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Memorie d'oltrecinema. Todo Modo di Elio Petri

Gianni Olla ci apre la sua cineteca per riscoprire un grande film che riemerge dal passato

''Todo modo'' di Elio Petri1. Qualche anno fa, in occasione di una rassegna dedicata al cinema politico italiano degli anni Settanta, ritenni fondamentale, come responsabile del programma che avrebbe avuto come sede il cinema Odissea, poter mettere in cartellone Todo Modo di Elio Petri, uscito in Italia nel 1976, e ben presto scomparso persino dai radar sensibilissimi della cinefilia internautica.

Fortunatamente, la pazienza e il fiuto degli organizzatori ebbero la meglio sulle difficoltà, e il film fu proiettato nella versione originale italiana, ma con i sottotitoli in cirillico. Il Dvd era in vendita in un sito Internet e proveniva dalla Russia.
Visto che, a partire dal 13 aprile, Todo modo sarà nuovamente in programmazione e che, successivamente, sarà disponibile in home video, si può raccontare la storia di questa pellicola “sommersa” che fu uno degli ultimi e “scandalosi” eventi del cosiddetto cinema politico italiano.
Leonardo Sciascia aveva pubblicato il romanzo Todo modo nel 1974. Era uno dei tanti celebri racconti-metafora che, a partire da Il giorno della Civetta (1961), ispirarono registi come Damiani, Rosi (Cadaveri eccellenti), Amelio (Porte aperte), Emidio Greco (Una storia semplice).

Lo stesso Petri, nel 1967, aveva portato sullo schermo uno dei più riusciti racconti dello scrittore, A ciascuno il suo, primo titolo di una lunga collaborazione con Gian Maria Volonté, attore già famoso per i suoi trascorsi teatrali e televisivi, ma arrivato al successo con gli western spaghetti degli anni Sessanta. Dopo quella prima esperienza, Petri  ne sfruttò l’incancellabile maschera istrionesca, adattandola al cinema drammatico e attualistico degli anni Settanta.  Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970) e La classe operaia va in paradiso (1971), i film più celebri di Petri, sono appunto impensabili senza l’attore/personaggio Volontè, che diverrà poi il segno visivo e verbale più forte e più celebre di Todo modo.  

''Todo modo'' di Elio PetriNel breve romanzo di Sciascia si racconta di un pittore che, per caso, trova alloggio in una sorta di convento-albergo in cui si svolgono gli esercizi spirituali di un buon numero di esponenti politici legati al partito cattolico al potere. Lo stesso pittore è così testimone – e poi silente indagatore e quindi persino indagato – di una serie di omicidi che colpiscono i più potenti tra gli ospiti del convento.
Nonostante una certa astrattezza di tipo kafkiano (il convento può essere paragonato a Il Castello dello scrittore praghese), il titolo del romanzo e poi del film (“Todo modo para buscar la voluntad divina”, ovvero “qualunque mezzo per obbedire al volere di Dio”, come recitano gli esercizi spirituali di Ignazio de Loyola, fondatore dell’ordine dei Gesuiti), rimanda ad una concezione gesuitica del potere. E dunque quei personaggi potrebbero essere indicati come esponenti della Democrazia cristiana, tanto più che negli anni Settanta, la compattezza di quel sistema di potere si stava velocemente disgregando in una serie di lotte fratricide. Lo scrittore di Racalmuto ipotizzava, appunto, un prossimo e sanguinoso regolamento di conti che si sarebbe concluso con l’estinzione della “specie” politica democristiana.

Il parte per “l’obbligo di far vedere” (Pietro Montani) del cinema, cioè di rendere concrete e riconoscibili le cose e le figure umane di un romanzo, in parte perché Petri era un militante di sinistra, anche se non ortodosso, il film, al di là delle modifiche alla trama (talvolta non necessarie o proprio fuori contesto, ad esempio nel personaggio di Mariangela Melato, ossessivamente e eccessivamente caricaturale) estremizza la connotazione politico-surreale delle pagine sciasciane, usando però lo stesso stile grottesco e surreale, immerso in un paesaggio apocalittico da vero film di fantascienza.

''Todo modo'' di Elio PetriL’arrivo al convento-albergo è preceduto, infatti, da un viaggio nel degrado urbano (i cumuli di immondezza ai lati della strada, prefigurano anch’essi un prossimo futuro che purtroppo si è già avverato), provocato da un epidemia mortale, mentre gli interni, scuri e claustrofobici, contornati  da scenografie – di Dante Ferretti – che stanno a metà strada tra il barocco e l’espressionismo, il surrealismo e la metafisica dechirichiana, si animano attraverso figure spettrali (il moralista interpretato, alla grande, da Ciccio Ingrassia), guru politico-religiosi che, ipocritamente, incitano al pentimento (il Don Gaetano di Mastroianni, certo il personaggio più riuscito) o personaggi chiaramente legate ad una iconografia da clan mafioso.
Soprattutto, il film esibiva, come icona apertamente riconoscibile, Aldo Moro, allora capo del governo, interpretato da un Gian Maria Volontè che ne esasperava i tic e il modo curiale di comunicare attraverso ardite metafore o persino ossimori. Fu lo stesso Petri a dichiarare che se i personaggi del film erano “atemporali”, legati a qualsiasi potere occidentale sostenuto dalla religione, per il presidente M., aveva però passato, assieme a Gian Maria Volontè, delle ore in moviola per studiare il linguaggio mimico e verbale dell’esponente politico democristiano.

