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Simeone Latini sul set di ‘’Task Force - 45 Fuoco amico’’

L'attore cagliaritano ha un ruolo chiave nella serie prodotta e interpretata da Raoul Bova. L’Intervista di Anna Brotzu

Simeone Latini - ph. FantiniNella “Task Force - 45 Fuoco amico” c'è anche un sardo – e non esattamente un soldato semplice: è il colonnello Montani, l'ufficiale superiore che dirige le operazioni in Afghanistan, a capo della brigata impegnata a garantire la sicurezza dei cittadini di Herat, in un'area calda e a rischio in zona di guerra.

Sarà Simeone Latini - attore e conduttore televisivo, volto noto del piccolo e del grande schermo, ma soprattutto raffinato e apprezzato interprete sul palcoscenico - a prestare volto e voce a questo personaggio, comandante di una squadra speciale e diretto superiore del maggiore Enea De Santis (alias Raoul Bova).
Sul suo personaggio e sui molti misteri adombrati nella serie, prodotta dallo stesso Raoul Bova e diretta da Beniamino Catena, che descrive il lavoro delle forze speciali ma anche i giochi di potere e i traffici e gli affari più o meno leciti nei territori occupati, come sfondo per la complicata storia d'amore tra il maggiore De Santis e la bella Samira (Megan Montaner, nota al grande pubblico come Pepa Aguirre ne “Il segreto”) - l'artista cagliaritano preferisce non rivelare, anzi “non anticipare” troppo.

Simeone Latini - ph. FantiniTop secret – per ora – i nodi cruciali di una storia che si annuncia avvincente e coinvolgente, tra passioni e intrighi, con una trama ricca d'azione e suspense; semmai qualche notazione sulle intense giornate di riprese nell'Isola (vd. reportage). L'Afghanistan - per “Task Force - 45 Fuoco amico” - si trova (anche in Sardegna) – ennesima dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, di come il cinema potrebbe e dovrebbe rappresentare per l'Isola una risorsa strategica e non solo sul piano artistico e culturale, ma anche su quello dello sviluppo economico. Intanto prepariamoci a gustare le nuove avventure di Raoul Bova (alias Enea De Santis) a Herat, area cruciale dove si trova non a caso il Camp Arena, sede del Regional Command–West: dopo il maresciallo Stefano Carboni di “Nassirya, per non dimenticare”, l'attore romano incarna il protagonista (nella finzione) di una pagina della storia recente, inviato in Medio Oriente tra luci e ombre di una missione in zona di guerra – con un cast stellare: da Megan Montaner a Ugo Pagliai, Romina Mondello, Andrea Sartoretti, e appunto Simeone Latini.  

In “Task Force -45 Fuoco amico” lei indossa – non solo metaforicamente - una divisa: qual è il suo personaggio?
Interpreto il colonnello Montani, diretto superiore di Enea De Santis (Raoul Bova).

Simeone Latini - ph. FantiniCome lo definirebbe?
È un militare esperto, piuttosto duro e per nulla “simpatico”.

In che modo ha lavorato sul personaggio?
Nel caso specifico il lavoro è stato fisico e di ricerca. Rispetto al passato, si ha oggi la possibilità di accedere, tramite la rete, a filmati di guerra reali e molto dettagliati. Per l’aspetto psicologico, come per altri lavori, il personaggio nasce dalla lettura profonda del copione, in particolare dall’aver esaminato, e spesso immaginato, i rapporti con gli altri personaggi della storia.

Lei è un attore professionista – e anche piuttosto affermato, però vive e lavora spesso in Sardegna: com'è entrato a far parte del cast?
Ho fatto un incontro preliminare alla fine dello scorso anno, a Roma (con i fratelli Cucchini, titolari del casting), per poi accedere al classico provino su parte, nelle settimane successive, con il regista Beniamino Catena.

Simeone Latini - ph. FantiniQualche momento significativo, qualche aneddoto delle riprese in Sardegna? Com'è stata questa esperienza sul piano professionale?
L’esperienza è ancora in corso e, per la verità, diventerà più coinvolgente nelle prossime settimane. Le scene girate in Sardegna sono andate molto bene, grazie alla location unica (la grotta di San Giovanni, a Domusnovas) e al grande affiatamento sul set, tra cast tecnico e artistico. Gli aneddoti riguardano, più che altro, l’attenzione dei fan per i due protagonisti. Era una sorta di affetto, al limite dell’ossessione. Ad ogni spostamento, e di fianco all’albergo, era presente un centinaio di persone, armate di telefonini, che attendevano ore ed ore sotto il sole, nella speranza, immagino, di ricevere un gesto di saluto da sagome lontane, difficilmente distinguibili. Ho trovato il tutto abbastanza divertente. I due colleghi un po’ meno.   

