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Memorie d’oltrecinema.‘’Incendies/La donna che canta’’ di Dennis Villenueve

Gianni Olla ci apre la sua cineteca per riscoprire un grande film che riemerge dal passato

''Incendi'' opera teatralel 14 maggio, Sardegna Teatro porterà in scena, al Massimo di Cagliari, e con la regia di Guido De Monticelli, Incendi di Wajdi Mouawad, drammaturgo e scrittore di origini libanesi, da tempo cittadino canadese. È un testo ormai famoso, scritto nel 2003 e messo in scena a Milano nel 2012 da Renzo Martinelli.

Due anni prima, il regista Denis Villenueve, anch’esso canadese, aveva trasformato il copione teatrale in una sceneggiatura (scritta assieme a Valérie Beaugrand-Champagne ma sorvegliata dall’autore teatrale) che sarà poi portata sullo schermo con il medesimo titolo, poi trasformato, nella versione italiana in La donna che canta.

Il film fu collocato inopinatamente in una sezione parallela (Le giornate degli autori) della Mostra del cinema di Venezia, dove ebbe una menzione speciale che persuase la Lucky Red a distribuirlo nelle sale italiane. Da sottolineare il fatto che il Leone d’oro, attribuito da una giura presieduta dall’ineffabile Quentin Tarantino, fu attribuito a Somewhere di Sofia Coppola, un’opera facilmente dimenticabile. In ogni caso, il passaparola aiutò la diffusione italiana, soprattutto dopo che il film fu selezionato, nel 2011, nella cinquina dei film stranieri candidati all’oscar. Purtroppo, in quell’edizione, vinse un film certamente di valore, In un mondo migliore della canadese Susanna Blier, ma non memorabile. Questa introduzione serve a incuriosire il lettore che potrà approfittare della messa in scena teatrale per un confronto con un film che, secondo l’opinione di chi scrive, resta tra i migliori titoli del nuovo secolo: un’opera che, finora sommersa, facilmente resterà nelle antologie.

''Incendi'', filmIl tema di Incendies/La donna che canta (unifichiamo per ora le diverse realizzazioni) è, in apparenza, la guerra. Ma già il titolo del Festival di filosofia organizzato, anche questo, da Sardegna Teatro, ci indica una estensione estrema del tema: “L’infinito fratricidio, Capire il male: storia, memoria, catarsi”. La guerra presente nel testo teatrale è ambientata in un generico Medio Oriente contemporaneo, segnato da un tale quantità di conflitti devastanti e fratricidi da lasciare tracce profonde nelle memorie individuali e collettive di quei popoli. Nel film, il luogo del conflitto è altresì riconoscibile come il paese d’origine di Mouawad, il Libano: da lì arrivano in Canada, come rifugiati, sia la protagonista, Nawal Marwan, sia il suo carnefice, estranei l’una verso l’altro. Altre tracce “documentarie” si possono leggere attraverso i nomi generici dei “rifugiati” (i palestinesi, in numero di 300.000, scacciati dalla Giordania nel 1970) e dei nazionalisti, che hanno come simbolo la croce e l’immagine della Madonna: dunque i cristiani maroniti, chiesa d’oriente devota al cattolicesimo, ma autonoma, e soprattutto vero partito politico filo occidentale che, per molto tempo, ha espresso le maggiori cariche di governo del piccolo paese affacciato sul mare Egeo. E ancora, gli “invasori” sono i siriani (prima) e quindi gli israeliani, anch’essi pronti a contendersi con le armi il controllo di un paese turbolento e esplosivo.

