Indietro Avanti

Far rinascere la speranza in Africa con il cinema. Questo l’ambizioso progetto di Cine Yagoua:. “portare la scatola magica che accende la speranza in una cittadina al Nord del Cameroun,...

Leggi di più

Domenica 21 Gennaio 2018 ore 17.00 il CineClub Montiferru presenta il Teatro del Seminario, Via Vittorio Emanuele Cuglieri Comune di Cuglieri. Inside Out è la storia di una bambina, Riley...

Leggi di più

Tutto pronto per la seconda edizione del Premio Centottanta, il concorso a premi riservato a film-maker esordienti del territorio sardo. La partecipazione è gratuita e i termini delle domande sono...

Leggi di più

Ancora un mese per presentare i progetti cinematografici al concorso KENZEBOGHES 2017, organizzato dall’associazione Babel in collaborazione con Ejatv, Areavisuale Film e La Società Umanitaria –Cineteca Sarda di Cagliari. La...

Leggi di più

Ricca giornata di appuntamenti, sabato 10 dicembre, all’interno della decima edizione di Creuza de Mà. Si inizia alle 16, al MiniMax del teatro Massimo di Cagliari, con La musica per il...

Leggi di più

Si svolgerà dal 9 al 12 dicembre 2016 nella sala Primo Longobardo, sull’isola de La Maddalena il “secondo atto” del festival La valigia dell’attore, manifestazione intitolata a Gian Maria Volonté.Dopo...

Leggi di più

Ouverture nel segno di Pinuccio Sciola per la XII edizione di Passaggi d'Autore - Intrecci Mediterranei in programma dal 6 all'11 dicembre tra la Sala Consiliare del Comune e il...

Leggi di più

L’accabadora, film di Enrico Pau con Donatella Finocchiaro, Barry Ward, Sara Serraiocco, Carolina Crescentini, è stato selezionato alla XXII edizione del Medfilm Festival nel concorso ufficiale. Il film sarà proiettato...

Leggi di più

Tutti i vincitori dell'ottava edizione della kermesse che guarda il mondo dal sud Sardegna. di C.P. Si conclude l’ottava edizione del Carbonia Film Festival. Soddisfazione da parte degli organizzatori del concorso...

Leggi di più

Si terranno venerdì 23 e sabato 24 settembre, a San Sperate (CA) le anteprime del Cagliari Film Festival.Il 23, in piazza San Giovanni, è in programma la proiezione di Il...

Leggi di più

Percorso

Morte di Pasolini in cinque film

Memorie d'oltrecinema. Gianni Olla ci apre la sua cineteca per riscoprire grandi film che riemergono dal passato.

''La voce di Pasolini''Sono ben cinque le pellicole che, in vent’anni, hanno raccontato, direttamente o indirettamente, la morte di Pasolini. Nell’ordine, Pasolini, un delitto italiano di Marco Tullio Giordana (1995); La voce di Pasolini di Mario Sesti e Matteo Cerami (2005); Pasolini prossimo nostro di Giuseppe Bertolucci (2006); Pasolini di Abel Ferrara (2014); La macchinazione di David Grieco (2016).

Il primo film è una sorta di contro inchiesta giudiziaria che tende a “smontare” la verità ufficiale sulla morte del poeta, scrittore e regista. La tesi, documentata e tuttora valida, almeno  fino a prova contraria, è che Pasolini non fu ucciso da Pino Pelosi, o almeno non solo dal suo compagno di quella notte fatale del primo novembre 1975, ma da una banda di balordi, forse fascisti, che volevano dargli una lezione. Il secondo mette a confronto monologhi, poesie, e interventi polemici dello stesso artista, letti da Toni Servillo, con un quadro realistico e documentario che s’intreccia simbolicamente con l’apocalisse profetizzata da Pasolini. Il collegamento ideale e non programmato con il film di poco successivo, firmato da Giuseppe Bertolucci, è evidente: nel recuperare il materiale fotografico e scenico, compresi molti tagli di montaggio, di Salò (1975), Bertolucci ipotizza, non ingiustamente, che quel film sia stato un testamento “infernale”. L’inferno italiano, benché teatralizzato è, idealmente, lo stesso visualizzato da Sesti e Cerami.

