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Cent’anni di Monicelli

Il grande regista, toscano di Roma, ricordato attraverso le sue provocazioni, i suoi film e i tanti attori di cui reinventò i personaggi. di Marcello Atzeni

Mario Monicelli e Monica VittiLa “bomba” esplose il 29 novembre 2010. Il “solito noto”, anzi, celeberrimo Mario Monicelli, decise di fare un volo da una finestra. La depressione, causata da un tumore, lo aveva rapito. La notizia colpì molto anche Cagliari, visto che il grande regista, ai primi di dicembre di quell’anno, sarebbe dovuto arrivare in città.

Il sogno di noi tutti s’infranse, quando ormai, il mito era a portata di mano. Monicelli avrebbe compiuto 100 anni il 16 maggio. Era nato a Viareggio nel 1915. Anzi, no, a Roma, ma visto che il suo legame con la città lucchesina era smisurato, fece credere ai più di esserci nato, come gesto d’affetto verso la città carnascialesca. Il 16 maggio, dunque, appena otto giorni prima che l’Italia entrasse nella Grande guerra.

''La Grande Guerra''E “La grande guerra” (1959) è uno dei suoi film più belli, più intensi. La scena dove Gassman, codardo, poi assurto ad eroe nazionale. Il “Mì, non te dis un bel nient, faccia de merd”, rivolto all’ufficiale austriaco che lo invitava a fare il delatore e a schierarsi dalla parte del nemico, simboleggia che a tutto c’è un limite. Quando sei oppresso, tiranneggiato, accusato di viltà, togli fuori le forze che pensavi di non avere. Il rigurgito d’onore dell’italico patriota. "La grande guerra" è una delle vette più alte conquistate da Monicelli.
Una mente lucida, prolifica, fin quasi all’ultimo. Nonostante l’immensa statura da cineasta, era interessato ai pareri altrui, visto che in un certo senso, poteva dirsi allievo di Augusto Genina, uno che amava più ascoltare gli altri invece di parlare: dote quasi unica, altro che rara. Sul set Monicelli s’imponeva, ma lasciava anche spazio. I consigli erano ben accetti. Era, inoltre, capace di tirare fuori il meglio anche da persone che, apparentemente non avevano le phisique du role. Tiberio Murgia, oristanese, caratterista fra i più celebri della cinematografia italiana a cavallo tra gli anni cinquanta e settanta, fu scoperto dal viareggino di Prati, mentre faceva il cameriere in un bar romano. La rivincita del sardo: da serbidori ad attore.

Mario Monicelli e Alberto SordiI suoi I soliti ignoti del 1958, segna, di fatto, la nascita della commedia all’italiana. O meglio un genere tutto suo. Etichettabile come: monicelliano. Una squadra di super eroi della celluloide: Gassman, Mastroianni, Salvatori, Totò, in un delizioso cameo, la giovane Carla Gravina, non ancora deputata, Carlo Pisacane (Cappannelle) e Ferribotte (Murgia, nella parte di tutta una vita, siciliano dall’accento catanese, doppiato da un napoletano!) E il viso favoloso di Claudine, non ancora Claudia Cardinale, sicula – tunisina, ancora poco avvezza all’idioma italiano.  In “Un borghese piccolo piccolo” (1977) affidò un ruolo drammatico a Sordi, all’attore che per tutti era un comico. Un po’ vigile, un po’ americano a Roma un po’ vedovo, ipotetico tombeur de femmes e anche vitellone. Un’ interpretazione magistrale, calibrata e spiazzante al tempo stesso: un’accoppiata vincente per usare un adagio che sa di stantio, ma tant’è.

Mario Monicelli e Vittorio GassmanMonicelli creo un nuovo linguaggio con la sua “armata Brancaleone”. Sontuoso affresco di un medio evo, condito da lestofanti, bonazze, cialtroni, imbroglioni, gente male in arnese. Situazioni surreali, ma reali al tempo stesso. L’oscuro medio evo, fatto brillare con trovate ingegnose che dipingono con colori accesi, la storia dell’Italia che sarebbe poi arrivata e che tutto sommato, quella è rimasta. Doppiogiochisti, peracottari, scansafatiche, malati veri o presunti. Tutti dentro un calderone gigantesco, con ingredienti, apparentemente, messi a casaccio. Se volete l’Italia confusionaria, stralunata, opportunista. E il dialogo-duello, con la signora dalla grande falce? La paura si coniuga con l’ilarità. Sintetizzando all’eccesso. “Branca, Branca, Branca! Leon, Leon, Leon! Fiiiiiii boom!”. Frase giocosa, mai ridondante. Una volta fatta irruzione nell’immaginario collettivo, o meglio nell’ auditorio collettivo, non ce ne siamo più liberati. “Brancaleone alle crociate” (1970) è la logica prosecuzione dell’avventurosa vita della banda, che espatria: dal suol terreno arriva a combattere i mori.

Mario Monicelli e Toto'La presunzione e l’incoscienza di chi, pur non avendo consolidato i propri domini, pensa di estenderli, o meglio di unirsi alle truppe belligeranti, in una guerra santa/non santa, scatenata, voluta, nella realtà, da un papato guerrigliero. Voler per forza essere protagonisti. “Io sò io e voi nun siete un cazzo!Sordi ne "Il marchese del Grillo” (1981), altra frase celeberrima, conosciuta più dei proclami dell’imbonitore di turno. L’arroganza, la prepotenza di chi vuol a tutti i costi, legiferare, imporre la propria forza. Tra le risate, si cela, a volte, un fondo di inquietudine. Che dire della relazione lavorativa con Totò?  Tanti film, altrettanti problemi. In Guardie e ladri del 1951, diresse assieme a Steno, Antonio De Curtis, ladro incallito per necessità e il poliziotto buzzicone, Aldo Fabrizi. Non si poteva far vedere al cinema che ladro e difensore della legge, provavano simpatia reciproca.

Mario Monicelli e Ugo TognazziE allora tagli, ritagli e frattaglie.  Nell’Italia ipocrita, falsa moralista, bigotta, divisa tra falce-martello e scudocrociato, in Totò e Carolina (1955), la mannaia robespieriana del censore cadde decine e decine di volte. Film-capolavoro, decapitato, spogliato, svilito, messo in ghiacciaia e poi fatto uscire dopo due anni. Ci sarebbe da scrivere un romanzo delinquenziale. Che verrebbe censurato. La provocazione portò spesso Monicelli, toscano o romano che dir si voglia, comunque persona onesta, schietta, limpida come il cielo terso di certe giornate agostane, a prendere posizione, sul mal costume, sul mal governo, sulla cialtroneria assortita, sul pressapochismo. Era uno dei rarissimi amici di Germi: qualcosa vorrà pur dire. “Signore e signori buonanotte” (1976), pellicola a episodi, nella quale dirige “La bomba”, e “Amici miei” (1974) , sono un regalo dello stesso Germi, malato, al fido Monicelli.

Mario MonicelliUno che aveva il gusto del “Proibito” (1954). Lo sanno bene i sardi, il film fu girato in Gallura, con l’esordiente supergnocca Lea Massari. Una delle diverse trasposizioni cinematografiche dello scritto deleddiano, “La madre”. Cari fottutissimi amici (1994), alla fine.

Il Mario ha fatto veramente solo una bischerata autentica. Il volo, senza l’aiuto di Teo (neanche di Theo Angelopoulos) dal quel balcone di un ospedale capitolino. Comunque sia, maestro, oggi ti avremmo offerto un bouquet di rose. A noi da cinque anni, c’è rimasto solo il deserto.

27 maggio 2015