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Vinti, ma non convinti. Francesco Masala capotribù nuragico

di Elisabetta Randaccio

Marco Gallus"Vinti, ma non convinti. Francesco Masala capotribù nuragico", in proiezione al cinema "Odissea" di Cagliari il 15 maggio alla 21,30 con ingresso gratuito, è un documentario di ottima qualità e di grande interesse culturale firmato da Marco Gallus, scaturito da un percorso di approfondimento sulla figura di uno dei più importanti intellettuali sardi del Novecento, prodotto dall'Associazione Culturale "Cicitu Masala".

Il ritratto tracciato da Gallus con abilità ci mostra un uomo, per chi non lo conosce, nella nostra quotidianità di cultura superficiale e distratta, o per chi non ricorda le suo opere e le sue parole, colto, coerente, sicuro delle proprie opinioni, disposto a rinunciare, a essere, per certi versi emarginato, pur di mantenere la libertà di un pensiero non omologato e controcorrente. La sua voce, nei vari brani di interviste proposti dal regista nel film utilizzando adeguatamente le fonti iconografiche, visive e sonore, si appassiona a ricordare alcuni episodi fondamentali della sua vita, ma sono presenti pure le testimonianze di amici, conoscenti e attori i quali, oltre a aiutare a tracciare il suo ritratto umano e professionale, leggono belle pagine dai suoi testi, tra i contributi letterari maggiormente incisivi e di qualità scritti da un autore sardo.

Francesco Masala la sua "weltanschauung" la costruì negli anni della seconda guerra mondiale, quando partecipò alla campagna di Russia, nella macelleria annunciata di un conflitto, che era, per l'Italia, già in sfacelo. Gli orrori della ritirata tra la neve e la fame li visse drammaticamente e, ritornando a casa ferito, persino medagliato, aveva ben maturato su chi fossero le vittime eterne delle guerre: quei diseredati che, in certi casi, non avevano capito neppure per quale ragione fossero andati a combattere. A seguito della tragica esperienza bellica, una nuova coscienza ideologicamente compiuta si forma in Masala, mentre i ricordi di quei giorni diventeranno un libro fondamentale, non esclusivamente patrimonio della letteratura isolana: "Quelli dalle labbra bianche" (1962). In questo capolavoro troviamo, centrale nella narrazione, il paese di Arasolè, certamente evocazione della cittadina natia Nughedu San Nicolò ("Nughedu, però, era troppo lungo, così nacque Arasolè"), ma, nel corso degli anni e in altre opere, prenderà la specie di un esemplare mondo sardo, dove si delineranno le contraddizioni economiche e sociali tipiche della nostra isola dal secondo dopoguerra in poi. Infatti, lo scrittore, analizzando tali condizioni, è simile, come hanno detto altri, per alcuni versi, a certo pensiero pasoliniano; coglie subito, fuori dal coro di chi spera e supporta l'industrializzazione sarda come un veicolo di arricchimento, di progresso, di emancipazione, l'inizio di una mutazione antropologica la quale, affossando l'anima agro pastorale isolana, produrrà deleterie illusioni e sarà prodromo di rinnovate miserie economiche e di distruzione dell'ambiente e della cultura tradizionale.

Francesco MasalaNel documentario viene raccontato come Masala, che viveva del suo stipendio di insegnante alle scuole superiori e di articoli in varie riviste, appena l'imprenditore Rovelli si compra i due più importanti giornali sardi, si dimette da collaboratore di questi ultimi, un segno di ribellione ad un altro invasore, rivolta simbolica non seguita da altri, i quali continueranno a fare "i cani da piatto". Come Pasolini, individua nella catena capitalistica legata alla produzione petrolchimica la scelta ottimale per arricchire velocemente e spudoratamente i potenti, che ne ometteranno le conseguenze devastanti economiche, sociali, ambientali. Scriveva a questo proposito: "La società industriale è di per se stessa fonte di violenza, sopraffazione, alienazione, disumanità, all'inquinamento ecologico fa riscontro quello delle coscienze, che aumenta la paura, scatena i mostri dell'aggressività, del sadismo e del masochismo." Ne "Il parroco di Arasolè" (o meglio col titolo incisivamente più esplicito de "Il dio petrolio" con cui fu pubblicato inizialmente nel 1986) il prete trasferito nella parrocchia di Sarroch vede lo scempio prodotto dalla petrolchimica in un luogo che Masala aveva visto per la prima volta a sette anni ("era un luogo meraviglioso") e anche dall'osservazione dello sconvolgimento di quella realtà, esploderà la sua crisi individuale.

Nel documentario, veramente appassionante, di Gallus, poi, una parte è dedicata agli anni dell'impegno teatrale di Francesco Masala con la "Cooperativa Teatro di Sardegna". I suoi compagni di lavoro dell'epoca evocano i giorni in cui con la scelta ideologica e pratica, sicuramente di ispirazione brechtiana, sul palcoscenico si sentiva la necessità di cambiare la società. Fu un momento esaltante della cultura sarda, troppo poco ricordato, troppo velocemente svanito, ma fondamentale per chi si dedicherà, negli anni successivi, a questa arte. Le parole di drammaturgia teatrale di Masala impressionano nella loro cruda ironia, nel sapere dosare i riferimenti alle tradizioni autoctone con l'ideologia di ribellione alle imposizioni linguistiche e culturali. Tra gli altri, la riduzione teatrale di "Quelli dalle labbra bianche" o "Carrasegare" (scritto insieme a Gianfranco Mazzoni), rimangono testimonianze di un modo di scrittura drammaturgica ancora oggi vivace e tesa a un rapporto rinnovato tra interpreti, attori e pubblico. Si poteva, così, leggere nel "Quaderno di scena" di "Carrasegare": "In conclusione, uno spettacolo che ci soddisfa anche per il metodo di lavoro: uno scambio proficuo tra un collettivo, il regista e lo scrittore. Un altro passo in avanti per instaurare un rapporto nuovo tra il testo e il gruppo che lo rappresenta, perché lo spettacolo sia veramente un continuo stimolo di dibattito con il pubblico a cui ci vogliamo rivolgere."

Francesco MasalaIn "Vinti e non convinti", poi, viene affrontato il problema della lingua sarda per Masala, il quale afferma in una intervista di "non amare l'italiano", lui che per quaranta anni aveva insegnato nelle scuole superiori letteratura. Evidentemente l'italiano era sentito come un altro elemento di invasione e sottomissione. In questo senso, l'aneddotto raccontato nel documentario, risalente alla prima esperienza nella scuola elementare, è esemplare. Masala ricorda un maestro, il quale obbligava i suoi piccoli studenti a non parlare mai in sardo, ma nella lingua "della patria" e, se questo non accadeva, utilizzava una bacchetta per punirli severamente. Così, dice lo scrittore, da "bambini vivaci intelligenti ci trasformammo in tristi e tonti."
Marco Gallus è riuscito, insomma, in un'impresa non facile, nel genere del documentario biografico: per mezzo di un montaggio ben realizzato, che dosa adeguatamente le parole, le immagini di repertorio di Masala con testimonianze, riprese di paesaggi e utilizzo di brani da altri film tratti da opere dello scrittore di Nughedu, evita la noia, la retorica, il compitino fatto su commissione e arriva a un livello che va oltre il pur notevole valore pedagogico, firma un film di qualità, ma anche capace di coinvolgerci profondamente.

14 maggio 2017