''La voce di Pasolini''Con Abel Ferrara, che si dichiara pasoliniano da sempre (e il cui film Il  cattivo tenente, benché lontano anni luce dalle tecniche di ripresa ma soprattutto dallo stile e dalla forma del regista italiano, è abbastanza vicino al “cristianesimo andato a male” di Pasolini, come lo definiva Orson Welles), entriamo nelle evocazioni poetico-mortuarie vere e proprie. Il film, dal titolo secco,  contemporaneamente denotativo e connotativo, propone una verità poetica analoga a quella di Bertolucci: la sostanza testamentaria della morte dell’artista, confermata paradossalmente non solo dal film postumo, Salò, ma anche dal romanzo, allora  inedito,  Petrolio (l’Italia del malaffare) e dal progetto di una trilogia filmica già definita da Pasolini come “la trilogia della morte” in opposizione  alla “trilogia della vita”: Decameron, I racconti di Canterbury, Il fiore delle mille e una notte.
Il primo film di questa nuova serie aveva già un titolo, Porno-Teo-Kolossal, due interpreti (Ninetto Davoli e Eduardo de Filippo), e una trama, i cui frammenti scenici finali sono reinventati, piuttosto bene, dal regista statunitense.

''Pasolini prossimo nostro''Infine, tralasciando gli omaggi continui e talvolta ambigui alla sua figura – anche nel melodrammatico La luna (1980) di Bernardo Bertolucci – eccoci all’ultimo titolo, almeno in senso temporale: La macchinazione di David Grieco, illuminato da una bella interpretazione di Massimo Ranieri (un Pasolini più autentico del pur bravo ma “straniato” William Dafoe), e ben caratterizzato da un contesto sottoproletario – i pischelli da lui frequentati e amati  – che non ha più alcun rapporto con la “santificazione” inventata dallo stesso poeta e regista, già cancellata, peraltro, da un celebre e osannato film di Ettore Scola, Brutti sporchi e cattivi (1976), che, presuntuosamente, nonostante la mia grande stima per il regista di Trevico, ho sempre trovato brutto. Forse anche quel titolo, che appartiene all’ultima derivazione “truce” della commedia italiana, aperta da I mostri (1963), è un omaggio, sia pure parodistico e offensivo, alla santificazione del sottoproletariato messa in scena da Pasolini, in quegli anni pochissimo amata dall’opinione pubblica di sinistra.

''Pasolini''Prima di proseguire, è obbligatorio dare qualche informazione  sul regista del film più recente, David Grieco. Giornalista dell’Unità, fu sceneggiatore, allievo e collaboratore di Pasolini e Bertolucci; approdò alla regia nel 2004 con Evilenko, storia di un “serial killer” negli anni terminali dell’Unione Sovietica. Ha sempre vantato una conoscenza approfondita della vita di Pasolini e dei misteri legati alla sua morte e, proprio in virtù di questa sua preziosa documentazione, Abel Ferrara si rivolse a lui come consulente. Grieco non fu però soddisfatto del progetto del regista statunitense – soprattutto per quanto riguardava il mistero della sua morte – e decise di procedere per proprio conto, scrivendo e girando La macchinazione, sbrigativamente omaggiato dalla critica come “un film coraggioso”, ma lasciato allo sbando dalla distribuzione, con il poco pubblico di una multisala che, alla fine della proiezione, si guardava attorno alla ricerca di volti conosciuti con i quali esprimere le proprie opinioni e/o le proprie perplessità. Perché, diciamolo subito, La macchinazione è un film a tesi che, alla vecchia contro inchiesta di Marco Tullio Giordana (Pasolini, un delitto italiano), affianca una classica e italianissima teoria complottista: lo scrittore fu la vittima di una congiura architettata dai “poteri forti” della politica e dell’economia italiana (in testa Cefis, presidente della Montedison, dopo essere stato l’erede e forse l’eliminatore di Mattei all’ENI), disturbati dalle sue denunce a viso aperto.