''Todo modo'' di Elio Petri2. Ora, dopo la sua tragica uccisione, nel maggio del 1978, per mano delle Brigate rosse, l’iconografia, e persino il linguaggio di uno dei più potenti uomini politici italiani della seconda metà del Novecento, non potrebbe mai essere “riassunta” dall’interpretazione di Volontè e Petri.
Proprio i film che hanno raccontato la sua prigionia e la sua morte, hanno finito per creare una mitologia positiva – il politico umanissimo, l’uomo di fede, il colto e rispettoso avversario dei suoi carnefici – che persino Gian Maria Volontè, interprete del medesimo ma diversissimo personaggio nel film di Ferrara del 1986 (Il caso Moro), ha rispettato in pieno. E, successivamente, non solo il Roberto Herlitzka di Buongiorno notte di Bellocchio (2002), ma anche il Fabrizio Gifuni di Romanzo di una strage, hanno portato molta acqua ad un mulino che ha reso quasi “immacolata” la sua figura, commemorandone nel contempo il suo martirio.

Ma fino al 1978, Moro aveva addosso una aneddotica politica ben diversa: il trasformista, il finto idealista, il “disposto a tutto”, come un gesuita, per salvare il dominio del suo partito. La sua abilità di scaltro ma intransigente mediatore si sarebbe estrinsecata non solo nelle trattative con Berlinguer per delle forme di collaborazione politica all’insegna del compromesso storico, ma anche, qualche anno dopo, nel 1977, nella difesa strenua del primato democristiano durante il processo parlamentare agli indagati (tra cui un ministro del suo governo, Luigi Gui) dell’affare Lockheed.

''Todo modo'' di Elio PetriIn quell’occasione, Moro, che pure fu tra più attenti e intelligenti osservatori dei movimenti contestativi degli anni Sessanta, usò la celebre espressione: “non ci processerete nelle piazze”. Si riferiva non solo alle “piazze calde” della deriva politica giovanile che, nelle grandi città, aveva già dei caratteri in comune con l’eversione brigatista, ma probabilmente anche alla celebre invettiva di Pier Paolo Pasolini che, nel 1974, su “Il Corriere della sera”, accusando la Dc – o il potere governativo “tout court” – di aver organizzato le stragi di stato, da Piazza Fontana in poi, ipotizzava un grande processo popolare al maggior partito di governo. Non a caso, qualche giorno dopo l’uscita del film nelle sale, Leonardo Sciascia scrisse che Petri aveva realizzato un film pasoliniano, allegorizzando tragicamente quel processo evocato in maniera quasi violenta appena due anni prima. E, appunto, nel 1975, era apparso nelle sale il film postumo dello scrittore e regista friulano, Salò o le 120 giornate di Sodoma, in cui si raccontava la degradazione finale di un potere mostruoso che, certo, poteva essere anch’esso allegorizzato come una premessa all’apocalisse di Todo modo.

E ancora, sempre nel 1976, un altro celebre romanzo di Sciascia, Il contesto – anch’esso un giallo labirintico che evoca Kafka, ma la cui ambientazione è interamente legata al degrado politico e sociale italiano – era stato portato sullo schermo da Francesco Rosi.
Cadaveri eccellenti, uno delle migliori opere del regista napoletano, s’impose però come allegoria opposta: un’avanzata dell’opposizione che viene ostacolata da una serie di misteriosi delitti e che si conclude con la rinuncia ad una possibile rivoluzione, non necessariamente violenta, da parte della stessa opposizione. Siamo già, insomma, al compromesso storico, e al tragico fallimento di quella proposta politica che s’incarnerà, durante la primavera del 1978, nel sequestro e nell’uccisione di Aldo Moro.

''Todo modo'' di Elio Petri3. Salò di Pasolini, nonostante sequestri e censure, e Cadaveri eccellenti rimasero negli schermi e successivamente negli archivi – e il film di Rosi anche nei palinsesti televisivi di prima serata. Todo modo ebbe invece una programmazione di appena due settimane. Ad una prima reazione dei vertici democristiani  che accusarono il regista di essere come Goebbels, il ministro della propaganda nazista, seguirono altri anatemi da parte della Chiesa cattolica, e soprattutto un imbarazzato silenzio dei maggiori esponenti del Partito comunista, che contrastava con il gradimento di “pancia” di molti militanti e con il giudizio positivo dell’intellettualità di sinistra, ma non della critica cinematografica che, in larga maggioranza, lo giudicò con molta freddezza se non con ostilità.

Le polemiche e l’insuccesso commerciale persuasero la Warner Bros a sospendere la distribuzione in Italia. Infine, un sequestro giudiziario dette il colpo definitivo alla pellicola che, come era accaduto qualche anno prima, con Ultimo tango a Parigi, avrebbe dovuto essere bruciata. E, in effetti, una copia venne davvero messa al rogo, a Cinecittà.  

