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Percorso

Mettere in scena la guerra. Il lavoro storico-critico di Giuseppe Chigi

La produzione di verità del cinema tra figurazioni dell’immaginario e mimetismo del vero. di Maria Pia Brancadori

Cinema e guerraNel volger dei primi decenni del ‘900 il cinema è venuto a sostituirsi alla pittura nella rappresentazione delle immagin/azioni condivise e della realtà: le macchine da presa e la fotografia in movimento davano una maggiore impressione di realtà nel raccontare la guerra, i suoi miti, i suoi riti e i suoi drammatici momenti.

Nonostante che inizialmente il cinema fosse considerato strumento di bassa levatura e gioco da baraccone, la guerra sdogana il nuovo strumento di visione e narrazione facendone occasione di nuove prospettive.
Tra il 1915 e il 1918, solo negli USA furono prodotte 2.500 pellicole di guerra: cinegiornali e film. Il cinema documentario che voleva mostrare la guerra nella sua verità, la racconta a modo suo: con una altissima impressione di realtà e non poca materia immaginale e narrativa.

Giuseppe Ghigi, 'Le ceneri del passato. Il cinema racconta la Grande guerra''The Battle of the Somme del 1916, documentario lungo girato dagli operatori Geoffrey Malins per la Gaumont e di John Benjamin Mc Dowel della British and Colonial Film, il più visto documentario sulla prima guerra mondiale, è stato uno dei film al centro della interessante conversazione tenuta da Giuseppe Ghigi, lunedì 20 aprile nella sala della Cineteca Sarda, per la rassegna tematica Libri e Cinema. La visione integrale e restaurata del film, seguita all’incontro, è stata particolarmente vivida ed interessante proprio alla luce di quanto messo a fuoco dal relatore con alcuni importanti elementi di analisi della visione. L’ampio lavoro di ricerca realizzato da Giuseppe Ghigi, come studio storico-critico in occasione dei 100 anni dell’inizio della Prima Guerra, è raccolto nel volume Le ceneri del passato. Il cinema racconta la Grande guerra (Rubettino 2014) puntuale e documentata analisi di come il cinema abbia raccontato la grande guerra, per la collana “Cinema. Lo schermo e la storia” delle edizioni Rubettino, già dettagliatamente recensito per questo stesso Magazine da Gianni Olla.

'Al'ovest nulla di nuovo''La ricerca di Ghigi, che ha attraversato 1300 titoli, porta in evidenzia alcune “figure narrative” o “strutture visuali” che si ritrovano nei vari film, sia documentari che di finzione, delineandone una sorta di canone  strutturale narrativo. L’euforia della mobilitazione: Cinegiornali,  Newsreels, Cine Actualitès, Krieg-journal  documentano l’euforia delle masse esultanti e degli individui gioiosi di partecipare a un evento che si crede si risolverà in pochi mesi , foriero di gloria e di successo. Il cliché è raccolto pienamente dal cinema di finzione nella sua strutturazione narrativa, a partire dai primi cinedrammi patriottici ai grandi colossal narrativi come, ad esempio di uno per tutti, All’ovest niente di nuovo di Milenstone: il film si apre in Germania nei primissimi mesi dell’offensiva… il tono è di entusiamo… le immagini mostrano il mescolarsi delle sfilate dei militari con la folla che li acclama gioiosa… Il reclutamento e la partenza per il fronte con l’entusiasmo dei giovani e l’incitamento dei maestri, l’adesione gioiosa delle masse e il sermone nazionalistico “voi siete la vita della patria… gli allegri eroi che respingeranno il nemico… questo è un inizio glorioso per la vostra vita… il campo dell’onore vi chiama. Arruolatevi. Non più scuola…” come dice il prof. Kantorek alla sua classe di studenti.

Giuseppe Ghigi, 'Le ceneri del passato. Il cinema racconta la Grande guerra''Il campo di battaglia e il suo punto cieco: l’arruolamento, la separazione e l’addestramento sono il punto di passaggio narrativo dalla vita pacifica all’inferno dei combattimenti. Quasi sempre le reclute, dopo le formalità burocratiche e la visita medica, entrano in un viaggio tremendo, generalmente accompagnati da ufficiali o sott’ufficiali per lo più perfidi e sadici che trasformano le individualità dei singoli in macchina da guerra. Il cinema può attingere in parte a documenti visivi che mostrano le file dei volontari ai tavoli di arruolamento (soprattutto nei cinegiornali inglesi e Usa) ma più raramente a riprese d’addestramento delle truppe: in questo caso si ricostruisce e si lavora di riprese pseudo vere, verosimili, sulla base dell’immaginazione e di quella possiamo chiamare la Enciclopedia (cinematografica e pittorica) Visuale dei Cineoperatori: che sono impegnati nelle difficilissime riprese dal vero ed insieme nella produzione di immagini ed inserti che fingono il vero. La difficoltà di filmare sui campi di battaglia è data soprattutto dalla pesantezza delle macchine di ripresa oltre che dalle difficoltà logistiche degli spazi, delle attrezzature e dei posizionamenti; per cui capita spesso che i cineoperatori di attualità debbano completare le loro sequenze con immagini costruite o ricostruite da inserire nei cinedocumentari.

