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Percorso

''A morte i padri'', il '68 di Gianni Olla

L'ultimo libro del giornalista e critico racconta attraverso il cinema gli anni dopo cui nulla fu uguale a prima. di Elisabetta Randaccio

''A morte i padri'' di Gianni OllaL'appuntamento per le eventuali celebrazioni ricorre nel 2018, quando conteremo ben 50 anni dal 1968, un anno decisivo per la storia di buona parte delle nazioni del mondo. Da quella fatale data niente è stato più come prima. I cambiamenti di costume sono stati epocali, le discussioni e le lotte per l'affermazione dei diritti umani hanno portato a una responsabilità collettiva da cui, almeno teoricamente, non si tornerà indietro.

Il percorso di crescita sociale tra pur mille contraddizioni e ostacoli, andrà avanti, in Italia, in qualche modo, almeno per dieci anni, fino a un'altra svolta, meno trionfalistica e di ripiegamento, che coinciderà, da un parte con il caso Moro, lo sviluppo del terrorismo e la sua breve e drammatica parabola, dall'altra con il momento di espansione senza freni del capitalismo rampante, prodromo per la vertiginosa caduta dei nostri giorni.

A raccontarci quanto gli anni tra il sessantotto e il settantasei incisero in maniera straordinaria nei mutamenti culturali e, dunque, anche nella storia del cinema, ci riesce Gianni Olla, critico cinematografico raffinato e rigoroso, nel suo ultimo libro "A morte i padri" per le edizioni CUEC, presentato nei giorni scorsi a Cagliari, alla Cineteca Sarda, incontro affollato che ha visto intervenire sul testo il sociologo Alessandro Mongili, il giornalista Sergio Naitza, coordinati dal direttore della Cineteca Antonello Zanda. È stata una serata di sicuro interesse, perché poco autoreferenziale, data la partecipazione del pubblico, che ha interloquito con i conferenzieri, dimostrando come sul tema ci sia ancora tanto da riflettere, ragionare, discutere. A questo proposito Mongili ha messo in evidenza una rimozione della politica italiana nei confronti del periodo analizzato, seppur filmicamente, da Olla, atteggiamento che "ci protegge e ci nuoce."

''A morte i padri''. L'incontroEppure i cambiamenti furono tanti, anche dal punto di vista estetico e, probabilmente, ci sarebbe "la necessità di riconnetterci a quegli anni", i quali, all'estero soprattutto, hanno portato, nel tempo, al trasformarsi della controcultura in quella cyber, per esempio, o al progresso del femminismo.
Il testo di Olla, che nasce anche da riflessioni e suggestioni presenti in altri scritti sul tema composti dall'autore in passato, si divide fondamentalmente in due parti. La prima analizza le inferenze tra "la mutazione antropologica" della società e il fenomeno cinema, inteso sia nel suo livello artistico sia in quello industriale con conseguenze importanti nella sua fruizione. Il pubblico, infatti, è diverso, ha esigenze contenutistiche e formali ben precise e, peraltro, a queste si adatterà ben presto l'industria cinematografica, che, come qualsiasi azienda tendente al profitto, accontenta chi spende, ma ha tutte le armi per ridurre in polpette seriali e massificanti qualunque rivoluzione culturale. Olla, in questa analisi, parte solo apparentemente da lontano, dai "ribelli senza causa" della beat generation, dagli anni cinquanta, negli USA dunque, seguendo una riflessione sul tema già evidenziata, in altri contesti, da Fernanda Pivano.

