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‘’Desula’’, la storia dei vestiti che parlano

Giancarlo Casula, nipote del poeta Montanaru, racconta la misteriosa alchimia dell'amore in Barbagia. di Guido Garau

''Desula''Sul ripido pendio di un’ampia vallata a ridosso del Gennargentu, esposto a levante e inerpicato a mille metri di altitudine, c’è un piccolo gruppo di case di scisto dai colli allungati. Desulo si srotola in verticale, lungo la strada provinciale che lo collega a Fonni, salendo sempre più in alto, lasciandosi alle spalle l’ampio fondovalle e poi il monte su cui sono disseminate le casupole de sos pastores.

Lungo il versante, i prati e i pascoli fanno via via largo alla foresta. Sopra a tutto riluce un cielo limpido, nel cui orizzonte radioso, a volte, volteggiano le aquile. Affacciata da un piccolo balcone, un’anziana donna osserva la luce nel volgersi del giorno e delle stagioni: così, da 89 anni, fa esperienza dell’incedere del tempo. Sulla mole delle montagne e sulla durezza della roccia, sopra la crescita prudente dei castagni e lo scrosciare dei ruscelli, spicca la linea rigorosa del suo costume sgargiante; che muove e penetra, rimanendo sospesa, sopra l’esistenza. Questa donna è un monumento: racconta ciò che non viene scalfito dal ticchettio dei giorni. La sua veste tradizionale ha un’anima e un linguaggio.

DesuloUn ricchissimo codice di segni che Giancarlo Casula, un ingegnere romantico con lo spirito del grande antropologo, ha deciso di raccontare. Giancarlo è originario di Desulo, vive e lavora a Cagliari. E’ nipote del grande Antioco Casula, il poeta barbaricino noto come Montanaru. La donna in costume è sua madre. “Desula” (Delfino editore, 2015) è una lunghissima storia d’amore. Un sillabario scritto e raccolto in anni di scrupoloso lavoro che spiega il significato di quel vestito per svelare l’universo mondo che fino a oggi era rimasto celato dietro il suo misterioso alfabeto; ma è anche un gioco di specchi, il tentativo di non perdere il prezioso legame con la propria madre e con l’infanzia – di un uomo e di un popolo – la riscoperta di una weltanschauung, al femminile, ma anche come vocativo singolare, “a Desulo”. La scelta del titolo è il primo indizio della volontà di mettere la donna al centro del racconto.

La chiave di lettura che evoca un fatto: il paese – tutti i paesi montagninos - fino alla fine del Novecento erano in mano alle donne. Gli uomini partivano per la transumanza, per cercare pascoli migliori, oppure a commerciare i propri prodotti artigianali in giro per la Sardegna; loro rimanevano sole, a casa, con i vecchi e i bambini (come ricorda un bellissimo filmato girato da Giuseppe Dessì - La Sardegna, un itinerario nel tempo, 1963). Non solo badavano a se stesse e ai loro figli, ma gestivano la casa e l’economia del villaggio, avvezze a un’esistenza condivisa con mariti lontani centinaia di chilometri – cui erano comunque sempre legate, in una misteriosa alchimia di presenza/assenza. Nel suo lavoro Casula rivela le pieghe più sottili del costume di Desulo, e dunque di quel mondo, descrivendone i preziosi segnali semiotici, illustrandone storie, simbolismi, allegorie. I segni ricamati hanno innanzitutto un significato diretto, il primo dei quali è apotropaico: sono atti a scongiurare, allontanare o annullare influssi maligni. I colori esprimono poi uno stato d’animo interiore e il rapporto della persona che lo indossa con la comunità. Per esempio, l’abito della vedova si tinge di nero, ma la donna che si risposa, non potendo andare all’altare vestita a lutto, trasforma il nero in vinaccia, manifestando al contempo la gioia per il nuovo sposo e il rispetto per la memoria del precedente marito.

''Desula''Tutto, in un vestito, è una comunicazione con sé e verso gli altri; capirne il significato – leggendo tessuti e colori come un libro - serve a svelare la complessità della società desulese, e per soprammercato sarda, di allora. Individuare il momento storico in cui il costume ha ceduto il passo all’abito preconfezionato – alla moda moderna – diventa utile spartiacque, per distinguere due mondi, sue forme diverse di organizzazione sociale: da un lato la comunità (gemeinschaft) ormai perduta, dall’altro la società (gesellschaft). Dove la prima, in forma comunitaria, si fondava sul sentimento di appartenenza e sulla partecipazione spontanea, soprattutto femminile, mentre la seconda, basata sulla razionalità e sullo scambio, domina nella nostra vita moderna, ed è soprattutto maschile. Ovunque, anche nei nostri piccoli paesi. E così non possiamo far altro che esercitare la memoria; nutrire i sensi della bellezza di un vestito fantastico; e constatare che, mentre nella “comunità” - rappresentata da quella fiera donna di 89 anni - gli esseri umani restavano essenzialmente uniti, nonostante i fattori che li separavano (e quell’abito ne è la prova lampante), nella nostra cara “società” restiamo tutti essenzialmente separati, nonostante i numerosissimi fattori che ci uniscono.

25 marzo 2015