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Percorso

La guerra parallela

Giuseppe Ghigi racconta propaganda e cinema durante il primo conflitto mondiale. Il 13 e il 14 dicembre gli ultimi appuntamenti alla sala Nanny Loy a Cagliari.

Giuseppe GhigiIl 14 dicembre prossimo si conclude, a Cagliari, nella sala "Nanni Loy", la rassegna "La guerra parallela. Il cinema e il primo conflitto mondiale", promossa dall'ERSU di Cagliari, in collaborazione con l'Università di Cagliari, Facoltà di Studi Umanistici, Dipartimento di Storia, Beni Culturali e Territorio, il Conservatorio "Giovanni Pierluigi da Palestrina".

Dall'8 novembre si sono succeduti una serie di appuntamenti con proiezioni, approfondimenti, musica dal vivo che hanno offerto agli spettatori una panoramica completa del rapporto innovativo, intenso, fondamentale, anche per la memoria storica, del primo conflitto mondiale, a cento anni dalla sua conclusione. Questa terribile guerra non è stata esclusivamente un mero fatto militare, ma, soprattutto dopo la sua conclusione, ha lasciato un mondo profondamente cambiato in tutti gli ambiti: niente, effettivamente sarà più come prima. La manifestazione ci ha aiutato a scoprire la storia, ma anche il costume, i mutamenti sociali e di classe, l'impatto dei nuovi media, tra cui il cinema deteneva una posizione predominante.

''J'accuse''L'ultimo appuntamento, assolutamente da non perdere, sempre alla sala "Nanni Loy", alle 20,30, prevede la proiezione di un film straordinario, "J'accuse" di Abel Gance, realizzato tra il 1918 e il 1919, sonorizzato dal vivo dagli allievi della classe di composizione musicale Elettroacustica del Conservatorio "Palestrina".
"La guerra parallela", ha avuto, poi, nel critico cinematografico Giuseppe Ghigi, un punto di riferimento fondamentale, non solo per la costruzione della rassegna, ma per gli interventi che il prof. Ghigi ha regalato agli spettatori in alcune giornate. Tra questi la conferenza "Donne e bambini di guerra" ha proposto materiali di fiction e documentari, manifesti, immagini pittoriche, illustrazioni giornalistiche che hanno chiarito quanto fosse importante, nel gioco della propaganda, il cosiddetto "fronte debole", le persone che la guerra la vivevano lontano dal diretto scontro bellico.

Per la prima volta la comunicazione era destinata al complesso della società, anche al target sociale più basso e soprattutto alle donne, le protagoniste del fronte interno, improvvisamente catapultate in realtà (come un certo mondo del lavoro) fino a quel momento a loro negate.
Abbiamo, perciò, discusso con Giuseppe Ghigi di tale questione, che è anche presente nel suo ultimo libro, "Oro e piombo. Il mercato della grande guerra. Pubblicità, cinema, propaganda" (edizioni Rubettino).

''Oro e piombo'' Il suo intervento ha dato spazio alle nuove forme di propaganda e comunicazione, le quali, durante il primo conflitto mondiale, intervennero pesantemente nei vari fronti interni...
"Accanto alle armi tecnologiche che venivano utilizzate per combattere al fronte, c'era un arma altrettanto importante che agiva su quello interno: la comunicazione, la quale veniva gestita in vari modi, non solo con la propaganda diretta (per esempio i manifesti, la stampa), ma anche in maniera più subdola attraverso la pubblicità. Si commercializzavano, così, dei prodotti anche totalmente estranei alla guerra, ma che venivano abbinati a un presunto senso patriottico. Nel cinema la propaganda o l'informazione agiva con quelli che oggi chiameremo "cinegiornali", i quali raccontavano, proiettati prima del film di fiction, gli accadimenti dei fronti. Questa narrazione, generalmente, mostrava una guerra "possibile", vivibile, non particolarmente cruenta: mai si vedevano morti o cadaveri. Il conflitto appariva come una tenzone tra uomo e uomo; nel fronte italiano, poi, il nemico non sembrava essere tanto l'esercito austroungarico, bensì la montagna e le difficoltà imposte agli uomini dalla natura sia sul fronte alpino sia su quello carsico. Il nemico non veniva esibito al cinema anche per ovvie ragioni tecniche, ne risultava, così, una sorta di conflitto edulcorato."