Quando sono iniziate le riprese? Quando e dove entra in scena... il suo personaggio?
Le riprese sono iniziate ad aprile, nelle zona di Roma. Sono poi proseguite in Marocco, prima dell’arrivo in Sardegna. Continueranno a Malta, per chiudere a Roma.
Il mio personaggio sarà presente dal principio, in modo più o meno costante.  

Simeone Latini - ph. FanniRitiene che questa fiction – e altri film/serie tv cui ha partecipato – potrebbero rappresentare un biglietto da visita importante, e un'opportunità per l'Isola?
E’ più che altro una speranza. La direzione verso la quale muoversi. L’opportunità risiede nelle caratteristiche uniche del nostro territorio, nella pluralità di location, che consentono la realizzazione di storie e generi cinematografici molto diversi. Persino nella bassa densità della popolazione, che regala spazi inviolati, molto utili a chi fa cinema.  

Il mestiere dell'attore – una professione interessante e affascinante ma anche molto impegnativa e sicuramente piena di incertezze. Quali e quando son stati i suoi esordi nel mondo del teatro? E al cinema?
Ho cominciato a recitare nei primi anni novanta, come attor giovane della cooperativa Teatro di Sardegna e con un gruppo amatoriale, molto capace, guidato da Francesco Atzeni. Da allora non ho più smesso. Ho passato quasi dieci anni a Roma, tra fiction, pubblicità, molto teatro e un po’ di cinema. Ho poi lavorato in giro per l’Europa e in Messico. Nei primi anni 2000, mi sono trasferito in Inghilterra, per lavorare con National Geographic, fino al mio ritorno in Sardegna, nel 2003.
 
Simeone Latini - ph. FanniChe significa fare l'attore oggi in Sardegna? E in Italia?
Da quando ho cominciato con questo lavoro, il periodo che stiamo attraversando è certamente il più complicato. La necessità di spaziare nella professione, non restando al solo recitare, è diventato elemento vitale. La difficoltà che stiamo vivendo deriva da molte componenti, la più importante delle quali è la poca considerazione che si ha della cultura, come strumento essenziale di crescita.

Quali son stati i suoi maestri?
Non avendo io mai seguito un corso, di alcun genere, individuo come maestri alcuni dei colleghi, con i quali ho avuto la fortuna di lavorare sul palco, e che mi hanno trasmesso passione e curiosità per il mestiere. E non parlo necessariamente di celebrità. Anzi, è stato spesso l’esatto contrario.   

Lei ha varcato anche i confini dell'Italia – com'è stato lavorare all'estero?
Le esperienze estere sono state tante. Su tutte un Pirandello in italiano, per il pubblico messicano, un festival del teatro Croato, poco successivo al conflitto nei Balcani e, di recente, un tour portoghese di grande successo, con un’opera mia e di Nunzio Caponio, prodotta da Akròama.

Latini e CaponioProprio insieme a Nunzio Caponio – vi siete gettati nella “folle impresa” di produrre e realizzare un film – tra l'altro duro e difficile come “L'ospite” che smuove le nostre coscienze di cittadini e spettatori.  Ci racconta qualcosa di quell'avventura?
È stata una bella sfida, in parte vinta. Dopo aver visto il buon esito dello spettacolo teatrale omonimo, da noi scritto e diretto, abbiamo deciso di realizzare un lungo, che avesse la stessa forza, ma con caratteristiche cinematografiche ben definite. Avremmo potuto cercare una produzione per anni, ma abbiamo preferito affidarci alle collaborazioni gratuite di amici professionisti, per realizzare il film in tempi ragionevoli. Il progetto nasce dall’aver ascoltato una storia, raccontataci da Riccardo Sarti, autore anche delle musiche, e da Edin Derviskadic, amico bosniaco, oramai sardo d’adozione, che ha condiviso le sue esperienze ed il dramma vissuto dalla sua famiglia. Filtrando il tutto attraverso la quotidianità occidentale, è nato un film che tratta temi importanti, come responsabilità e influenza opprimente dei media, e che racconta la storia di una guerra, quasi dimenticata, a un passo da casa nostra. Il risultato ci soddisfa ma, certo, con qualche aiuto esterno (il progetto è interamente autoprodotto) avremmo potuto raggiungere un pubblico più vasto.