''Incendi'' opera teatraleSi tratta, insomma, della lunga guerra civile libanese che durò più o meno vent’anni, gli stessi in cui la protagonista principale, Nawal Marwan – non sempre presente nella narrazione – è protagonista attiva di quegli avvenimenti devastanti. Per chiudere con questa prima differenza tra copione teatrale e film, va sottolineata la tendenza naturale, o ontologica, del racconto cinematografico ad essere geograficamente e storicamente riconoscibile, a patto naturalmente che lo spettatore sia in grado di farlo o abbia voglia di informarsi sul “profilmico”. D’altro canto, la guerra civile libanese fu anche il primo evento della tragica storia mediorientale novecentesca ad avere caratteristiche etniche e religiose che si ritroveranno solo a partire dal 2000 in altri paesi a dominanza musulmana. E infine, anche il grado di efferatezza delle imprese delle varie milizie fu il prologo ai massacri contemporanei estesi in tutto il Medio Oriente. Non a caso il fatto più tristemente celebre di quella guerra fu la strage di Sabra e Shatila, due quartieri (o meglio campi per i profughi palestinesi) che, nel 1982, furono devastati dai cristiani maroniti, sotto lo sguardo complice dell’esercito israeliano, che pure aveva avuto il mandato Onu di proteggere i palestinesi dalle rappresaglie. I morti furono 3500, e tra loro si contarono anche i bambini e le loro madri. Ariel Sharon, comandante dell’esercito israeliano, fu messo sotto accusa dallo stesso governo di Israele.

''Incendi'', filmCopione teatrale e film si aprono con la lettura di un testamento: Nawal, morta all’età di circa sessant’anni, dopo una trauma che si rivelerà fondamentale per capire il meccanismo narrativo e drammaturgico del film (ed anche del copione teatrale), raccomanda ai figli di cercare il loro padre – mai conosciuto e neanche presente nei rari racconti della madre, ermeticamente chiusa in un silenzio che custodiva un passato nascosto e indicibile – ed un loro fratello di cui non avevano neanche sospettato l’esistenza. Nella pellicola, la sequenza che mette in moto il complesso meccanismo narrativo è però preceduta da una serie di brevissime inquadrature. La prima si apre su un paesaggio collinare e, attraverso un lento movimento di macchina, si conclude sul volto di un adolescente – dallo sguardo aggressivo, quasi rivolto al pubblico – a cui vengono tagliati radicalmente i capelli.

L’inquadratura finale serve ad identificare il personaggio attraverso dei segni corporei (tre puntini tatuati nel piede), ed è paradossalmente prolettico e analettico, visto che anticipa i fatti che verranno spiegati solo verso la fine e, a sua volta, ingloba la scena madre della nascita e dell’abbandono dello stesso individuo.
La citazione sofoclea, apparentemente ammorbidita, si specchia, immediatamente dopo, nel testamento della protagonista. Le parole con le quali si apre la lettera con le volontà testamentarie, chiedono agli eredi, i figli gemelli, Jeanne e Simon, di seppellire la loro madre nuda, senza bara, semplicemente buttata a faccia in giù dentro una fossa e senza alcuna indicazione nominale.

'Edipo Re''E qui siamo appunto all’epilogo di Edipo a Colono, visto che questo desiderio di cancellarsi è già in sintonia con “il non essere nati è la cosa migliore” che chiude il dittico di Sofocle. In due sole sequenze, per nulla elaborate sul piano formale, si potrebbe leggere, retrospettivamente, una buona parte del senso filosofico del film, che riguarda una rilettura occidentale della tragedia greca, in cui guerre e stragi hanno per protagonisti degli esseri umani che sono contemporaneamente vittime e carnefici, come appunto accade in Incendi/La donna che canta. Nel copione originale, tale riferimento sembra legato, anche grazie alle continue interferenze direttamente poetiche, al cinema di Pasolini che, sia nell’Edipo Re (1967) che in Medea (1969), aveva collocato le vicende incestuose e delittuose in paesaggi ancora non colonizzati dall’occidente, come fossero miti fondanti preistorici, alla Levi Strauss, poi razionalizzati dalle affabulazioni della civiltà ellenica. Nel film, la presenza del bambino “segnato” in modo da poter, prima o poi, essere riconosciuto dalla madre, è appunto il ponte che unisce la tragedia antica al melodramma ottocentesco.

Solo che, in questo caso, l’agnizione, dapprima evocata proletticamente attraverso le brevi e ripetute inquadrature di una piscina, è poi espressa in una sequenza melodrammaticamente sostitutiva rispetto alla successiva “scena madre” – devastante – che provocherà la morte di Nawal. È infatti, l’anziana infermiera che aveva salvato le vite di Jeanne e Simon, destinate entrambi all’affogamento, a riconoscerli e a commuoversi per quel ritrovamento. La sequenza è un’esplosione di autentico pathos – l’unica nel contesto di un film sempre teso verso altre esplosioni, quasi sempre segnate dalle tragedie – ma, nondimeno, l’effetto è egualmente devastante per le vite dei due gemelli.