Dopo cento anni abbiamo la possibilità di vedere tantissimo girato sul primo conflitto mondiale, per gli storici questa è sicuramente una fonte determinante...
"Si tratta di un problema complicato. Infatti, per dare valore testimoniale ai materiali girati dal vero, bisognerebbe capire filologicamente di che tipo sia ciò che si ha a disposizione. Il 90% del girato dal vero al fronte è ricostruzione per ragioni tecniche, per motivi di censura, di propaganda, di controllo militare, per cui, seppure il materiale è verosimile, non lo si può considerare attendibile completamente. Lo storico deve guardare non solo a quello che si vede nella pellicola, ma a quello che questi materiali volevano mostrare, alla narrazione che si intendeva fare attraverso il cinema, altrimenti, come è successo nel passato e talvolta accade tuttora in certi documentari, si confonde l'immagine filmica con quella della realtà."

''La Grande Guerra''Quali sono i lungometraggi che meglio hanno raccontato la grande guerra?
"Citare i film che hanno segnato il nostro immaginario sulla prima guerra mondiale è un'operazione complicata, perché ogni nazione ha il suo lungometraggio specifico. In Italia, abbiamo sicuramente "La grande guerra" di Mario Monicelli, ma ogni stato ha la sua pellicola di riferimento, che dipende pure dalle epoche. Probabilmente, a livello internazionale, si potrebbe indicare "Orizzonti di gloria" di Stanley Kubrick. Quel che conta è capire come il nostro immaginario della grande guerra sia derivato da quello della fiction, da ciò proposto dal cinema, da quello che quest'ultimo ci ha mostrato e raccontato. Ci si può chiedere se tale immaginario corrisponda veramente a quel che effettivamente è stato il primo conflitto mondiale; in ogni caso, il cinema ci ha avvicinato alla tragedia immane della grande guerra."

''Orizzonti di gloria''Nel suo intervento ha sottolineato alcune conseguenze rilevanti del primo conflitto mondiale nel costume, nella società, soprattutto per quanto riguarda il mondo femminile...
"L'officina della guerra moderna attua alcune dinamiche essenziali, deve rivolgersi a tutta la società. Mentre prima i conflitti avvenivano tra piccoli nuclei di professionisti, in seguito hanno coinvolto tutta la società, spesso portando enormi cambiamenti. Durante la prima guerra mondiale, nel fronte interno, non solo si patisce la fame o si è costretti a sacrifici di ogni tipo, ma l'insieme della comunità è influenzata dalle necessità del conflitto. Le donne, ovviamente, sono quelle che, comunque, hanno subito forti fatiche e dolori: saranno vedove, saranno costrette ad andare intraprendere nuovi e vari mestieri, spesso derise dagli uomini che si chiedevano come fosse possibile che la donna svolgesse dei lavori considerati, fino a poco prima, prettamente maschili. Non è stato facile, in quel periodo, per le donne entrare nel circuito lavorativo, però, tutto questo ha prodotto uno shock non indifferente.

La guerra ha segnato, per quanto riguarda la condizione femminile, una rilevante frattura con il passato e, seppure nel dopoguerra saranno costrette a ritornare, nella maggior parte dei casi, nei loro ranghi di madri e casalinghe, quello shock fu tellurico, diede il via al potente processo dell'emancipazione femminile che caratterizza il novecento. Quest'ultimo, infatti non è stato esclusivamente un'epoca di enormi distruzioni, ma anche, grazie alle conseguenze della prima guerra mondiale, un periodo di straordinarie conquiste, un secolo di battaglie e diritti per le donne, nonché di l'affermazione dei diritti civili, delle democrazie, insomma un secolo ambivalente."

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