''La macchinazione''Dunque, cinque film per confermare paradossalmente (e probabilmente inconsciamente) la frase di Jean Cocteau: “il cinema è la morte al lavoro”. Ovvero, la ricostruzione fulminea, attraverso il montaggio, della vita di una persona, assomiglia a ciò che si dice avvenga in coloro che stanno per morire: l’istantaneo ricordo dell’intera vita. Anche Pasolini usava spesso questo concetto, interamente poetico, e forse, per citare Lino Miccichè, la cosiddetta “trilogia della vita” è già una trilogia della morte, confermata poi da Salò.
Di certo, sia che si segua la traccia del sacrificio volontario del poeta, inteso a simbolizzare la propria morte come testimonianza dell’abisso infernale della modernità, italiana e non;, sia che si accolga la tesi di Grieco sulla “macchinazione”, resta evidente che, a partire dalla sua morte, Pasolini è diventato il simbolo di un’Italia degradata che le sue opere, le sue inventive, le sue prese di posizioni pubbliche, tra tv e giornali, profetizzavano incessantemente. Non a caso, le prime “revisioni” e ricostruzioni del suo percorso intellettuale, nonché del mistero della morte, avvengono nel 1995 e, di decennio in decennio, ad ogni anniversario, aumenta e si allarga la discussione e la testimonianza sugli anni pasoliniani. Come si vedrà, affrontare la discussione sul Pasolini saggista nelle temperie degli “anni di piombo” e del compromesso storico, sarebbe stato impossibile.

''La macchinazione''Morte e testimonianza finale hanno, però, di fatto, impedito di scrivere una credibile biografia di Pasolini, tuttora inedita. O meglio, nessuno ha osato buttarsi a capofitto in una vita non lunghissima – 52 anni – ma stracarica di eventi, di idee, di scritti, di entusiasmi e depressioni, e soprattutto di partecipazioni a tutte le tappe dell’evoluzione o dell’involuzione della società italiana o tout court occidentale. Per dirla tutta, chi volesse affrontare la contraddittoria e quasi spiazzante biografia di quest’artista unico, certo tra i più grandi dell’intero Novecento, si troverebbe nella stessa situazione, ribaltata di segno politico, di un biografo di Louis Ferdinand Céline. Al francese, che non ebbe una lunga bibliografia come Pasolini, ma sicuramente fu non solo uno scrittore ma un polemista e un intellettuale,  si attribuisce, per un solo romanzo, Viaggio al termine della notte  (1932), una sorta di profezia negativa, anzi apocalittica, sull’umanità che aveva già affrontato una terribile guerra ed era purtroppo pronta a altri massacri. Ma quel romanzo, giustamente considerato tra i maggiori testi del Novecento e sempre più popolare nella nostra epoca in cui ha ormai trionfato definitivamente la società di massa spersonalizzante descritta dallo scrittore francese, è stato scritto da un uomo che non ha esitato, proprio a causa del suo disprezzo estremo della gente comune, ovvero della massa, a schierarsi con i nazisti, ad essere coscientemente antisemita in nome di un’identità pura, e a scappare, dopo lo sbarco in Normandia, nella Germania non ancora occupata dagli alleati, assieme ai funzionari del governo di Vichy – che appunto rastrellavano gli ebrei da “regalare” ai nazisti – continuando, come scrive Claudio Magris in Danubio, a nutrirsi del disprezzo, volgarmente nietzschiano, per la gente comune.

Pasolini votava comunista e appariva, citando di nuovo Orson Welles, un “cristiano andato a male”; era ossessionato dalla manifesta criminalità del potere politico e economico italiano e  sognava un processo pubblico contro la Democrazia cristiana (che purtroppo ci fu: la vittima fu Aldo Moro), colpevole di stragismo; santificava il sottoproletariato e i popoli del Terzo Mondo, prevedendo però una loro omologazione ai valori e al sistema di vita occidentale; si schierava con i poliziotti meridionali che affrontavano, nelle piazze del Sessantotto, gli studenti borghesi. Insomma è stato anch’egli l’emblema di un paradosso della modernità che oggi piace tantissimo alla sinistra, almeno a parole.

