Percorso

Il reale è l’immaginario. Intervista a Giovanni Columbu

Il regista di documentari e lungometraggi a soggetto è il presidente della giuria della prima edizione dell’IsReal di Nuoro. di Carlo Poddighe

Giovanni Columbu

Quanto è netta la separazione fra cinema del reale e cinema di finzione? Fra un documentario in cui si racconta la realtà nel suo divenire e un film che segue una sceneggiatura già scritta? Ne abbiamo parlato con Giovanni Columbu, regista che ha realizzato diversi documentari, dal primo Dialoghi Trasversali (1981) a Visos (1985), ma ha anche diretto lungometraggi: Arcipelaghi (2001) e Su Re (2012).

L’occasione per incontrarlo è stata la sua presenza all’IsReal, il Festival del cinema del reale, organizzato dall’Isre di Nuoro e in cui Columbu ha il ruolo di presidente della giuria.

Fa sicuramente piacere essere il primo presidente di giuria della prima edizione del Festival.
È un onore. Mi fa piacere soprattutto perché i film visti sino adesso sono tutti molto belli, tutti molto interessanti. Fanno riflettere e hanno contenuti di innovazione, di ricerca e pensiero. Il mio grande apprezzamento per Alessandro Stellino, direttore artistico dell'IsReal, trova conferma nella scelta dei titoli proposti in programma.

Parliamo di cinema del reale, di documentari. Che tipo di cinema è questo? È un genere altro rispetto alla finzione?
Non vedo una separazione così netta tra loro. Gran parte dei miei lavori sono documentari, ma nella loro realizzazione mi sono trovato sempre in bilico tra l’aspetto documentaristico e quello di finzione. Visos è un esempio: nato come reportage, è diventato un documentario a sfondo antropologico, poi, trattando di sogni, inevitabilmente è sconfinato nella finzione.

Giovanni Columbu

E questo vale in generale?
Sì, direi che ogni documentario rimanda molto al cinema in cui si racconta una storia a soggetto. Il doc non esclude un impianto ideativo, un approccio particolare, c’è ogni volta lo sguardo di chi racconta.

Si raccontano sempre due realtà: quella che si vede e il modo in cui la si vede.
Esatto. Ma vale anche il discorso opposto. Un film girato con attori che seguono una sceneggiatura, ma inserito comunque in un contesto reale, ha una sua valenza documentaristica. Rivisti a distanza i film a soggetto diventano testimonianza del loro tempo. Anche i generi in cui la finzione raggiunge i suoi estremi, come quelli di fantascienza, rivelano l’idea che in un certo momento si è avuta del futuro. I film al di là della storia, insomma, testimoniano il tempo in cui sono stati realizzati.

E tu che hai raccontato storie utilizzando entrambi i generi a quale ti senti più vicino?
Personalmente prediligo proprio quella via che sta a metà tra questi due filoni. Il concetto di realtà deve essere sempre ricondotto a quello di verità. Qualunque sia l’approccio, il linguaggio, il modo e l’idea che sottostà a un tipo di operazione l’importante è che poi ne venga fuori qualcosa di vero. Per vero intendo che possa testimoniare qualcosa di autentico e, in quanto tale, universale.

Simonetta Columbu

Presenti all’Isreal anche un corto: L’autobus, girato in parte su un mezzo Ctm. Una storia reale o realistica?
Una storia d’amore, prima di tutto, ed è un qualcosa questa che non ho mai girato prima. Torniamo ancora al discorso che abbia fatto. L'autobus è un corto nato con una sceneggiatura, che poi ha finito in certa misura per diventare un documentario. I due ragazzi protagonisti si innamorano, si crea una simpatia vera mentre recitano.

Il soggetto prevedeva due protagonisti: un ragazzo in motorino che insegue una ragazza, tua figlia Simonetta, che invece è seduta a bordo del bus. E i due si innamorano?
Esatto. C’è una comunicazione tutta fatta di gesti perché mediata dal vetro, finché il ragazzo non sale sull’autobus, succedono alcune cose e alla fine, secondo copione, i due avrebbero dovuto innamorarsi entrambi di terze persone. Ma questo finale ha creato talmente tanta delusione reale tra i due che sembrava che dispiacesse loro.

Quindi hai cambiato in corsa?
Sì, io lì mentre giravo ho pensato che la storia non poteva finire così come era stata scritta. Durante l’ultima sequenza, un lungo piano sequenza dentro l’autobus, senza preavviso ho chiesto a Simonetta di alzarsi, andare verso il ragazzo e la storia ha preso un’altra piega, lì in quel momento. La finzione, l’idea che sta all’origine è sempre suscettibile di trasformarsi e adeguarsi a seconda di quello che succede mentre si realizza.

Un’ultima domanda. Da Nuorese e da sardista, come vedi il futuro di questo nuovo Festival che, già dal nome anglofilo, si allontana dalle precedenti edizioni del cinema etnografico dell’Isre e che non presenta un lavoro sardo in concorso?
L’IsReal deve durare negli anni, deve esistere e deve rimanere a Nuoro per diventare centro del mondo. Nuoro è la capitale di un territorio interessantissimo, popolato da gente che ha una sua identità, diversa dal passato perché in divenire, in quanto si interseca con altre pur con una matrice che resta e che la caratterizza. Una visione restrittiva e catechistica dell’identità è assolutamente sbagliata. Può succedere, poi, che non ci siano sardi in concorso, ma l’importante è che ci siano bei film.

9 aprile 2016

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