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Percorso

''L'uomo che vide l'infinito'' di Matthew Brown

Il consiglio di Elisabetta Randaccio

''L'uomo che vide l'infinito''La scienza e lo scienziato al cinema sono stati raccontati numerose volte, ma  quasi mai con originalità o, per lo meno, con accortezza. Due eccezioni provengono dal nostro cinema: il lontano, rigoroso, sperimentale "Non ho tempo" di Ansano Giannarelli, scritto anche da Edoardo Sanguineti, sul matematico francese Evariste Galois e il piú recente, affascinante "Morte di un matematico napoletano", in cui il regista Mario Martone, senza cadere nella illustrazione stereotipata di genio e sregolatezza, narra l'ultima parte della vita, conclusasi con un suicidio, di Renato Cacciopoli, geniale studioso, tormentato psichicamente.

Se, poi, andiamo ad analizzare i prodotti hollywoodiani, notiamo come raccontare per immagini uno scienziato, in particolare un matematico (la cui materia di lavoro mette archetipicamente un sostrato di ansia ai non adepti), sia svolgere la caratterizzazione classica, in cui si inserisce, come accade per le vite di poeti o romanzieri, l'elemento dell' "ispirazione".

''L'uomo che vide l'infinito''Lo scienziato ha sempre dei momenti di assurda intuizione improvvisa, in genere seguiti da una scena in cui corre per il prato dell'università dove opera con fogli in mano e viso raggiante... Da considerare positivamente, comunque, è lo sforzo di costruire un film su figure, sulla carta, non destinate ai grandi successi commerciali, spesso misconosciute dagli spettatori cinematografici. Dunque, nel genere così amato e percorso del biopic, tutto sommato, è importante prestare attenzione anche agli scienziati. Recentemente, poi, sono stati prodotti, in questo senso, anche film che hanno avuto una buona accoglienza commerciale (accentuata da candidature o premi Oscar) come "La teoria del tutto" di James Marsh su Stephen Hawking e "The imitation game" di Morten Tydlum sul grande Alan Turing.

''L'uomo che vide l'infinito''Anche "L'uomo che vide l'infinito" di Matthew Brown non si discosta dalle sceneggiature ricche di stereotipi, ingenuità, banalità varie dei suoi "gemelli" di genere, ma ha alcuni motivi di interesse per consigliarne la visione. Intanto, per aver scelto come protagonista uno straordinario matematico, rivoluzionario nei suoi metodi e nelle sue scoperte a lunga gittata (i suoi calcoli sono utilizzati anche ai nostri giorni, per esempio, per alcuni raffinati studi astronomici), Srinivasa Ramanujan, nato a Madras, in India, quando ancora era colonia inglese, nel 1887 e morto prematuramente nel 1920. In realtá, la sua vita, analizzata in un libro di Robert Kaigal a cui il film si ispira, ha dei punti oscuri, biograficamente e ideologicamente, che il lungometraggio di Brown, però, non approfondisce. Sicuramente è stata un'esistenza, per l'epoca, abbastanza straordinaria.

''L'uomo che vide l'infinito''Infatti, Ramanujan, genio precoce, che non seguì un corso di studi regolare, neppure si laureò, riuscì, in maniera quasi casuale, a essere preso in considerazione dal prof. Hardy, docente del "Trinity College" a Cambridge, il quale intuì, da una lettera corredata da studi sui numeri primi, la grandezza del ragazzo indiano, invitandolo a raggiungerlo in Europa. Ramanujan lascia la giovane moglie (nel film è una ragazza, nella realtá era poco più di una bambina) e affronta, nell'Universitá inglese, anni, nello stesso tempo, di soddisfazioni e di amarezze. D'altronde, essere ammesso, nel primo decennio del Novecento, in un'istituzione elitaria e fortemente nazionalistica come Cambridge per un ragazzo indiano, seppure geniale, avrebbe suscitato invidie, rifiuti anche di stampo razzistico, cinismo e ironie.

''L'uomo che vide l'infinito''Certo, al "Trinity" lavorava il pacifista e tollerante Bertand Russell (nel film viene mostrato nelle sua veste coraggiosa di intellettuale eclettico, indipendente, ideologicamente contrario alla prima guerra mondiale e perciò espulso dalla docenza al College) e che il mentore prof. Hardy supportò Ramanujan nella sua permanenza inglese, ma il giovane scienzato dovette dimostrare continuamente il suo valore per essere accettato dai professori e dagli allievi, fino a diventare membro della "Royal Society", massimo riconoscimento per uno studioso in Gran Bretagna. Siamo, come si é detto, nel periodo del primo conflitto mondiale, e tutto si fa complicato, compresa l'alimentazione vegetariana e la salute cagionevole del giovane, che ritornerá al suo paese per morire precocemente a trentadue anni. Ribadiamo che oltre l'interesse per la storia, subendo momenti stucchevoli di sceneggiatura e di struttura, ampliati da una colonna sonora insopportabile, c'é un'altra ragione per andare a vedere "L'uomo che vide l'infinito": la bella e misurata prova di Jeremy Irons nel ruolo di Hardy.

''L'uomo che vide l'infinito''L'attore, come si sa, è dotato di un carisma straordinario, anche quando è silenzioso e fuma la pipa; dà lezioni di recitazione ai suoi colleghi, lasciando intendere una personalità complessa, a cui la sceneggiatura accenna frettolosamente, ma sono gli occhi e gli sguardi di Irons che ci parlano di sentimenti sottesi in un uomo solitario, il quale afferma di essersi sposato con la matematica e che l'incontro di studi con Ramanujan sia stata l'unica situazione 'romantica' della sua vita. L'attore ravviva la seconda parte di "L'uomo che vide l'infinito", proprio perchè questa sezione del lungometraggio è focalizzata sulla figura di Hardy, dando forza a un film, fino a quel momento, statico. Vale il prezzo del biglietto la sua interpretazione, mentre il protagonista, Dev Patel, apprezzato in "The millionaire" di Danny Boyle, mostra i difetti di un attore superficiale con una tipica performance "americana", caratterizzata da forzati naturalismi e eccessi di sentimentalismo. Da apprezzare, inoltre, la bella scenografia della nostra Luciana Arrighi.

23 giugno 2016

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