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''Lo chiamavano Jeeg Robot'' di Gabriele Mainetti

''Lo chiamavano Jeeg Robot''

Il consiglio di Elisabetta Randaccio

Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti è sicuramente la sorpresa italiana della stagione cinematografica e, insieme a Non essere cattivo di Caligaris, uno dei film più interessanti e originali dell'anno. L'opera di Mainetti, inoltre, è piaciuta anche al pubblico, ha incassato il doppio del suo costo e la Lucky Red, che lo distribuisce, sta pensando di riproporlo in sala anche nella tarda primavera, forte delle tante candidature, anch'esse impreviste, al David di Donatello.

''Lo chiamavano Jeeg Robot''Come Non essere cattivo, Lo chiamavano Jeeg Robot ha per protagonisti uomini e donne cresciuti nella periferia romana (in questo caso siamo a Tor Bella Monaca), che si aggirano in ambienti di microcriminalità. C'è chi tira avanti rubando orologi, chi vuole “salire di livello” con un colpo eclatante, tutti azzerati in desideri, obiettivi e ideali perfettamente reificati e squallidi. Non c'è la vitalità del sottoproletariato raccontato con nostalgia da Pasolini negli anni sessanta, non ci sono ideali da inseguire, è difficile distinguere il bene dal male, il sogno narcisistico di affermazione passa per i soldi facili o per una comparsata in televisione. Così lo Zingaro, che manda avanti un canile, copertura per un giro di furti e spaccio di droga, si esalta nel ricordare la sua partecipazione a Buona Domenica e si esibisce in numeri musicali (la scena in cui canta Un'emozione da poco di Anna Oxa è perfetta). Fabio lo Zingaro, però, è pure uno psicotico, pronto a uccidere spietatamente.

''Lo chiamavano Jeeg Robot''Enzo, invece, è chiuso in se stesso: ruba e poi torna a casa; lo aspettano i DVD porno e le confezioni di yogurt, quasi suo unico nutrimento. A questo punto, il potenziamento della forza fisica di Enzo, dovuto alla contaminazione con il contenuto di barili sprofondati nell'inquinatissimo Tevere, è troppo complesso per il ragazzo, che non riesce a capire il senso di quel “dono”. Usarlo per rubare con destrezza e semplicità o per “aiutare gli altri”, come gli suggerisce Alessia, la ragazza con problemi mentali, fissata con il manga Jeeg Robot, che vede in Enzo l'incarnazione di un supereroe salvifico? Forse, neppure quando dovrà “combattere” lo Zingaro, in una sorta di versione Joker, riuscirà ad avere la consapevolezza delle dinamiche della realtà quotidiana e sociale. La bella sceneggiatura di Nicola Guaglianone e di Menotti riempe il contesto con allusioni evidenti a un momento storico di pericolosa confusione ideologica (vedi anche le bombe della camorra che assediano Roma) e con citazioni cinematografiche, utilizzando sapientemente l'ironia, il grottesco, ma pure le battute esilaranti da commedia.

''Lo chiamavano Jeeg Robot''La violenza è presente perché è parte viva del disegno dei personaggi, i quali non hanno un super io definito adeguatamente, ma è anche declinata con un iperrealismo da film di genere, che ne smussa gli eccessi. Lo chiamavano Jeeg Robot mostra il talento registico di Gabriele Mainetti e del team tecnico il quale lo ha assecondato per fotografare, filmare e montare un film di ottimo livello. Così pure per quanto riguarda il cast con Claudio Santamaria (Enzo-Jeeg) valorizzato nel suo essere attore sensibile e completo. Certamente Luca Marinelli non è una sorpresa (era stato perfetto nel cast di Non essere cattivo, tra l'altro), ma il suo Zingaro dà i punti ai vilain del cinema americano, un ritratto riuscito tra un cattivo da cartone animato e un demente serial killer imbecille.

6 aprile 2016