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Percorso

Fabrizio Ferracane, genesi di una passione

L'attore siciliano è protagonista di “Anime Nere” di Francesco Munzi, che si appresta a sbancare il David di Donatello. L'intervista di Anna Brotzu

''Anime nere''Tra i protagonisti di “Anime Nere”, film intenso e bellissimo di Francesco Munzi, quasi una moderna tragedia greca nella Calabria della 'ndrangheta, Fabrizio Ferracane sbarca nell'Isola – sotto le insegne del CeDAC, con “Novantadue/ Falcone e Borsellino 20 anni dopo” di Claudio Fava.

Una coraggiosa produzione di BAM Teatro – per la regia di Marcello Cotugno -  in cui Ferracane interpreta, accanto a Filippo Dini e Giovanni Moschella (nel ruolo dei due magistrati simbolo della lotta antimafia) le figure di giudici e “uomini d'onore” implicati in un lungo flashback dalla vigilia del maxiprocesso alle stragi di capaci e via D'Amelio. L'attore siciliano presta volto e voce – sulla scena – a Antonino Meli, nominato consigliere istruttore di Palermo (invece di Giovanni Falcone), quale successore di Caponnetto, come all'anonimo magistrato che spiega a Paolo Borsellino la logica di una trattativa stato-mafia e, tra stralci di processi, interrogatori e testimonianze, a pentiti come Giovanni Brusca, o il killer Vincenzo Calcara.

''Anime nere''Figure inquietanti, o ambigue, personaggi sfuggenti che l'artista delinea con pochi efficaci tratti, restituendo a ciascuno una sua umanità, a dispetto della ferocia, dell'ottusità burocratica, dell'inadeguatezza e della paura. (Lo spettacolo sarà mandato in onda da RAI 5 sabato 23 maggio, nell'anniversario della strage di Capaci).
In “Anime Nere” di Francesco Munzi (16 nomination al David di Donatello 2015; già in concorso alla 71a Mostra del Cinema di Venezia, pluripremiato anche al BIF&ST Bari Film Festival) Fabrizio Ferracane interpreta Luciano, un uomo solo e a suo modo controcorrente che cerca di spezzare i legami con la criminalità organizzata in cui prosperano i due fratelli, e al cui retaggio si ispira il figlio. Quest'ultimo compie un gesto intimidatorio, un atto temerario che rimette in moto i meccanismi e i riti di una civiltà profondamente legata alla 'ndrangheta; esplode la guerra tra clan, in tutta la sua violenza, secondo l'atavico sistema della vendetta, che si lascia dietro l'immancabile scia di sangue.

''Anime nere''Il film di Munzi, ispirato all'omonimo romanzo di Gioacchino Criaco – nel cast Peppino Mazzotta, Marco Leonardi e Barbora Bobulova -   restituisce uno spaccato della vita quotidiana nei paesi dell'Aspromonte, in stretto rapporto con la natura e con un'antica tradizione agropastorale, ma sotto il peso di una cultura mafiosa. Attore di solida, seppure eclettica formazione teatrale Fabrizio Ferracane porta sullo schermo, come sulla scena – oltre all'indubbio talento – una straordinaria capacità d'immedesimazione nel  personaggio, di cui coglie le sottili sfumature, gli stati d'animo, i pensieri, attraverso uno studio e una ricerca per mettere a nudo, attraverso l'arte, la verità.

Com'è nato in lei l'interesse per la recitazione? Quando ha esordito come attore?
La prima volta avevo credo undici o dodici anni: un amico al paese doveva fare “Miseria e Nobiltà” di Scarpetta, si cercava un ragazzino per fare Peppiniello, e molto volentieri accettai. Non dico che a quell'età uno può capire se vuole o non vuole fare l'attore, però, quando avevo diciott'anni feci il provino per la scuola di teatro Teatès con Michele Perriera, e ricordo che gli dissi di quell'esperienza: avevo ancora come un'immagine del pubblico, mi era rimasta impressa. Poi feci la scuola di teatro, feci dei provini con Michele; ma la consapevolezza l'ho avuta più tardi, dopo la scuola, forse con la prima cosa che feci a Santarcangelo di Romagna, il “Filottete” di Heiner Müller con  la regia di Eugenio Sideri (quattro ragazzi rinchiusi in un campo di concentramento che giocavano a mettere in scena il dramma) – lì mi ricordo che dissi «beh, però è bello, fare questo mestiere!»

Fabrizio FerracaneQuali incontri – e maestri – son stati importanti nel suo percorso artistico?
La mia formazione è stata varia: oltre a Michele Perriera e i due anni della scuola con lui, ho partecipato a una serie di laboratori con dei registi comunque importanti come Marco Martinelli delle Albe, Mimmo Cuticchio, Franco Scaldati, Danio Manfredini che reputo sia veramente un maestro, Riccardo Caporossi, Arturo Cirillo, Emma Dante. Avevo anche preparato i provini per l'Accademia Silvio D'Amico e per la Paolo Grassi, ma il giorno prima, non so perché, mi rifiutai, non andai mai a farli. In realtà pensavo che fosse meglio fare direttamente qualcosa sul campo, come studi e laboratori, dove si sperimenta. Come ora, per esempio, in “Novantadue” con Filippo Dini che io penso sia uno degli attori, se non l'attore  più bravo che c'è in Italia. Anche questa per me è formazione, perché io lo guardo, ogni sera, sembra una frase fatta, ma è vero, è così: quando hai la fortuna di lavorare con dei colleghi che stimi moltissimo, rimani così, li guardi, non puoi fare altrimenti.

