Percorso

Conversazione con Giovanni Columbu: il regista racconta la sua esperienza di trasposizione

Nel momento in cui mi sono interessato alla trasposizione del romanzo di Maria Giacobbe, mi sono convinto di dover svolgere a fondo un’opera di traduzione e riscrittura che è necessaria nel momento in cui si passa da un medium ad un altro.
Ho deciso di curare un soggetto tratto da un’opera letteraria principalmente perché il libro mi è piaciuto e mi ha suggerito delle immagini, che spesso non sono esattamente quelle dell’autore del libro.
Di solito un libro stimola la nostra capacità di immaginare, poiché ci permette di creare nella nostra mente delle immagini riferite alla parola scritta. Ma anche il film dovrebbe restare aperto a dei completamenti.
Teniamo conto di due diversi indirizzi del far cinema che danno luogo a diversi modi di dar corso alla drammaturgia: mostrare e stimolare.
Quando la via è quella della mostrazione possiamo esprimere con le immagini e i suoni (musiche o rumori) il culmine di una storia, come per esempio, un omicidio; quando vogliamo invece stimolare possiamo applicare degli effetti di svuotamento sia per l’audio (silenzi, assenza di suoni), che per le immagini (piani medi o lunghi, piani d’ascolto o addirittura fuori campo). In tal caso la musica cessa e lascia solo lo spettatore dandogli la possibilità di sentire il proprio cuore; il piano medio lascia tempo all’immaginazione Così il cinema può mostrare o lasciare spazio all’immaginazione senza mostrare.
Personalmente sono interessato di più a questo secondo tipo di drammaturgia, poiché l’opera in questo caso appartiene al pubblico e continua a vivere al di là dell’autore.
Il concetto di fedeltà non può esplicarsi in maniera diretta poiché sarebbe un tradimento. Esso deve mostrarsi per ellisse, tenendo conto di nuovi mezzi, di nuovi spazi.
Ho ricevuto da parte dell’autrice la concessione di “patto di infedeltà” grazie al quale ho potuto, passando attraverso tante reinvenzioni, tornare all’aderenza del libro.
All’interno del film c’è un cambiamento molto forte che temevo che l’autrice non avrebbe gradito: la scelta di far vendicare l’uccisione del bambino dalla madre e non dal figlio, come avviene invece nel libro.
Quando all’autrice, dopo aver visto il film, è stato chiesto che cosa ne pensasse di questo cambiamento, ha risposto di non essersene accorta poiché il film mostra la madre come responsabile dell’atto di vendetta, ma anche il libro, in fondo, la descrive come vero responsabile morale.
Per mantenere fedeltà rispetto al significato vero della storia bisogna essere liberi; per cui vedo la fedeltà più come coerenza. In relazione a questo discorso ricordiamo che spesso un film deve dire per forza qualcosa che nel libro non c’è o occultare qualcosa che nel libro c’è. Un esempio calzante è quello dell’opera letteraria Moby Dick di Melville che nella propria narrazione racconta che al protagonista manca una gamba, senza mai specificare qual delle due essa sia; nella trasposizione cinematografica è stata indispensabile una scelta per coerenza con la realtà interna del film.
Ci sono delle storie scritte che sono già complete, come per esempio l’Iliade e l’Odissea: in questo caso è inutile andare contro ciò che è già scritto, ma bisogna limitarsi a completare. Allora mostreremo Polifemo gigantesco,come è descritto nell’Odissea, avendo la libertà di determinare quanto gigantesco egli debba apparire nel nostro film.
Anche la scelta degli attori richiede un’opera di traduzione: ci troviamo di fronte a due figure, quella dell’interprete e quella del personaggio: una volta scelto l’interprete, gli si adatta il personaggio per rendere il tutto più credibile.
Pensiamo ad una metafora: il copione come scrittura di una storia che è accaduta o deve accadere e che indica il tracciato di un destino; io adatto questa storia al mio villaggio, alla mia città. La storia si realizza secondo questa trasposizione, l’interpretazione poi ci permette di ricollocare i vari elementi della narrazione, mantenendo le battute e gli snodi cruciali.


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