''Incendi'', filmDi nuovo Sofocle è all’origine del doppio percorso di ricerca che caratterizza, dopo la lettura del testamento, la successiva narrazione filmica ed anche le scene teatrali. Da un lato la madre che cerca il suo bambino – avuto da un ragazzo palestinese, poi ucciso dai fratelli – nel caos della guerra civile, finendo essa stessa per essere parte in causa; dall’altro la figlia, novella Antigone, che, anche contro il parere del sanguigno fratello (molto più caratterizzato, nel copione teatrale, come violentemente avverso a quella madre misteriosa), parte per il Libano in cerca delle tracce che possono condurla a svelare i misteri della vita materna. L’incipit di questo percorso è commentato da due straordinari brani musicali dei Radiohead, che sottolineano il contrasto tra il silenzio della ragazza e il bisogno, represso, di urlare la propria rabbia e il proprio sconcerto per le continue rivelazioni.

''Incendi'', filmNel copione teatrale, la pluralità spaziale e temporale è spesso presente in un’unica scena, come ad indicare un eterno sovrapporsi dei destini tragici dei personaggi; nel film, diviso in piccoli capitoli che citano testualmente o i personaggi o i luoghi della tragedia, è la sovrapposizione virtuale tra la giovane Nawal Marwan e la figlia Jeanne, interpretate dalla stessa attrice (Mélissa Désormeaux-Poulin), ad indicare l’eterno ritorno alla tragedia: la prima reale, la seconda memoriale. La memoria e il sapere, dunque, dovrebbero essere il controveleno – comunque doloroso, sofferto – delle tragedie che vengono mostrate senza alcuna censura e senza alcuna spettacolarizzazione, nella loro brutalità naturalistica e quasi documentaria. Dapprima nella scena dell’uccisione, secca, del fidanzato di Nawal, poi in quella centrale – che fa da cesura nei confronti della decisione di Nawal di schierarsi contro la sua appartenenza religiosa e etnica – dell’autobus, pieno di donne e bambini, bruciato dai miliziani maroniti; e quindi nell’attentato al primo ministro; e ancora, nel lungo capitolo della prigione in cui viene torturata e stuprata la protagonista; e infine, nei bersagli umani a cui si dedica l’ormai celebre Abou Tarek, o Nihad, con il fucile di precisione: una sequenza che anticipa la terribile freddezza di American sniper di Eastwood.

''American sniper''Ma il sapere – Nawal studia all’Università e diventa redattrice di un giornale pacifista – sembra quasi superfluo in quella situazione, e la memoria procede per scavi continui attraverso macerie materiali e rimozioni sociali, politiche e storiche. In questo senso, il film, per il suo naturale realismo, sembra ancora più pessimistico del testo teatrale – nonostante le due lettere d’amore finali – soprattutto quando Simon, che ha raggiunto Jeanne in Libano, deve inoltrarsi nei meandri (letterali) di un ex campo profughi ormai diventato un vero e proprio villaggio palestinese separato dal mondo: il provvisorio è diventato eterno ed ha tentato di cancellare anche la memoria degli eventi. Così, anche dopo l’avvenuta catarsi finale, con la consegna delle lettere al padre e al fratello, e poi con il disseppellimento del corpo nudo e con la nuova tomba in cui può essere inciso il nome della madre, i conti non tornano comunque. Jeanne, matematica di talento, che ha lasciato provvisoriamente l’insegnamento universitario, può pensare, sollecitata dal fratello, che anche nella realtà, così come nella matematica pura, possono non esistere soluzioni.

Chiudo con un ultimo accenno al regista canadese, Denis Villenueve, che nel 2013 ha girato negli Usa un altro grande film, Prisoners, questa volta di derivazione seriale, quasi debitore del mondo oscuro di Stephen King. Ma il sottotesto, in cui emergono le terribili parole (“mio marito rapiva i bambini perché era in guerra contro Dio”) di una creatura demoniaca, ma terribilmente normale, quotidiana, indica che nel mondo domina da sempre il Male, e non il male divino, ma quello umano. Forse questo è il vero tema di Incendi/La donna che canta.