Percorso

Un marziano genovese a... Cagliari: Giuliano Montaldo

Giuliano Montaldo

Viaggio nel cinema con il regista ligure. Intervista di Elisabetta Randaccio

Sessantacinque anni di cinema, un viaggio attraverso contrasti, contraddizioni, censure, libertà artistiche, ascesa e caduta di una industria anomala, sempre incerta se  sprofondare nella crisi o riaffermare la propria creatività; questo l'insieme di tematiche del week end che ha concluso la rassegna cinematografica su Giuliano Montaldo, con la presenza dell'autore a Cagliari.

La manifestazione, curata dalle Associazioni Alambicco e La Macchina Cinema, con la collaborazione di partner istituzionali e culturali (patrocinata dalla Regione Sardegna), si è svolta per circa un mese con successo, proponendo i film di un regista che ha scritto pagine importanti della storia della settima arte nel nostro paese. A Cagliari, Montaldo ha partecipato alla presentazione del libro Un marziano genovese a Roma (Felici Editore) di Caterina Taricano alla Biblioteca Provinciale, e, il giorno dopo, al Teatro Comunale di Elmas, a una serata a lui dedicata, in cui il compositore Romeo Scaccia si è esibito in un concerto per piano solo, dove si sono incontrate parole, note e musica. Scaccia, infatti, ha eseguito sia brani da lui scritti, sia ha suonato su una sintesi di fotogrammi di alcuni esemplari film del regista ligure. Il concerto ha contraddistinto una serata emozionante, conclusa con la consegna del premio alla carriera a Giuliano Montaldo da parte dell'Associazione Alambicco.

''Un marziano genovese a Roma''L'appuntamento con Un marziano genovese a Roma, una autobiografia raccolta in brevi capitoli dalla autrice, che ha lavorato in stretto contatto con il regista, ha offerto la possibilità al pubblico presente di conoscere meglio Giuliano Montaldo, allo stesso tempo competente e ironico, narratore di storie di cinema, insieme alla moglie Vera Pescarolo, figura straordinaria di donna, che ha partecipato in vari modi anche lei (produttrice, assistente alla regia, distributrice, tra l'altro) alla avventurosa evoluzione della cultura e industria filmica italiana.  Si sono avvicendati aneddoti e racconti iniziando dall'esordio come attore (“ma mia moglie dice che sono un cane come interprete!”) nel primo film di Carlo Lizzani, Achtung, banditi! (1952), dove pur diciannovenne, recitava nei panni del commissario politico di una brigata partigiana, una figura più adulta, sulla carta. L'aver mosso i primi passi nel mondo dello spettacolo come attore, ha influenzato Montaldo nel rapporto coi suoi interpreti. Così, nell'intervista, in chiusura dei suoi giorni cagliaritani, il regista di L'industriale ha detto: “Voglio molto bene agli attori, persino se devono impegnarsi su una sola battuta. Anche quando ho firmato la regia di opere liriche, ho sempre detto pure ai coristi come, dovendo venire in scena truccati e col costume, avevano la stessa importanza del resto del cast e mi sono sempre curato della loro interpretazione.”

Nel contesto della regia teatrale lirica, a quale autore ha preferito dedicarsi?
“Ho messo in scena molte opere soprattutto quelle pucciniane. Infatti, penso che Giacomo Puccini sia l'ultimo geniale autore del melodramma tradizionale.  A proposito di questo grande musicista, ho riflettuto come, forse, scrivendo La fanciulla del West, avesse visto qualche film muto di genere western. Quell'opera potrebbe essere definita, nell'impostazione narrativa, estremamente cinematografica. Così, se  mai ne dirigessi una messa in scena, la realizzerei in bianco e nero, come i film dell'epoca.”

''Tiro al piccione''Il suo esordio dietro la macchina da presa, a quanto lei ha raccontato, rischiò di essere il suo ultimo lungometraggio...
“Sì, se non avessi conosciuto in quei giorni mia moglie Vera, che mi spronò a continuare nella mia carriera, avrei lasciato questo mestiere. Infatti, il mio primo film, Tiro al piccione, nel 1961, fu fischiato al Festival di Venezia, non accontentò né i critici di destra né quelli di sinistra. Era tratto dal libro omonimo di Giose Rimanelli e trattava di un ragazzo incapace di capire la realtà storico politica a lui contemporanea. Si arruola nella Repubblica di Salò e, dopo molte vicissitudini, elabora un concetto diverso di <giusta patria>. Erano anni in cui trattare di questi conflitti, evidentemente, era prematuro. Negli anni seguenti, poi, sono stato risarcito da una rilettura critica positiva. È uno dei miei lavori più richiesti, quando si deve comporre una rassegna sulla mia filmografia.”

