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Percorso

C'era una volta la sala cinematografica

"L'ultimo pizzaiolo" di Sergio Naitza ci racconta il declino dei cinema sardi. di Elisabetta Randaccio

Il Cinema Vittoria a San VitoSarà presentato in anteprima al "Sardinia Film Festival" "L'ultimo pizzaiolo", titolo ironico per il documentario firmato da Sergio Naitza, che prosegue un suo specifico discorso sul mondo del cinema. Al critico e regista interessa, infatti, l'aspetto meno "luccicante" di questo ambiente e, così, in tutti i suoi film vengono messi in evidenza elementi spesso trascurati dalla storia del cinema di tipo accademico.

In questo modo, nei suoi documentari assistiamo all'impatto su un piccolo paese della Sardegna degli anni cinquanta delle riprese di un film importante ("Per noi il cinema era 'Proibito'", 2011), alla vicenda dolorosa di una star che, per l'amore non ricambiato di un regista, si sottopone a una prova d'attrice incredibile ("L'isola di Medea", 2017), alla ricostruzione di un capolavoro complicato come "Padre padrone" dei Taviani ("Dalla quercia alla palma", 2017), alle confessioni di un attore dalla personalità controversa ("L'insolito ignoto", 2012).

"L'ultimo pizzaiolo" è, invece, il racconto di quello definito, dallo stesso Naitza, "un lento genocidio", ovvero come è potuto accadere che, nell'arco di un decennio, le sale cinematografiche commerciali siano state praticamente cancellate in Sardegna. Sicuramente, i cambiamenti tecnologici, con l'avvento del digitale, hanno influito su questo fenomeno, ma ci si può chiedere in che modo, con quale ragione sia stato possibile resettare l'impatto sociale e intellettuale che i locali cinematografici avevamo sui cittadini, i quali diventavano, entrando nelle sale, spettatori, fruitori di uno spettacolo collettivo capace, dunque, proprio per questa sua caratteristica, di attivare situazioni di crescita civile e culturale.

L’ultimo pizzaiolo: Pino BoiNon c'è stato nessun rispetto, poi, per la memoria storica e urbanistica. Cagliari, in questo senso, è un triste esempio. Tutte le sue sale sono state chiuse e/o trasformate in attività commerciali di altro tipo, come supermercati o negozi di abbigliamento. Nessuno si è preoccupato della sorte di questi luoghi che avevano superato, nel corso del tempo, crisi, guerre, cambiamenti di costume e di gusti. Anche nei paesi della Sardegna, dove il cinema era un sicuro riferimento per qualche ora di divertimento o di riflessione e dove uomini e donne, fuori dagli stereotipi e da regole antiquate, potevano incontrarsi e stare seduti vicini, il locale cinematografico è morto. Le immagini de "L'ultimo pizzaiolo", soprattutto per chi è cresciuto tra gli anni cinquanta e gli ottanta, ci presenta immagini che spezzano il cuore. Vediamo, commentate dalla splendida musica elettronica di Arnaldo Pontis, macerie di sale, come afferma Naitza, "luoghi che mostrano - anche solo attraverso uno schermo vilipeso o poltroncine divelte - le stimmate del cinema che fu... locali condannati a una sicura estinzione".

Cinema Olimpia – IglesiasCon commozione, osserviamo ciò che resta di un sogno collettivo: sale in rovina, in cui polvere e distruzione hanno assalito la platea con sedie e poltroncine sgangherate, vandalizzate, schermi ancora fissati, ma devastati, i manifesti rimasti incollati, come gli avvisi, le targhe, ma soprattutto i colossali proiettori come dinosauri pietrificati e fossilizzati nel loro momento di estinzione. Proprio a chi metteva in moto queste macchine del sogno, è dedicata l'altra parte de "L'ultimo pizzaiolo". Infatti, così come le sale, anche il mestiere di proiezionista, lavoro faticoso e delicato, non esiste più. Per il digitale basta il computer e un tecnico che dà il via a una riproduzione automatica. Naitza fa incontrare alcuni proiezionisti storici delle sale sarde: Mario Piras, operatore dell "Olimpia" di Cagliari, Luciano Cancedda del "Moderno" di Monserrato, Dante Cadoni del cinema di Villacidro e Pino Boi, il quale è stato anche distributore, proprio lui definito nel film 'l'ultimo pizzaiolo'.

Cinema Ariston – SassariDalle loro parole si ricostuisce un mondo assai particolare, ricco di aneddoti in cui si comprende come la sala fosse rappresentativa della società e dei costumi dell'epoca, oltre che un riferimento per la città e i suoi abitanti ("incontriamoci stasera davanti all''Eden'", per esempio), riflesso delle esigenze di un quartiere o unico divertimento a prezzo calmierato di un piccolo paese. I proiezionisti erano i guardiani di sogni passati attraverso lo schermo bianco; la prima proiezione di un film doveva essere perfetta e l'impegno per l'operatore era totale, oppure poteva succedere che, mentre il secondo tempo era "sistemato", si portasse in bicicletta in un altro locale cinematografico la pizza della pellicola del primo tempo! Nella piccola cabina, a volte troppo calda o troppo fredda, sicuramente sempre angusta, i proiezionisti trascorrevano parte della loro vita, attenti che niente si bruciasse, niente si rompesse.

I proiezionisti: Dante Cadoni, Mario Piras, Luciano CanceddaPoteva succedere che, con la complicità delle "maschere" (altra figura lavorativa scomparsa), appreso che gli unici spettatori dell'ultimo spettacolo dormivano, magari accellerassero la fine del film... Un mestiere, insomma, di sacrificio, di responsabilità e, per certi versi, avventuroso. "L'ultimo pizzaiolo", che si serve della fotografia di Luca Melis e del montaggio di Davide Melis, non è, però, un film nostalgico, ma pone riflessioni e interrogativi, come capita alle opere riuscite. Senza commenti inutili, attraverso le parole dei protagonisti e delle immagini emozionanti e melanconiche delle sale in rovina, ci fa pensare a come sia possibile rimuovere, drasticamente e in poco tempo, la nostra memoria e la nostra storia.

26 giugno 2019

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