''Todo modo'' di Elio PetriGiusto per ricordare il Dvd con i sottotitoli in cirillico, tuttora custodito negli archivi del cinema Odissea, probabilmente solo in Russia – cioè nell’Unione sovietica comunista che concluse la sua esistenza nel 1991 – il film ebbe una buona circolazione, visto che profetizzava un evento molto sognato: la fine del potere democristiano.
In Italia, invece, Todo modo, il film fu letteralmente cancellato proprio dai fatti della primavera del 1978. Sciascia e Petri, intervistati sulla loro profezia apocalittica, ritennero di non dovere – e giustamente – chiedere scusa a nessuno, ma la loro voce fu sommersa da un imbarazzato silenzio, certamente giustificato, su quel film “scomodo” e sgradevolmente accusatorio.
Ma, evidentemente, la rimozione psicologica non funzionò. Alla fine del 1978, lo scrittore siciliano dedicò infatti uno dei suoi più riusciti saggi, quasi romanzeschi (L’affaire Moro) alle lettere scritte dal presidente democristiano durante la prigionia: un frammento decisivo della storia italiana tuttora “nascosto” sotto cumuli di verità fittizie e di comodo.

Il Moro criptico, allegorico, ambiguo che Sciascia rintraccia in quelle missive è lo stesso che, fino ad un mese prima, occupava la poltrona di presidente della Democrazia cristiana, contiguo dunque – si potrebbe aggiungere allo scritto originale – con il personaggio caricaturale di Todo Modo: l’uomo di potere, improvvisamente, diventa semplicemente un uomo che sta per morire – come si vede nella sequenza finale della pellicola di Petri – e che cerca di dare un significato alla propria vita. Sciascia prova pietà e rispetto per quell’uomo ma non per i suoi compagni di partito che continuano a sostenere che Moro è stato costretto a scrivere quelle lettere imbarazzanti.

''Todo modo'' di Elio PetriInsomma, la profezia del romanzo e del film risale a galla. Proseguirà la sua vita, che sembra voler imitare l’arte, con la celebre diretta televisiva dei funerali fittizi di Aldo Moro. Dopo il ritrovamento del suo cadavere, il mondo politico imporrà infatti una cerimonia funebre solenne, celebrata dal cardinal Poletti e da Paolo VI in San Giovanni in Laterano. La bara di Moro però non ci sarà: i familiari lo hanno già sepolto e hanno espressamente impedito che al rito partecipasse qualsiasi esponente delle istituzioni. Dunque anche il funerale senza bara, con l’intero “parterre” occupato dal mondo politico istituzionale, potrebbe essere interpretata come una sequenza tagliata – per eccesso di verosimiglianza – di Todo Modo. E un’altra sequenza finale, in cui Paolo VI, già gravemente malato, alza gli occhi al cielo e rimprovera Dio per non aver ascoltato la preghiera (cioè l’appello per la salvezza dell’amico Aldo Moro) del suo vicario in terra, sembra innestare il grottesco romanzesco e cinematografico di Petri e Sciascia in una paradossale evocazione buñueliana.

''Todo modo'' di Elio PetriCome per altri titoli di grande impatto mediatico, oltre che politico e sociale, “resuscitati” dopo tanto tempo (ad esempio Arancia meccanica), sarà certamente interessante analizzare le reazioni del pubblico odierno ed anche quella dei sopravvissuti a quella stagione, fortunatamente irripetibile, della storia italiana. Per i sopravvissuti sarà magari imbarazzante, come già si è scritto, confrontare l’attuale mitologia di Moro con la figura tratteggiata da Gian Maria Volontè, ma il pubblico giovanile lo vedrà probabilmente come un film di fantapolitica – e quasi di fantascienza, proprio per quella scenografia claustrofobica e sovra carica di degradati simboli estetici e religiosi di un mondo ormai estinto – che potrebbe evocare non già la fine prematura della Prima repubblica, ma piuttosto l’odierna apocalisse politica immaginata e talvolta espressa con toni violenti da alcuni movimenti politici contemporanei, non secondari sul piano del consenso.

''Todo modo'' di Elio PetriLa profezia di Sciascia e Petri – e a lato, di Rosi e di Pasolini – ultimo e ancora solido legame del cinema italiano con la realtà, ha continuato la sua corsa non solo con l’estensione grottesca della finzione nella realtà del sequestro, dell’uccisione e delle esequie di Moro, ma si è definitivamente inverata nel 1991 e poi nel 1994, con la scomparsa del Partito comunista (evocato da Cadaveri eccellenti) e poi della Democrazia cristiana. Dunque ha anticipato una deriva politica e sociale che, a partire dal 1992, con la stagione di Mani Pulite, non ha mai cessato di produrre effetti a cascata. Anche senza l’esibizione del sangue e dei delitti, il “Todo modo” odierno è diventato non un esercizio spirituale teso a giustificare il potere, ma il potere “tout court”, senza più alcuna morale, vera o falsa che fosse.


15 aprile 2015