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Percorso

Nuovo cinema Doc. La realtà è protagonista

Daniele Atzeni (ph. Francesca Marchi)

Intervista con il regista Daniele Atzeni: “Il documentario è un salto nel futuro”. di Valentina Bifulco

Daniele Atzeni è un regista di Iglesias, classe 1973, che dopo il diploma in regia alla Nuova Università del Cinema e della Televisione di Roma lavora per alcuni anni come assistente di produzione e aiuto regista in produzioni televisive e cortometraggi. 

''Racconti del sottosuolo''Il suo primo documentario Racconti dal sottosuolo (2002) vince la menzione speciale della giuria al Premio Libero Bizzarri, e racconta la vita in miniera e di lotte operaie narrate da tre vecchi minatori e un’anziana cernitrice che lavoravano nelle miniere del Sulcis-Iglesiente. Si dedica soprattutto al documentario toccando temi vicini alla realtà del suo territorio. La leggenda dei santi pescatori (2005), gli permette di partecipare a festival e rassegne in Italia e all’estero, con la storia di una giornata di lavoro dei pescatori di tonno del Sulcis. Nel 2010 realizza Sole nero che si aggiudica il secondo premio nel concorso per progetti cinematografici Il cinema racconta il lavoro, e viene presentato nella sezione Panorama di Cinemambiente. Il documentario racconta i danni sanitari e ambientali causati dal petrolchimico di Porto Torres nel territorio che lo ospita da oltre mezzo secolo. I morti di Alos (2011) è un falso documentario ambientato ad Alos, paese immaginario della Sardegna degli anni ‘50 e’60. Il suo ultimo lavoro Madre Acqua (2015) è un documentario biografico/sociale sulla figura di Sergio Atzeni.

''Madre Acqua''In un’epoca in cui la finzione regna sovrana perché scegli il documentario?
Alla fine degli anni ’90 ho frequentato una scuola di cinema con l’intento di provare a dedicarmi esclusivamente ai film di finzione. Durante il mio percorso formativo ho cominciato a interessarmi al documentario e a pensare che poteva essere un buon mezzo per indagare la realtà, approcciarmi al lavoro di regista e prendere dimestichezza col linguaggio che stavo studiando, dato che mi consentiva di lavorare autonomamente, con poche risorse e pochi mezzi, al contrario del cinema di finzione. Ho girato il mio primo documentario nel 2001, Racconti dal sottosuolo, e da lì ho intrapreso una strada che mi ha portato a realizzare prevalentemente documentari, ma poi le cose sono cambiate.

Il genere documentario sta diventando sempre più importante esistono numerosi festival internazionali dedicati solo a questo genere. Perché, secondo te, per molto tempo questo genere non si è affermato come avrebbe dovuto?
Bisognerebbe fare uno studio specifico in merito. Nel dopoguerra in Italia i registi si formavano col documentario. Antonioni, per fare un esempio, ha cominciato la sua carriera realizzando dei brevi documentari che venivano proiettati nei cinema prima dei film in programmazione, allora era una prassi consolidata. Anche De Seta prima di realizzare Banditi a Orgosolo ha seguito lo stesso iter con i suoi cortometraggi. Poi questa realtà è scomparsa e il documentario è stato assorbito dalla televisione che ne ha appiattito il linguaggio e limitato la carica espressiva. Secondo me è proprio il proliferare di nuovi festival interessati al cinema del reale che ha permesso a una nuova generazione di documentaristi di emergere, inducendoli a realizzare le loro opere con la consapevolezza di avere degli spazi in cui mostrarle.

Credi che il genere documentario possa essere il futuro del cinema?
Credo che i film di finzione saranno sempre predominanti, mentre col documentario si andrà sempre più nella direzione dell’ibrido, utilizzando linguaggi frutto dell’unione di varie forme espressive.