Simeone Latini - ph. FanniDa spettatore, le piace il cinema? Quale genere di film preferisce? E cosa guarda sul piccolo schermo?
Amo il cinema, fin da bambino. Mi considero uno spettatore pienamente onnivoro. Trovo elementi interessanti nei film di genere, a bassissimo costo, come nelle mega produzioni. In una stessa sera posso guardare la trilogia di Kieślowski e, con lo stesso entusiasmo, un film di Lino Banfi. In questo momento la mia attenzione va alle serie tv americane, come True Detective o Breaking Bad. Sono magnificamente scritte, non sono incentrate sull’uso del computer e hanno cast e regia di primissimo ordine.  

A proposito di cinema (e non solo), quali altri film e fiction – nazionali e internazionali ha girato?
Come regista, film “L’Ospite” a parte, ho girato due corti, con l’aiuto di Luca Sgualdini, che hanno ottenuto degli ottimi risultati, in ambiti anche internazionali. Come attore cinematografico ho avuto un’attività limitata dalla presenza piacevolmente incombente del teatro. Tra le fiction del passato, Centovetrine, Incantesimo, Una donna per amico e Camici bianchi. Poi una decina di spot, tra i quali Mulino Bianco, Cirio e Renault. Tra le ultime cose mi piace ricordare un corto, con la regia di Marco di Gerlando, che ha ottenuto decine di riconoscimenti mondiali trattando un tema fondamentale come la violenza domestica (“Nella tasca del cappotto”), il film di Francesca Staasch (girato interamente in Sardegna, per Rai cinema) dal titolo “Happy Days Motel”, e il corto (attualmente in lavorazione), di Lea Gramsdorff, dal titolo “The Vase” (in lingua inglese).

Simeone Latini - ph. FanniCi racconta del suo cinema... visto da dietro la macchina da presa?
Trattando temi a me molto cari, l’esigenza è che arrivi il messaggio e trasmetta un’emozione. Così come in teatro, mi piacerebbe che il pubblico andasse a casa con qualcosa cui pensare. Perché questo avvenga do grande importanza, da ex musicista, alla colonna sonora. Negli anni si sono rivelate fondamentali le collaborazioni con musicisti sardi di grande qualità, da Fabio Furia (per Mare e Sardegna), a Romeo Scaccia (L’Ultima Volta) e Rossella Faa (Battiti), fino allo stesso Riccardo Sarti, per “L’Ospite”.

Il cinema italiano ha conosciuto stagioni meravigliose ora si ha l'impressione che esistano due se non tre “livelli”: un cinema di altissimo livello e respiro internazionale – vedi “The Youth” e “Il racconto dei racconti”... per fare due esempi; un livello intermedio che sforna per lo più commedie a basso-medio budget e – a parte quello strettamente commerciale che fa storia a sé - un terzo tipo di cinema “indie” in cui potrebbe rientrare forse “L'Ospite”. Come vede lei il presente e il futuro del cinema in Italia?
La frammentazione dell’offerta non è necessariamente un elemento negativo. Gli autori che lei ha citato sono certamente meritevoli, e non a caso premiati e coccolati. Mi chiedo però chi altro in Italia (Sorrentino e Garrone, a parte) sia messo nelle condizioni di esprimere la propria arte, senza l’affanno del mercato. Pur capendone la ragione, immagino che un compromesso sia possibile. E, ancora una volta, credo dipenda dalla poca considerazione delle istituzioni nazionali, nei confronti del fare cinema in Italia. In Sardegna, d’altro canto, è fondamentale che si inizi a considerare il cinema come un’industria sostenibile, in grado di generare guadagni, anche consistenti. Ed è ciò che gli amici di Moviementu sostengono con forza.  

Simeone LatiniProgetti e impegni futuri?
Lavorerò fino a fine agosto sul set di TF45, a Roma. Stiamo poi chiudendo il lavoro con Lea Gramsdorff, per “The Vase”. Sempre con Lea lavoreremo ad una Medea di grande suggestione. In teatro continua la collaborazione con Akroama, e con Lecis. Porteremo infatti il suo “Storiafinta”, prima in Sicilia, a dicembre, e poi in Portogallo, nel 2016.

Un sogno nel cassetto?
Vorrei portare in scena Amleto, in lingua inglese. Perché ancora Shakespeare? Perché la gente pensa sia morto molti anni fa. E non è affatto vero.

24 giugno 2014