''La macchinazione''Ecco, se si escludono le pellicole di Giordana, Bertolucci e Ferrara (opere poetiche e non politiche), le altre due, e soprattutto l’ultima, La macchinazione, hanno il grave difetto di “immaginare” un’ Italia a misura pasoliniana che, nella realtà, non c’è mai stata, almeno fino al nuovo secolo, quando i delusi del progresso e del comunismo hanno cominciato a schierarsi con l’Italia delle lucciole – anche questo è un termine pasoliniano – ovvero con la poesia di un mondo senza modernità disturbante e inquinante.
Eppure, quando Pasolini fu ucciso quest’Italia, sul piano dell’immaginario collettivo, non esisteva affatto e il difetto principale del film di Grieco è proprio l’aver raccontato un paese e una nazione attraverso un “senno di poi” molto discutibile sul piano storico se non totalmente inattendibile. Si deve ricordare che Pasolini, uomo pubblico e già rilevante presenza mediatica, anche nella vetero televisione composta di due soli canali pubblici, ovvero governativi – non è mai stato un uomo simpatico e soprattutto accettato dall’opinione pubblica. La sua dichiarata omosessualità, in un periodo in cui il termine gay non esisteva nella lingua italiana, ma invece c’erano tutte le definizioni vernacolari e quasi sempre offensive dello stesso concetto, era considerata scandalosa – proprio perché esibita –  a destra, al centro, ed anche a sinistra. Ed anzi, in quest’ultimo schieramento, segnato dal decoro borghese di Togliatti e poi quasi democristiano di Berlinguer, Pasolini e le sue appartenenze culturali e sociali non potevano far presa.

Proprio le note frequentazioni con i “pischelli” delle periferie romane, di cui si conoscevano le dipendenze clientelari dalla destra estrema, lo rendevano un personaggio da evitare. E ancora, era difficile accettare il suo aperto disprezzo, se non odio, non già per la cultura di massa, ma per l’alfabetismo di massa. La sua dichiarata passione, proclamata appunto in tv, per coloro che “non avevano frequentato la scuola oltre la quarta elementare”, puri di cuore e pronti ad accogliere i messaggi del poeta colto e illustre, era considerata quanto meno pietistico-razzista. Per inciso, quando scoppiò il caso Gavino Ledda, molti intellettuali sardi, ormai integrati negli apparati di potere regionale e accademico, provenienti dalla stessa area e cultura dello scrittore di Siligo, lo accusarono di aver tradito le proprie radici e di aver sposato una cultura antidentitaria. Insomma, anche loro preferivano, dopo aver scalato, grazie alle fatiche dei padri, l’ascensore sociale, avere a che fare con una popolazione che avesse a malapena la quarta elementare.

''La macchinazione''Quest’atteggiamento, tipico della modernità contemporanea – velocissima e spiazzante – è stato al centro di continue discussioni in ambito intellettuale (tutti ricordano il saggio di Eco Apocalittici e integrati, pubblicato nel 1964), a partire proprio dalla scolarizzazione di massa e dall’importanza comunicativa della televisione. E oggi, in presenza di un neo analfabetismo di massa trasfuso nei “social media” (di nuovo Eco, poco prima della sua scomparsa, è stato tra i pochi che hanno affrontato il problema di una nuova scissione tra gli apocalittici e gli integrati), si potrebbe persino rimpiangere non già l’identità povera e “ignorante” (nel senso letterale del termine) di Pasolini, ma piuttosto l’orgoglio di tutti coloro – e delle loro famiglie – che affrontavano la scuola consapevoli che il sapere li avrebbe arricchiti di esperienza e li avrebbe resi più capaci di affrontare il mondo.  Ricostruendo anche questo aspetto, David Grieco, sembra essersi proposto un’oggettività encomiabile, anche in quel curioso siparietto, ambientato proprio nella pizzeria in cui Pasolini accompagna Pelosi prima della sua morte, dove un ragazzo visibilmente handicappato sul piano del linguaggio, dimostra di ammirarlo come poeta ma lo rimprovera aspramente per le sue posizioni sulla scuola e il sapere. Forse la scena è inventata, forse è stata trapiantata “drammaturgicamente” da un fatto reale, per costruire una sorta di senso di colpa dell’artista alle prese con i risultati delle sue invettiva contro la modernità. Però funziona.