La critica può cambiare il suo parere, ma, sinteticamente, come è mutato il rapporto tra pubblico e opera cinematografica? 
“È avvenuta, nel tempo, una modificazione del rapporto tra cinema e pubblico. Le sale  tradizionali hanno chiuso, per la maggior parte. Persino i negozi di DVD stanno scomparendo. In questo senso, il cambiamento del modo di fruizione del cinema si è trasformato in maniera epocale. Però, la narrazione filmica ha ancora un valore forte. Me ne accorgo, quando mi chiamano per le proiezioni nelle scuole. Oppure, quando vado a Narni, dove, insieme al sindaco, abbiamo inventato, venti anni fa, il festival del cinema restaurato e, sul grande schermo, nel mese di luglio, vengono proiettati i film del passato; non solo capolavori, ma pellicole che ci raccontano come eravamo per dire chi siamo, coinvolgenti per temi, incredibilmente, ancora attuali. Pensiamo, per esempio, a Roma ore 11 di De Santis: duecento ragazze ammassate alla ricerca di un posto di lavoro; ora quante sarebbero? O le vicissitudini di Umberto D., il povero pensionato della pellicola omonima di De Sica. Inoltre, in quelle opere si può, tra l'altro, osservare quale tipo di città era la Roma di quegli anni, come erano le periferie, in che modo si comportava la gente ed è una lezione storica. Il problema, in realtà, è il consumo del film. Chi organizza, per esempio, il palinsesto televisivo sono le aziende delle pubblicità. A questo punto, è chiaro come le buone pellicole passino alle due di notte. Qualcuno ha detto, rispetto alle interruzioni infinite pubblicitarie sui lungometraggi, <non si interrompe un'emozione>. Questo è stato compreso perfettamente. Infatti, alle ore di punta, inseriscono dei film, dove l'interruzione è legittima!”

''Sacco e Vanzetti''L'attenzione al pubblico, alla sua formazione, potrebbe salvare il cinema d'autore?
“Non ci sono dubbi. D'altra parte, me ne accorgo, per esempio, quando le scuole si aprono alle proiezioni e al dibattito. Personalmente, soprattutto con Sacco e Vanzetti e con Giordano Bruno, vado spesso negli istituti scolastici e le domande che vengono poste sono assolutamente interessanti, desiderose di curiosità e di conoscenza. Proiettando, discutendo, approfondendo, si costruisce il futuro, si forma una persona che continuerà ad amare quella forma di provocazione culturale. Certamente, è necessario trovare nuove vie per il cinema. Se le sale avessero aperto, da tempo, ad altre iniziative, per esempio, dei matinee fissi per le scuole, forse saremmo riusciti a vendere non solo pop corn nei multiplex, ma anche a creare dei punti culturali di aggregazione. Abbiamo invece tanto disperso... Poi, c'è il problema della scomparsa delle coproduzioni, così importanti per la realizzazione dei film. Nel corso degli anni,  le opere cinematografiche sono state fatte, pensando a come si sarebbero dovute vendere in televisione: un danno.”

Montaldo in ''Achtung banditi!''Esiste, in quest'ottica una sorta di autocensura degli stessi autori?
“Il problema della censura e dell'autocensura non è nuovo. Si pensi quando una certa egemonia culturale della sinistra sul dopoguerra, soprattutto nei confronti della Resistenza, ha infastidito i politici usciti vincenti dalle prime elezioni. Nel 1948, i democristiani erano convinti che tutti i registi fossero comunisti! Un'assurdità. Si immagina, per esempio Rossellini comunista? Eppure, così, dalla loro ottica, erano considerati gli autori cinematografici. Conseguentemente, si diffuse la cosiddetta censura preventiva. Certi film con determinati contenuti non si dovevano più realizzare. Per esempio, Cronache di poveri amanti di Lizzani fu boicottato e fu possibile girarlo, solo con una sottoscrizione popolare. D'altronde, anche il precedente Achtung! banditi, esordio alla regia di Carlo Lizzani, ma anche la mia prima volta davanti alla macchina da presa come attore, fu ostacolato. Ci proibirono di servirci, in una storia ambientata nel periodo della Resistenza, di armi vere per le scene. Dovemmo farcele costruire di legno e, con grande disagio di Lizzani, per questo motivo ci veniva da mimare lo sparo con la bocca! I veti erano terribili, ovviamente influenzavano pure le decisioni delle banche per gli investimenti nel settore. Per fortuna, il cinema italiano è sopravvissuto, grazie alle nostre follie, ai Maciste, agli Ercoli, alla commedia all'italiana, diventata sempre più graffiante. In realtà, sono convinto come il nostro cinema abbia ricominciato a vivere per opera di quelli da me chiamati  <martiri della qualità>, cioè gli autori dei film che avevano un pallino di critica, ma cinque di pubblico! I produttori, così, anziché consegnare tutto l'incasso all'erario, lo reinvestivano per il cinema d'autore. Vorrei, per questo si facesse un festival dei <martiri della qualità>. Ringrazierò sempre questi signori capaci con le loro opere di incassare tantissimo. In quella situazione, si poteva vedere un produttore sorridente, così arrivavi col cappello in mano e ti finanziava il progetto desiderato. Questo oggi manca. Non so, infatti se il produttore del film di Zalone, davanti a un giovane regista, il quale  gli propone un lungometraggio, per esempio, su chi ha ordinato la strage di Portella delle Ginestre, voglia reinvestire una parte del suo stratosferico incasso.”