''J'accuse''La raggelante presa di coscienza: la retorica ottocentesca della guerra sfuma ben presto nella terribile esperienza delle trincee e del campo di battaglia insanguinato come mai prima: presto si marcisce al fronte. La cinepresa nelle anguste e dolorose trincee si focalizza sui volti tesi e l’esaurimento psico-fisico dei corpi. La massa umana assume altre posture ed altre identificazioni. Il grande regista francese Abel Gance nel suo J’accuse del 1919 è tra i primi a mostrare cinematograficamente la falsità incosciente della euforia d’agosto: alle scene festose iniziali il regista sovrappone, ad un certo punto della lunga sequenza, un allegro girotondo di scheletri realizzato in animazione. L’inquadratura è divisa a metà: da un lato il disegno delle campane che suonano e dall’altro la danza macraba; l’accostamento, vagamente surrealista, fa emergere la coscienza del male ed il giudizio di condanna della guerra che diventerà iperbolico nel finale del film con il corteo dei morti viventi. (idem, p24)

Giuseppe Ghigi, 'The Buttle of the Some''The Buttle of the Some, il più visto documentario con chiara scansione interna di lungometraggio, mostra la vita in guerra: nei primi 8-9 giorni della campagna di guerra, nelle retrovie e in campo di battaglia, nella grande pianura de la Somme nel nord della Francia. – Nota storica: La battaglia de la Somme fu l’offensiva intrapresa dagli anglo-francesi nella Piccardia, zona della Francia attraversata dal fiume Somme, per alleggerire il fronte francese dall’azione tedesca su Verdun.  L’attacco alleato si sviluppò su un fronte di 40 km, dando luogo -  invece che ad una rapida offensiva vittoriosa, come si credeva dato l’impiego di armi e uomini - a una lunga e cruenta battaglia di logoramento durata fino al 26 novembre; le perdite complessive risultarono imponenti superando il milione di uomini. L’attacco inglese sulla Somme contro i tedeschi finì in una catastrofe: solo durante il primo giorno oltre 60mila soldati inglesi finirono massacrati (morti: 410.000 Inglesi, 341.000 Francesi, circa 500.000 Tedeschi).

Giuseppe Ghigi, 'Le ceneri del passato. Il cinema racconta la Grande guerra''Il film è stato realizzato, su commissione, dai due operatori Geoffrey Malins e John Benjamin Mc Dowel con l’intenzione di celebrare una grande attesa vittoria, che invece non c’è stata. Sul finale vediamo sparuti gruppi di uomini che tornano indietro, qualche volta portando con sé altrettanto mal ridotti prigionieri tedeschi. Quanto è vero o quanto è falso quel che vediamo? O cosa è vero e cosa è finzione, ben utilizzata come inserto per dare impressione di verosimiglianza? E che a forza di essere vista e rivista diventa icona e icona di evento storico. Particolarmente in una scena centrale del film, in cui si vede una pattuglia uscire dalla trincea all’attacco, con p.d.v. di ripresa del gruppo di spalle e dall’alto ed uno dei soldati colpito che non si muove più: l’analisi visiva mostra che non può essere stata realizzata in presa diretta, quanto piuttosto girata in ricostruzione.   

Giuseppe Ghigi, 'Le ceneri del passato. Il cinema racconta la Grande guerra''“Lo scrittore H. Rider Haggard scrisse nel suo diario che l’immagine più suggestiva di The Battle of the Some « è quella di un reggimento che si arrampica al di fuori di una trincea per attaccare, e uno degli uomini scivola all’indietro colpito a morte. Vi è qualcosa di spaventoso nel repentino passaggio dalla violenza dell’azione all’inerzia della morte. La guerra è sempre stata terribile, ma mai credo più terribile di adesso». Quella sequenza divenne per gli inglesi del fronte interno l’immagine più autenticamente tragica del conflitto in corso; eppure era falsa. Le prove sono molte” (idem, pp100-101) Quella sequenza è divenuta l’immagine più autenticamente tragica del conflitto: eppure era falsa. A distanza di molti anni quella breve sequenza è ormai riconosciuta come falsa,  ma ciononostante è così prepotentemente entrata  come  “classica” nell’immaginario della prima guerra mondiale da sottolinearci che nella rappresentazione filmico- visiva è l’impressione di verità quello che conta. Paradossalmente, sottolinea Ghigi, è il cinema di finzione più che i documentari di propaganda ad uso del fronte interno, a delineare le immagini di quel conflitto e a costituirne molta memoria visiva, oltre i punti ciechi di verità e le ricostruite visioni.

''Umanità'' di Elvira GiallanellaAre you forgotten yet? Reticenze e difficoltà. Vorrei chiudere queste brevi note su come il cinema ha raccontato la Grande Guerra, citando qualche altro punto cieco: una giovane regista Elvira Giallanella nel 1919 ha realizza il suo film Umanità: era appena finita quella carneficina, lei fa un film pacifista, in poesia, tratto da un poemetto di Vittorio Emanuele Bravetta (già pacifista poi tra i più convinti interventisti) in cui un bambino decide che rifarà il mondo dopo la guerra. Ma ci prova e ci riprova e non ce la fa: alcune rapidissime immagini di macerie, girate sul Carso, ed una icastica immagine di stivali neri in fila senza corpi a dare il senso della morte, raccordano una storia favolistica di incubi infantili. Alla fine una sorta di Gesù seguito da molti bambini e la didascalia che recita: “sacrificarsi per un ideale di umanità, non uccidere i propri fratelli”.

Il film non ha mai avuto il visto di censura, quindi a suo tempo non è stato visto. Ritrovato nel 2008 presso la Cineteca Nazionale di Roma da un gruppo di ricerca guidato dalla prof. Monica Dall’Asta dell’Università di Bologna e studiato approfonditamente dalla storica del cinema Micaela Veronesi, abbiamo avuto modo di mostrarlo qualche anno fa nella sala Cineteca Sarda in occasione di Non solo dive: Pioniere nel cinema italiano ed in due scuole in un progetto Cinema e Storia. Magari, per il centenario della fine della grande guerra non sarebbe male riverderlo in piena luce.

29 aprile 2015


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