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Film Consiglio

''The hateful eight'' di Quentin Tarantino

Il consiglio di Elisabetta Randaccio

''The hatefull 8''L'incipit è geniale. Intanto, come è accaduto in molti film serviti da una simile colonna sonora, si presenta subito uno dei protagonisti: Ennio Morricone e la sua musica vivente, che ci orienta l'emotività e il piacere di stare di fronte allo schermo immenso (The hateful eight è un'opera da vedere in sala, perché è pensata proprio per questi meravigliosi spazi).

Mentre la musica ci influenza, scorrono sullo schermo sconfinati campi lunghi, omaggio al senso del paesaggio di Sergio Leone, dove una diligenza attraversa luoghi resi abbaglianti e mutanti dalla neve. Sceglie, dunque, Tarantino il western “bianco”, quello del freddo e del congelamento e non quello del sole infinito e del sudore dei corpi.

''The hatefull 8''La diligenza si ferma, salirà un cacciatore di taglie nero (il grandioso Samuel L. Jackson). Ci ricordiamo, è inevitabile, di Ombre Rosse e degli otto + 1 personaggi che regalarono un inossidabile paradigma al genere western con gli stereotipi (in realtà, uomini del new deal travestiti da cowboy) fordiani. Tarantino rovescia il tavolo delle tipizzazioni, ma, secondo la sua caratteristica drammatizzazione (il regista è uno sceneggiatore di lusso), comunque, li farà scontrare, ce li tratteggerà, barando in continuazione per la maggior parte del film, in un interno da thriller di Agatha Christie, ovvero quei luoghi particolari pieni di indizi che un lettore/spettatore dovrebbe osservare attentamente, senza farsi prendere dalla storia. Tarantino ci regala uno script, il quale potrebbe vivere pure a teatro, tanto il gioco delle parti è raffinato, mentre, ormai, possiamo dimenticarci il postmodern e goderci un capolavoro classico.

''The hatefull 8''La violenza, poi, è l'unica modalità espressiva degli odiosi otto, o meglio, nove, selvaggi, ladri, assassini, cialtroni, bugiardi, padri fondanti di un paese diviso nettamente, quasi senza possibilità di conciliazione. La guerra di secessione ci viene mostrata, attraverso queste figure, come un falso mito. D'altronde, anche in Sergio Leone qualcuno si arricchiva attraverso il conflitto, qualcuno risolveva le proprie vendette o follie. Una falsa lettera di Lincoln, con tutta la sua bontà da presidente eroe e con gli auspici per un mondo dove i pregiudizi di razza saranno sconfitti è, nello stesso tempo, l'elemento più ironico e più politico del film. Il nero Marquis Warren la usa come “arma” (“i negri stanno bene sono quando i bianchi sono disarmati e questa li disarma”), ma nel finale è una stridente profezia sull'intolleranza razziale negli Stati Uniti contemporanei.

''The hatefull 8''Basandosi su una simile sceneggiatura a orologeria, lo spettatore cade nelle trappole tarantiniane per cui nessuno è quello che sembra, nessuno è quello che vuole, tutti “odiosi” e, nello stesso tempo, in maniera contraddittoria, empatici. Il film è bello perché ogni particolare è bello: nella tecnica e nell'interpretazione di un cast scelto accuratamente il quale partecipa alla “scrittura” con le battute, la mimica, ogni sfregio sul viso. E la donna non è la parentesi rosa del western classico, è una stratega mimetizzata e una pupara senza scrupoli e senza avvenenza.
Se il luogo chiuso dove scorre il sangue, ci ricorda Le Iene, The hateful eight non è un film citazionista o omaggiante, è un'opera da cui si deve imparare, da avere come riferimento cinematografico. Un puro classico insomma.

10 febbraio 2016