c’è sempre qualcuno che si sobbarca il compito per vocazione, per predestinazione, per religione, per entusiasmo, per amore dell’amore.

*Ognuna ha qualcosa da rivelare: una spiegazione, una giustificazione, una constatazione. Spesso la gioia della non-maternità. Talvolta c’è la spiegazione brillante e un po’ difensiva. Ma anche questa serve a porsi dei problemi trasversali. Come quando una dice che in un pianeta esuberante di popolazione si stente una benemerita dell’umanità. Si può dare torto, visto come le cose vanno nel mondo, a chi si vanta di non aver contribuito al baby-boom planetario? Ci sono tutte le inquietudini del mondo concentrate o diramate da questo “piccolo” problema delle non-madri. Quante volte ci abbiamo riflettuto: con che coraggio si infligge la vita da un innocente e lo si immette in questo mondo? Certo c’è anche il rovescio della medaglia: il mondo (se deve andare avanti) procede perché qualcuno si fa carico “anche” di fare bambini de di averne cura. Ma, poi questo mondo, deve andare avanti? È questo il punto al quale arriva paradossalmente (paradossalmente una professoressa sessantenne Lunadiga alla compagna che Lunadiga lo è diventata per empatia ma ha un figlio cui dedica le cure, prima che alla compagna e che se ne lamenta.

*Il bisogno (quasi un voto) di autonomia, indipendenza, libertà, realizzazione piena di sé ispira la scelta di tante. Tante sono, senza saperlo, accomunate, da scelte che hanno l’onore della letteratura e che troviamo nelle interviste impossibili. In fondo anche Giovanna D’arco aveva un forte bisogno di autonomia e di autorealizzazione. Come donne semplici di oggi, Rosa Luxenburg ha generato per il mondo in altro modo. Ecco una altrimenti madre. Come la Hacker.

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4 marzo 2015