''L'Agnese va a morire''Quale altro elemento rende debole il cinema italiano.
“Sicuramente, il settore della scrittura per il cinema è, oggi, estremamente trascurato. Le sceneggiature dovrebbero essere ben organizzate. Non esiste più la discussione e il dialogo con il produttore, affinché una storia sia capita veramente. Negli anni d'oro del cinema italiano, la sceneggiatura era fondamentale, gli scrittori di film si incontravano, litigavano anche per la credibilità di una sola battuta. D'altronde, prima di dire “Motore!” bisogna scrivere. Idea, soggetto, trattamento, sceneggiatura, poi i sopralluoghi, cronometrare bene quanto può durare una scena. A quel punto si può dire finalmente “Motore!”. Adesso con il telefonino, apparentemente, sembra tutto più facile. E' bello, sicuramente, dire “Azione!” Ma a che cosa? Per quale storia? Per quale obiettivo? Per quali emozioni? Per dolore o per risata? Per provocarti un'emozione o per farti rilassare? Ci deve essere, nella realizzazione di un film sempre un obiettivo chiaro, preciso. Inoltre, l'impegno non si conclude con la fine delle riprese. Non si può stare a casa ad aspettare. Non si può fare morire precocemente il film. A questo proposito, mi ricordo come per L'Agnese va a morire, il pubblico rispose benissimo in tutta l'Emilia Romagna, non a Bologna, però. Allora andai in quella città, mi feci stampare dei volantini dove, provocatoriamente, era scritto “Questo film è tratto da un libro di una vostra concittadina. Abbiamo speso tanta fatica per realizzarlo, perché non andate a vederlo?”. Mi sistemai fuori dalla sala, in cui si proiettava L'Agnese, un mattino, a distribuire i manifestini . Aspettai, a questo punto, l'arrivo del fotografo e del giornalista del “Resto del Carlino”. Il giorno dopo, gli ingressi aumentarono in maniera notevole. Certamente, ero consapevole di non aver fatto un film decisamente commerciale; non c'era Alberto Sordi nel cast dell'Agnese.”

Anche allora, a metà degli anni settanta realizzare un'opera come L'Agnese fu complicato...
“Certo. Prima di tutto andai a casa dell'autrice, Renata Viganò, che non vide il film, perché morì prima della sua uscita. Quando seppe la ragione della mia visita, mi disse <Forse è meglio che ti prepari un piatto di tortellini, perché sei il quarto a propormi un progetto dal mio libro e mai nessuno l'ha realizzato!> Era vero, a desiderare di trasporre l'Agnese va a morire per il cinema, erano stati Lizzani, De Santis, Mida Puccini. Tutti avevano trovato una serie di difficoltà, veri e propri veti incrociati. Io ci sono riuscito supportato pure da tanti – allora - attori giovani promettenti, da Michele Placido a Stefano Satta Flores, i quali hanno praticamente lavorato gratis pur di partecipare al progetto e stare vicino alla protagonista interpretata da Ingrid Thulin. Da parte sua, poi, c'è stato un entusiasmo incredibile. È rimasta un mese tra la gente romagnola per imparare persino la gestualità delle contadine. Quando girava delle scene in bicicletta, ripetute magari varie volte, si capiva quanto era stanca. Allora le donne, le ex partigiane, spesso presenti sul set, le dicevano: <Forza Agnese, non mollare.> Le davano coraggio! Infatti, sono convinto come quel film non sia mio, ma della gente di Romagna. Tutte le sere, durante le riprese, gli abitanti delle zone in cui giravamo, preparavano la cena, si era instaurato un clima, che ora sarebbe impossibile recuperare  Ora sarebbe anche difficile portare avanti una sottoscrizione popolare per un simile film e sarebbe altrettanto complicato distribuirlo. Di questi tempi, realizzi un lungometraggio e, al massimo, viene tenuto nelle sale per tre giorni.”

Cosa mi può raccontare del prossimo film diretto da Francesco Bruni, in cui lei è uno dei protagonisti?
Francesco mi ha proibito di svelare qualsiasi particolare. Posso segnalare, semmai come, insieme a mia moglie, abbiamo partecipato con una comparsata all'ultimo film di Verdone.”

Un progetto futuro? Un sogno, come lei chiama i film da realizzare?
“Sogni o incubi? Si accavallano tante memorie... Se hai iniziato a lavorare per il cinema nel 1950, dopo sessantasei anni sono accaduti mille avvenimenti e tanti film sono rimasti nel cassetto. Volevo realizzare un'opera sul momento storico drammatico dell'incendio del Reichstag, riflettendo come già Nerone ci ha insegnato la strategia della tensione: ha bruciato Roma e ha dato colpa ai cristiani. Hitler incendiò il Reichstag e ne accusò l'opposizione, inaugurando i primi i lager. Bruciare e dar la colpa agli altri, così come mettere le bombe e dar la colpa agli altri. Una storia che si ripete...”

23 marzo 2016

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