Del resto a teatro “rubare non è reato” e ci si ispira alla vita come alla scena...
Sì, si ruba un po' ovunque, sia di là che di qua...

''W niatri''Luci e ombre del mestiere d'attore – nell'Italia del terzo millennio? Cosa c'è... oltre i circuiti?
Io non ho mai preso parte a tournée o produzioni di teatri stabili, per sfortuna o per scelta, mi sono trovato sempre a fare dei progetti dove trovare i soldi era già un'impresa, poi se riuscivi a fare quattro o cinque date, magari recuperavi i soldi che avevi investito. Così “W Niatri”, per esempio, un progetto con Michele Riondino, Daniele PilliLinda Dalisi, è stato realizzato grazie all'ospitalità del Palermo Teatro Festival e del Rialto / Sant'Ambrogio a Roma.
Al Rialto avevo debuttato con “Sutta Scupa” insieme a Giuseppe Massa, uno spettacolo abbastanza fortunato, che ha girato parecchio, nato sotto casa mia, cioè in uno scantinato, poi all'ex carcere di Palermo, con la fortissima esigenza di raccontare la precarietà di due lavoratori siciliani, sfortunati nella vita, come tanti che non hanno manco 500 euro al mese per campare. Volevamo raccontare queste due umanità, all'interno di una struttura, con una voce metallica che dava le direttive come in una catena di montaggio - e questi che si guardano, e si chiedono «ma che dobbiamo fare – ma andiamo? Non andiamo?», con un senso di attesa di ispirazione beckettiana.

Fabrizio Ferracane, ''Ferrovecchio''Da tre anni collaboro con Rino Marino (eclettico psichiatra-autore, attore, regista – ndr); con la nostra compagnia Marino-Ferracane mettiamo in scena i testi di Rino, che trovo altamente poetici - come “Orapronobis”, e “Ferrovecchio” con cui abbiamo vinto nel 2010 al Dante Cappelletti a Roma (menzione speciale - giuria popolare); e adesso stiamo girando con “La malafesta”. Abbiamo un nostro spazio, giù in Sicilia. Però, ripeto, non entro, e non entriamo, in quei circuiti di favori e favoritismi, di scambi, non mi interessa questo sistema di cose. Per fortuna ultimamente sto anche facendo un po' di cinema e di televisione, quindi quasi quasi... gli spettacoli me li produco io.

''Sutta scupa''Dalla scena al set: come è approdato al cinema?
(Quasi) per caso: facevo “Sutta Scupa” a Roma e mi venne a vedere Cladio Gioè, che stava facendo dei provini per “Il capo dei capi” e da lì entrai nel cast; poi ho fatto alcune cose con Mediaset; e  due anni fa questa grandissima occasione che mi ha dato Francesco Munzi con “Anime Nere”; poi il film di Mimmo Calopresti...

“Anime Nere” - dal libro al film: come siete riusciti a ricreare la realtà dell'Aspromonte?
Lì è stato molto intelligente Francesco Munzi: s'innamorò del romanzo e si mise in contatto con l'autore, Gioacchino Criaco (che, tra l'altro, è di Africo) – e da lì ha iniziato questo rapporto con la Calabria, durato quasi un anno e mezzo: ogni tot andava giù ad Africo, stava lì, viveva lì. Munzi è stato bravo a coinvolgere i paesi, Bianco e Africo, all'interno del progetto; il successo del film rappresenta la vittoria di  una regione intera, una regione bellissima ma a mio avviso completamente dimenticata dallo stato italiano. Due mesi prima di iniziare le riprese Francesco mi disse «vieni qua»; quindi io sono stato a Bianco e Africo; sono stato in montagna, nel posto dove Luciano, il mio personaggio,  ha un gregge di pecore;  ho conosciuto le persone del posto - e ho avuto anche un coach che stava sempre con me per il calabrese, perché io sì, sono siciliano, ma anche se le due lingue si somigliano molto, ci sono delle differenze. Ho vissuto semplicemente due mesi lì in quel posto... mi son fatto crescere la barba, e quindi assomigliavo a un pastore vero e proprio... (sorride ironico)

Fabrizio Ferracane, ''W niatri''Dalla tragedia greca di “Anime Nere” al noir di Mimmo Calopresti...
Il film si chiama “Uno per tutti” ed è tratto dal romanzo di Gaetano Savatteri (nel cast Isabella Ferrari, Thomas Trabacchi, Giorgio Panariello e io); è la storia di tre amici, tre ragazzini che anni dopo si ritrovano, e riaffiora così una tragedia successa quando erano piccoli; è l'occasione per  chiarirsi, o forse non chiarirsi - questo lo lascerei alla visione del pubblico. E' stato un piacere lavorare con Mimmo Calopresti: è una persona straordinaria, un vulcano, una persona stupenda.

Fabrizio FerracaneProgetti futuri?
Uno spettacolo: “Sera Biserica”, diretto da Giacomo Guarneri sullo sfruttamento delle donne rumene nelle campagne di Ragusa - che debutta il 15 maggio al festival Scenica di Vittoria - e per il resto preferirei (scaramanticamente) non dir nulla.

Nell'arte e nel teatro etica ed estetica spesso coincidono: è importante lasciare un segno?
Ovviamente sì. Abbiamo la fortuna con il nostro mestiere, di raccontare delle cose; con Rino per esempio lavoriamo molto sul disagio psichico, sulle persone che stanno un po' qua e un po' là, su delle solitudini. Ben vengano storie che vanno a fondo: può essere la mafia, può essere la pazzia, può essere la bellezza.

13 maggio 2015

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