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La formula magica di Ettore Scola

Ettore Scola

Un ricordo del regista che ha reso la commedia all'italiana allo stesso tempo divertente e di riflessione profonda. di Elisabetta Randaccio

Scorrendo la straordinaria ed esemplare filmografia di Ettore Scola, scomparso il 19 gennaio scorso, da quale opera si potrebbe iniziare un ricordo per un maestro che ha segnato fortemente il nostro cinema? Mi piace scegliere un film poco citato, marginalmente riconosciuto, considerato all'epoca della sua uscita in maniera contraddittoria e, per via della sua distribuzione limitata, sconosciuto al grande pubblico.

Ci sembra, invece, come questo “piccolo film” racconti non solo un'epoca, ma anticipi alcune tematiche sociali caratterizzanti l'Italia degli anni a venire, e si saldi, poi, con l'opera successiva firmata da Scola, C'eravamo tanto amati (1973), capolavoro assoluto. Vogliamo parlare di Trevico Torino, viaggio nel Fiat-Nam (1973), prodotto dalla Unitelefilm (legata al Pci), il quale “viaggiò” per le sale alternative, i circoli del cinema, i centri sociali, i cinema d'essai (dove la sottoscritta ebbe modo di vederlo qualche anno dopo la sua produzione).

''Trevico - Torino. Viaggio nel Fiat-Nam''Fu un film, come spesso accade ai registi di gran prestigio intenti a sperimentare su paradigmi diversi, discusso e, a volte, disprezzato. A leggere le recensioni, soprattutto dei giornali di sinistra, sembra come la rissosità ideologica del tempo abbia la meglio e gli insulti, insensati, si sprechino. Si leggano, in questo senso, le righe redatte da Goffredo Fofi che boccia Trevico Torino, astrusamente, “come film per bambini, nella migliore accezione del termine”. Insomma, riprendere le recensioni di quarant'anni fa, è sempre utile, anche se più che storicizzare le pellicole, si nota, nella maggior parte dei casi, l'evoluzione della personalità dei critici.

''Trevico - Torino. Viaggio nel Fiat-Nam''Trevico Torino è un lungometraggio girato con un budget ridotto e con interpreti non famosi e tratta dell'immigrazione, in maniera acuta. Fortunato (rovesciamento di nomen-omen) viene da Trevico (la stessa cittadina natale di Scola) e va a cercare lavoro a Torino. Inutile dire come, cambiando le carte, l'odissea del ragazzo in un mondo sconosciuto, diffidente e intollerante, ricordi una realtà contemporanea che ha esclusivamente mutato i protagonisti. Assunto alla FIAT, in quel periodo vera e propria, come è stato già detto, “metafora della classe operaia italiana”, ne subisce le contraddizioni, mentre costruisce con difficoltà nuovi rapporti umani e anticipa le esigenze di chi non può vivere esclusivamente di lavoro e alienazione, questione che diventerà un nodo cruciale nello scontro interno e in quello esterno della fabbrica nei tardi settanta.

''C'eravamo tanto amati''Trevico Torino va recuperato e, come si è detto, va saldato con il bellissimo C'eravamo tanto amati, distribuito nello stesso anno, dove con il suo stile popolare e una sceneggiatura perfetta consegnata ai grandi interpreti dell'epoca (Gassman, Manfredi, Satta Flores, Sandrelli, ma anche Ralli e Fabrizi), disegna lo stato delle cose dell'Italia contemporanea, oscillando tra un pessimismo oscuro, la melanconia e un minimo di ottimismo, ancora insito negli “umili”.
Il film ci propone un paese ridotto al cinismo e alla corruzione, degradato e dimentico degli ideali della Resistenza e della Costituzione, egoista e presuntuoso, culturalmente patetico (la moglie suicida per un confuso insieme di “alienazione” e depressione, la quale appare al marito ancora dentro l'auto di lusso in cui ha trovato la morte, dice “Bravo ignorante, la morte sublima. Si vede che non hai letto il Siddharta” e il marito Gianni-Gassman “No, non l'ho letto il Siddharta” “Eh certo, a me mi obbligavi a leggere, ma tu non leggi niente.” “Elide che rottura” e Gianni si lascia alle spalle il fantasma di una moglie, mai amata, umiliata, resa docile dal complesso di inferiorità per la modesta istruzione). C'eravamo tanto amati fa molto ridere, ma anche piangere come tutti i capolavori.

''Il mondo nuovo''Ettore Scola era un grande sceneggiatore, un bravo scrittore di battute e per questo i suoi film si innalzano a un livello artistico capace di rendere la formula della “commedia all'italiana” a un modello, nello stesso tempo, divertente e di riflessione profonda. Pensiamo a Concorrenza sleale (2002), dove dal buffo rapporto dei due sarti (interpretati da Sergio Castellito e Diego Abatantuono) rivali, si arriva al racconto delle conseguenze delle leggi razziali varate nel 1938 o al Mondo nuovo (1982), in cui il viaggio (come si sa, un topos nel cinema di Scola) degli aristocratici in fuga dalla Parigi rivoluzionaria, ci rivela un universo in forte cambiamento, tra squallore e vitalità.

'Brutti, sporchi e cattivi''Insieme ai grandi successi commerciali, si possono citare anche altre opere da recuperare, come Passione d'amore (1981), tratto dal romanzo ottocentesco di Ugo Igino Tarchetti, dove il tema, sempre presente nel cinema di Scola, quello del diverso e dell'emarginato, si incarna nell'isteria di una donna brutta innamoratasi di un ufficiale bello e onesto, un amore “impossibile” per una società gretta e incapace di andare oltre l'apparenza. Si potrebbe evocare pure l'umore greve e pessimista di Brutti, sporchi e cattivi (1976), film molto amato da Scola, “pasoliniano”, oppure la vicenda in cui altre due solitudini, altri due emarginati si incontrano: Una giornata particolare (1977), dove giganteggiano Marcello Mastroianni (gay costretto dal regime al confino) e Sophia Loren (casalinga frustrata).

Forse, però a conclusione si può dare spazio all'aspetto ottimista di un uomo di cultura, impegnato nel tentativo di cambiare quel paese che tanto amava. E, allora, ecco il finale di uno dei suoi film meno riusciti, La cena (1998), dove sono i ragazzini i quali sembrano, cantando La donna cannone di De Gregori, avere in mano le fila di un mondo migliore.

27 gennaio 2016