Al contrario, manca totalmente, nello stesso film, proprio la solitudine intellettuale di Pasolini, in quel fatale 1975 e, diciamolo pure, anche prima, a partire almeno dal 1973, quando iniziò a pubblicare, su invito del direttore Piero Ottone, i suoi celebri interventi sul maggiore quotidiano italiano, Il Corriere della sera, poi raccolti in volume da Garzanti con il titolo, azzeccatissimo, di Scritti corsari. Considerato che il Corriere era identificato, non a torto, come il giornale della borghesia italiana, ovvero della sua parte più attiva e più potente – uno stato nello stato, da cui emerse anche il solito e italianissimo  “genio del male” Eugenio Cefis – questa scelta non fu molto gradita né a destra né a sinistra, e nemmeno al centro, visto che fu dalle colonne del quotidiano che Pasolini scrisse l’invettiva contro il palazzo, luogo kafkiano incarnato della DC ma soprattutto terminale ideativo e organizzativo delle stragi e degli scandali finanziari che si susseguirono a partire dalla bomba di Piazza Fontana del dicembre 1969. 

''La macchinazione''Era certo diretto anche a Pasolini (e indirettamente al giornale milanese), l’intervento infuocato che Aldo Moro – normalmente un personaggio che tendeva all’”understatement” –  pronunciò nel 1977 alla Camera dei deputati in difesa del suo partito, e del ministro Gui, messi sotto accusa per lo scandalo Lockheed. Il senso di quell’intervento è sintetizzabile in una sola frase: “La Democrazia cristiana non si farà processare nelle piazze”. Un anno dopo, Morto fu rapito e ucciso dalle BR.
Infine, nel gennaio del 1975, dunque non molti mesi prima della sua uccisione, Pasolini scrisse un durissimo intervento contro le proposte di legge sull’aborto che cominciavano ad essere presentate in parlamento e discusse sulla stampa, nonché sostenute da una parte battagliera dell’opinione pubblica – che si sarebbe dimostrata maggioritaria sia in parlamento che nel paese – guidata dal Partito Radicale e sostenuta dai primi movimenti femministi. Pasolini giustificava la sua posizione oltranzista sia – in maniera piuttosto pretestuosa – con la negazione dello stesso diritto ad un amore libero degli omosessuali, sia identificando nel sesso totalmente liberato, grazie all’aborto, una delle forme “fasciste” del consumismo contemporaneo. Ribadiva così il suo disprezzo, quasi religioso, nei confronti della modernità. Ma, automaticamente, questa presa di posizione, criticata aspramente quando non violentemente  nelle manifestazioni di piazza, lo isolava definitivamente dall’opinione pubblica di sinistra.

Tutto questo non c’è in nessuno dei film che raccontano la morte del poeta, ed è legittimo che non ci sia, visto che non si può fare la critica delle “assenze”, ovvero di ciò che un regista o uno sceneggiatore non ha filmato. Ma pure ciò che invece ha filmato David Grieco è criticabile  per le numerose imprecisioni storiche o per le esagerazioni complottiste che fanno pensare ad uno di quei film americani degli anni Settanta, piuttosto belli e soprattutto paradigmatici del senso di spaesamento dell’opinione pubblica di fronte ai misteri del potere: I tre giorni del Condor, Perché un assassinio, Azione esecutiva. Una forma romanzesca e filmica, peraltro, imitata, a nostri giorni, dalle serie filmiche e televisive dedicate alla Banda della Magliana e ad altre forme di criminalità organizzata nazionale.
Cominciamo dalle omissioni. La contrapposizione tra fascisti e comunisti, certamente reale e evidenziata in una delle tante sfide di piazza – anche a colpi di molotov – è generica e fuorviante sul piano storico e politico.