''I morti di Alos''Fiction e documentario possono diventare due facce della stessa medaglia, si contaminano a vicenda e nascono lavori come il tuo “I morti di Alos”, definito un falso documentario...
Ad un certo punto del mio percorso ho capito che il documentario presenta dei limiti espressivi, perlomeno nella forma del racconto basato su testimonianze e/o riprese in presa diretta senza alcuna incursione nella finzione così come l’ho sempre concepito io. La realtà contemporanea è molto complessa e contraddittoria, una rappresentazione della società sempre più artefatta, spesso costruita ad uso e consumo dei media, nella quale si rischia di rimanere stritolati. Ho sentito perciò l’esigenza di esprimermi in modo diverso per far emergere appieno il mio sguardo sul reale. Così ho creato un ibrido tra finzione e documentario, seguendo però il procedimento opposto rispetto alla docufiction, oramai da anni il genere di documentario dominante. Ne I morti di Alos si racconta una storia di finzione utilizzando il linguaggio del documentario, ibridato con altre forme espressive, mentre nella docufiction si raccontano fatti e situazioni reali utilizzando un approccio proprio della finzione, con una messa in scena da parte dell’autore nella quale le persone si trasformano in personaggi che interpretano sé stessi. Non ho mai digerito questa costruzione narrativa perché ne avverto tutta l’artificiosità e perciò mi sono sempre rifiutato di utilizzarla.

Usare eventi fittizi come se fossero reali per raccontare, attraverso l’uso di immagini di repertorio, una storia vera ma che non è stata realmente vissuta. Immagino che questo passare da finzione a realtà sia stato impegnativo sia in fase di scrittura che di riprese e montaggio....
Diciamo che ad un certo punto della lavorazione tutte le fasi della produzione, scrittura, ricerca dei materiali, riprese e montaggio, si sono sovrapposte le une alle altre e sono state portate avanti in maniera parallela. Un lavoro molto impegnativo che mi ha consentito di adattare il mio approccio alla realtà e il mio modus operandi da documentarista ad una storia di finzione. Solo l’inserimento della musica e la creazione del sound design hanno rappresentato una fase separata.

''La leggenda dei santi pescatori''Tema ricorrente dei tuoi lavori è la Sardegna: minatori, pescatori, la salvaguardia del territorio, Sergio Atzeni. Quando e come capisci che una storia è quella che vorresti raccontare?
Ogni progetto risponde a delle esigenze diverse. Ad esempio con Racconti dal sottosuolo desideravo indagare una realtà che sentivo culturalmente moto vicina, essendo nato in una zona mineraria, mentre con La leggenda dei santi pescatori sono partito da un’esigenza innanzitutto estetica, quella di mettermi alla prova col documentario d’osservazione. Madre Acqua nasce dalla volontà di raccontare una figura come quella di Sergio Atzeni molto importante per la mia formazione culturale e artistica. Un progetto concluso nel 2015 ma che in realtà è stato concepito prima de I morti di Alos, circostanza che mi ha portato inevitabilmente a fare un passo indietro nel mio percorso. Per me ora si è aperta una nuova fase dove cerco di scegliere esclusivamente delle storie che possano permettermi di esprimermi al meglio, attraverso una ricerca estetica che possa contribuire alla formazione di una mia personale poetica.  

Progetti futuri?
Sto lavorando a Memorie dal futuro, un cortometraggio che riprende la forma espressiva de I morti di Alos. È un progetto molto impegnativo e rischioso, il lavoro più personale che ho portato avanti finora. Si tratta di dare forma narrativa al monologo esistenziale di un minatore degli anni ‘60 in fin di vita a causa di una frana che lo travolge. Un flusso di coscienza nel quale si mescoleranno non solo passato e presente ma anche visionarie premonizioni sul futuro. Sarà prodotto dalla mia casa di produzione Araj Film, in collaborazione con Mommotty. Dato che il progetto è stato valutato negativamente dalla commissione che assegnava i fondi della legge cinema, stiamo cercando finanziamenti e collaborazioni altrove, anche nel resto d’Europa.

23 marzo 2016

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