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Percorso

Cinquant'anni senza Guareschi

di Marcello Atzeni

Giovannino Guareschi- Buongiorno Generale Villa Santa.

- Buongiorno a lei, Marcello.

- Come sta?

- ''Non muoio neanche se mi ammazzano!''

Risi smodatamente. Trovai quella battuta bellissima:  un obbligo  alla sopravvivenza.

 

Generale, immagino che aver fatto la guerra, non sia stato proprio come  rincorrere una  pulzella.

- No, non proprio. Però devo dirle una cosa: la battuta non è mia. E’ di un  mio amico con il quale sono stato in un lager nazista, in Polonia.

Si chiamava Giovannino Guareschi.

Fui incredulo, il babbo di Peppone e Don Camillo, era stato amico di una persona che conoscevo abbastanza bene.

Giovannino Guareschi con Fernandel e CerviNel cortile interno del castello di Sanluri, il Generale (conosciuto anche come il Conte Emanuele), continuò il suo ricordo.  “Tempi difficilissimi.  In uno di quei giorni, con il nulla da mangiare, al freddo, con il prurito per la scarsa igiene, Guareschi inventò quella frase fulminante. Ci fece ridere tutti quanti e allo stesso tempo ci trasmise la sua voglia di vivere . “Non muoio neanche se mi ammazzano”, divenne il nostro mantra. Che tipo Giovannino! Il suo umorismo era dirompente. Anni dopo se ne sarebbe accorta l’Italia intera. L’emiliano polivalente, lasciò questa valle di lacrime di risate, provocate da lui,  il 22 luglio del 1968. Cinquant’anni esatti. Scrittore , giornalista, umorista e caricaturista.  

Giovannino Guareschi nel lagerI suoi libri hanno venduto oltre venti milioni di copie. E’ lo scrittore italiano più tradotto al mondo . E dai suoi libri sono stati tratti dei film che ancora oggi, a distanza di oltre sessant’anni, vengono proposti in tv in prima serata, raccogliendo ampi consensi. Rischiò anche di diventare attore. Ci provò ma senza successo. Peppone, sarebbe dovuto essere interpretato proprio da lui.  Julien Duvivier, regista del primo film, “Don Camillo”  cercò di dare il ruolo allo scrittore emiliano. Uno, due, tre… fino a ripetere per ben venti volte la stessa  scena. Ormai era palese: Giovannino non avrebbe potuto fare l’attore. Sapeva fare, benissimo, tante cose, ma quella proprio, no. Cineasta e scrittore si arresero.

Giovannino GuareschiDon Camillo? Doveva interpretarlo Gino Cervi. Ma vista l’impossibilità che Peppone avesse il volto di Guareschi, Duvivier affidò la parte  al grandissimo bolognese, mentre fece arrivare dalla Francia, Fernandel. “Don Camillo”, il primo dei film sulla diatriba infinita tra il prete e il sindaco, uscì nelle sale nel 1952. Incassò oltre un miliardo di lire. Il produttore  Rizzoli, visto l’enorme successo, decise di proseguire su quella strada dorata: le idee di Guareschi, che qualche volta collaborò alle sceneggiature delle pellicole, tiravano come treni. Guareschi inventò due personaggi nei quali potevano riconoscersi tutti nell’ Italia post bellica: il democristiano e il comunista. Negli anni cinquanta l’Italia “sgarrupata”, riprese a pedalare. Il calcio, Coppi e Bartali, Peppone e Don Camillo.

Eroi che se da una parte continuavano ad alimentare rancori mai sepolti, dall’altro davano la spinta per rimettersi in piedi. Non c’era  molta voglia di lamentarsi. Ma tutta la voglia di creare un mondo nuovo. E grande. Quello piccolo (solo sulla carta?), lo aveva già costruito Guareschi.

25 luglio 2018

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