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Ricordo di Bertrand Tavernier

Bertrand Tavernier

di Marcello Atzeni

Chissà se le cose capitano a chi osa o se capitano per caso. Nel ferragosto del 1996, Fulvio e Brunello Trogu, proprietari di un ristorante a Parigi, invitano a casa loro  a Dolianova, uno dei loro migliori clienti, che poi è anche uno dei loro migliori amici. E’ un invito formale. Nessuno lo deve, dovrebbe saperlo. Ma così non fu.

Bertrand TavernierUna sciroccata, intesa come folata di vento in ebollizione, sparse la voce: a casa dei Trogu ci sono Bertrand Tavernier e Marie, sua giovane e graziosa compagna, di origini italiane.  A Cagliari succede che, per questa o quella rassegna, arrivino nomi importanti della filmografia mondiale. Ma a Dolianova non capita spesso e visto  che Tavernier è un monumento di celluloide , meglio che lo sappiano tutti. O quasi.
Una notte d’estate, a due ora pro nobis dalla fantastica chiesa di San Pantaleo, viene sistemato uno schermo.
Viene proiettato “Una domenica in campagna”, commedia pregevole del 1984. Se ne “accorsero” anche a Cannes.
Dopo lo spettacolo, il regista francese si ferma per rilasciare autografi e farsi fotografare. E’ un signore di mezza età. Ha esattamente 55 anni, indossa una sahariana che mitiga la sua, non comunque debordante, pansè .

Bertrand Tavernier e Philippe NoiretHa anche un copricapo di quasi identico colore. Ma sì, sembra di vedere Philippe Noiret ne “Il postino”, dove intrepreta Pablo Neruda. E anche qui il caso va a farsi benedire.
Magari a San Pantaleo.
Noiret è stato per Tavernier, quello che Mastroianni fu per Fellini, De Niro per Scorsese, Depp per Burton. La chiacchierata col cineasta transalpino fu possibile anche per la disponibilità di Marie, pronta a fare da interprete e a tradurre le domande di “un trentenne disperato, se non del tutto giusto, quasi niente sbagliato”.
Perché un regista “s’innamora” di un attore? Ha bisogno di un alter ego che lo rappresenti sullo schermo?
Philippe Noiret è stato il mio personaggio autobiografico, anzi di più: è stato il mio grande fratello. Era molto facile per me scrivere delle cose che sentivo e ancora più facile trasmetterle agli altri tramite lui.”
Monsieur Tavernier spiegò che “il cinema diventa poesia, quando non cerca di esserlo. Bunuel, Ford, De Sica, Rossellini e tutti i grandi registi non cercavano la poesia, ma la verità. E molti cineasti , sovente, non sono poetici di proposito”.

Bertrand TavernierConfidò di amare il cinema italiano, "Immenso. Rossellini, De Sica,  Camerini, Rosi, Freda. Ma anche il filosofo napoletano Luciano De Crescenzo e l’emergente (allora) Mario Martone.”
Su Nanni Moretti, espresse giudizi lusinghieri.
Si trovò concorde con Truffaut: ”ogni buon film deve saper esprimere una concezione della vita e una del cinema”.
Tavernier, che pure era d’accordo sul mettere un freno alla violenza in pellicola, diede  parere negativo sulla reintroduzione del codice Hays, che allora in molti si auspicavano. Puntò il dito non contro Tarantino (“Pulp Fiction“), ma contro Oliver Stone: ritenne il suo  “Natural born killers”,  ben più foriero di messaggi distorti, soprattutto verso le nuove generazioni. “Sono contro la censura e invoco la responsabilità del regista”. Non digeriva Schwarzenegger.

Bertrand TavernierD’altronde, un romanticone come lui, come avrebbe potuto? Amante del bello in campagna, delle “partiture” di Guerra, Zavattini, De Sica, Rossellini, per tacere di Truffaut, De Oliveira, Fellini, Kieslowski, Michalkov
Lo scirocco di quella sera si mascherò in maestrale.
Il vento scompigliò cappelli e capelli, mugugni e sorrisi, ricordi e diversivi.
Si spensero le luci. In campo lungo, Bertrand e Marie, come Charles  Spencer Chaplin e Paulette Goddard, percorsero il viale verso casa.
Ma il finale fu veramente questo?
Chi può dirlo? E poi a chi importa?
“Se hai una montagna di neve, tienila all’ombra”.

4 luglio 2018