''La voce di Pasolini''Nel 1975 si era totalmente consumata, a sinistra, la diaspora tra il Partito Comunista – l’unico a cui si poteva attribuire una definizione, comunista, compresa e accettata dalla stragrande maggioranza dell’opinione pubblica nazionale – e i gruppi della sinistra extra parlamentare, già in via di dissoluzione o, in tanti casi, orientati, almeno a livello di militanza individuale, verso la lotta armata. Il Partito comunista aveva trionfato alle elezioni nazionali e tallonava la Democrazia cristiana sul piano delle percentuali elettorali. Enrico Berlinguer, che nel 1973, dopo il golpe del generale Pinochet, in Cile, contro il governo socialista di Allende, aveva teorizzato e tentato di praticare la strategia del compromesso storico con la Democrazia Cristiana, poteva dichiarare trionfalmente che un italiano su tre era comunista e non si poteva fare a meno di considerare i comunisti come legittimati a governare. Questi annunci giornalisti ci sono anche in La macchinazione, ma successivamente, presentare il contrasto – armato – tra comunisti e fascisti senza ulteriori spiegazioni significa identificare nel PCI una sorta di centrale eversiva nascosta dalle apparenze  democratiche e iper istituzionali del suo leader. In tal modo, la macchinazione contro Pasolini include anche il Partito Comunista.

Invece la realtà storica è più semplice anche se più allarmante: gli scontri di piazza, gli attentati, le uccisioni, furono un terreno di scontro tra gli estremisti armati delle frange di estrema destra e di estrema sinistra. Le seconde si erano ormai trasformate, almeno a livello di riconoscimento  simbolico, nel Partito Armato. Le prime erano legate in parte al Movimento Sociale Italiano (o alle sue frange “non riconciliate”), in parte ai servizi segreti che se ne servivano come agenti clandestini per molte manovre anti democratiche e spesso provocatorie.

''Pasolini, un delitto italiano''Da queste circostanze, attive a destra e a sinistra fino alla fine del decennio, nasce anche “la macchinazione” del titolo. Sul piano drammaturgico si sfiora il ridicolo, con quel vai e vieni di alti politici e funzionari ai quali viene regalata la cocaina in occasione di cerimonie nuziali, e che compaiono come mandanti oscuri dell’assassinio di Pasolini, nascondendo altri mandanti più potenti e innominabili. Appunto, di nuovo, ma storicamente in anticipo, la Banda della Magliana, a cui è ormai facile attribuire ogni delitto politico e ogni trama segreta nei palazzi del potere. Sul piano storico la macchinazione è invece ridicola: se si dà retta a Grieco, il grande vecchio da cui origina il complotto fu Eugenio Cefis, già chiacchierato come mandante secondario della morte del presidente dell’Eni, Enrico Mattei (e, in questo caso, c’è già un film, e piuttosto bello a raccontarci quella vicenda che anticipa molti misteri italiani, Il caso Mattei di Rosi, girato nel 1972), e poi presidente dello stesso ente petrolifero e quindi della Montedison, crocevia dei grandi affari nazionali. Ma se questo fosse vero, il complotto avrebbe avuto come scopo l’uccisione di un semplice poeta e polemista, pochissimo popolare, a prescindere dai suoi interventi nel quotidiano milanese, per colpire il comunismo che si avvicina al potere. Forse questo accadde non nel 1975, ma tre anni dopo, con il sequestro e l’uccisione di Moro che, oggettivamente, affondò il compromesso storico e mise alle strette il Partito Comunista, in calo continuo di consensi, rispetto al 1975. E dunque, poiché per questo delitto sono stati da tempo identificati, giudicati e condannati, molti esponenti delle Brigate Rosse, si potrebbe persino pensare che anche la morte di Pasolini sia attribuibile a un connubio blasfemo tra estremismi di destra e di sinistra. Troppo, anche per un film di spionaggio o poliziesco.

Concludiamo. Se ancora non esiste una biografia di Pasolini, esistono però le sue opere, non solo quelle “corsare”, ma anche quelle poetiche, letterarie, saggistico-teoriche (queste ultime sempre più rivalutate in rapporto agli studi sul cinema), filmiche. La biografia di Pasolini, per adesso, sta lì, in un corpus inestimabile di arte e poesia autentica e l’unico grido di dolore autentico, che prescinde dalle circostanze della sua morte, fu quello dell’amico Alberto Moravia che sottolineò la barbarie dell’uccisione di un poeta, una ricchezza inestimabile di ogni cultura e civiltà umana, un essere raro che si palesa solo dopo molte generazioni. Accontentiamoci finalmente di avere in cura questi immensi tesori artistici che ci ha lasciato la contraddittoria personalità umana di Pier Paolo Pasolini.

18 maggio 2016

 

 

Powered by CoalaWeb

Accesso utenti e associazioni