Da quei miti, da tali esperienze si espande, negli anni sessanta, quella che Gianni Olla definisce la "prima avanguardia di massa". La contestazione cinematografica percorre un lungo cammino, in nazioni tra le più diverse per storia e cultura, il cui primo obiettivo è smantellare il cinema dei padri (nei tardi anni cinquanta, non a caso, la nouvelle vague si schierava contro il "cinema de papa".) I fermenti della New Hollywood, il cinema politico in Italia, ne sono un esempio. Nuovi contenuti sembrano essere la forza di questo movimento trasversale, specialmente quando racconta le nuove generazioni e le donne, tutti con le inquietudini, la rabbia, le esigenze utopiche e rivoluzionarie del momento. La seconda parte è dedicata alle schede di settantatre film "prima e dopo il sessantotto", corredati da dati tecnici e antologia critica, in maniera tale da ricostruire un immaginario cinematografico preciso, seppur variegato. Si parte da "La vita agra" di Carlo Lizzani, apparentemente fuori cronotopo perché girato nel 1964, ma già ricco di inquietudini e persino di profetici ritorni alla normalità (grazie pure al bel libro di Luciano Bianciardi dal quale prende spunto) fino a "Todo modo" (1976) di Elio Petri, anch'esso ispirato a un testo letterario (di Leonardo Sciascia) che, usando l'arma del grottesco, denuncia il lato oscuro della classe politica democristiana. Questo lungometraggio è esemplare, perché venne ritirato in fretta dopo il rapimento Moro (nel film, il protagonista Gian Maria Volontè si era ispirato, soprattutto fisicamente, al leader della DC) diventando, poi, praticamente invisibile e assurgendo a icona di un mondo cinematografico che si offuscherà irrimediabilmente nei decenni successivi.

''A morte i padri''. L'incontroDurante la presentazione del libro, Sergio Naitza ha sottolineato come, persino nella componente di "genere" del cinema di quel periodo, si percepiscano fortemente le caratteristiche innovative e di contestazione dell'epoca, citando come esempio limite il "Don Chisciotte" (regia di Giovanni Grimaldi, 1968, in parte girato in Sardegna) interpretato da Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, dove possiamo vedere un scena in cui viene decretato "tutto il potere al popolo". Allo stesso modo esistono filoni del cinema cosiddetto di genere in cui viene continuamente in superficie quel particolare momento storico. In "A morte i padri" viene messo in evidenza, in questo senso, il western, che sembra essere la metafora migliore per mostrare una comunità divisa spietatamente in classi con un precario confine tra il bene e il male, il buono e il cattivo, universo pronto a ribellioni e ribaltamenti sociali più o meno vincenti. Si vedano, a questo proposito, i film ambientati durante la rivoluzione messicana, sceneggiati pure da scrittori impegnati, concentrati soprattutto su prodotti autoriali, come il nostro Franco Solinas o persino il cantautore e etnomusicologo Ivan Della Mea. Insieme i due collaborarono al mitico "Tepepa" (regia di Giulio Petroni, 1968) vera summa del western all'italiana, del ribellismo anticapitalista e dell'ironia, comunque essenziale per l'arte del periodo, declinando in qualche modo la convinzione assoluta dell'"immaginazione al potere". Ma pure nei film con spunti erotici, il sessantotto e le sue inquietudini fanno da sfondo con storie sentimental-sessuali complesse, spesso determinanti per l'evoluzione dei giovani protagonisti ribelli.

Semmai, specialmente nel cinema italiano, il nascente femminismo e il ritratto femminile complesso e non superficiale lascia abbastanza desiderare, mentre iniziano a farsi strada le donne registe, figure allora poco numerose in un industria dominata dall'elemento maschile.
Da non trascurare nella lettura di "A morte i padri" le ultime pagine, in cui possiamo sfogliare l'album delle "30 inquadrature filmiche" che ritraggono l'essenza del sessantotto. La prima ci mostra la famosa veglia funebre alla madre dei "Pugni in tasca" (1965), opera prima di Marco Bellocchio, dove il giovane protagonista, interpretato da Lou Castel, si fa beffe della mamma distesa sulla bara (peraltro da lui uccisa) e anche nell'ultima foto del libro notiamo una smorfia tra il riso e il fastidio di Gian Maria Volontè in un fotogramma de "La classe operaia va in Paradiso" (1971) di Elio Petri, ad omaggiare un attore simbolo e icona di un cinema che aspirava ad essere parte pulsante dei cambiamenti sociali e di una estetica rinnovata a cui, comunque, chi lavorerà nel futuro per il grande schermo dovrà inevitabilmente tenere conto.

12 aprile 2017

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