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L' 'inferru' in terra

Presentato al Babel Film Festival il nuovo film del regista Daniele Atzeni. di Elisabetta Randaccio

''Le ombre del Kurdistan''Prosegue fino al 7 dicembre il "Babel Film Festival", la manifestazione- concorso che, come viene definito nel catalogo, "dà voce alle minoranze, alle loro storie, alla loro cultura, nella loro lingua. Il concorso è destinato a opere in cui testi e dialoghi sono in una lingua minoritaria, dialetto, slang o linguaggio dei segni".

L'evento sta avendo un ottimo riscontro di pubblico sia per quanto riguarda i film in concorso proiettati nella sala della Cineteca Sarda sia a "Sa Manifattura", dove si svolgono buona parte degli eventi speciali. In questi locali, inoltre, possono essere visitate due esposizioni molto interessanti. La prima è la mostra fotografica "Le ombre del Kurdistan" di Murat Yazar dove i curdi, minoranza etnico-linguistica in Turchia, sono raccontati come un popolo di "ombre", cittadini ancora emarginati e, spesso, perseguitati. L'altra esposizione "L'immagine e la memoria", invece, ci fa viaggiare nel tempo, in un itinerario che evidenzia i mutamenti tecnologici nella settima arte. Sono, infatti, raccolte attrezzature cinematografiche d'epoca messe insieme dalla Società Umanitaria-Cineteca Sarda di Cagliari in più di cinquanta anni.

Daniele AtzeniTra i film presentati fuori concorso al "Babel Film Festival" segnaliamo "Inferru" di Daniele Atzeni. Il regista, originario del Sulcis, prosegue un suo percorso artistico particolare. Come già accadeva per "I morti di Alos", il suo fortunato film del 2011, Atzeni sceglie di adattare una storia originale a materiale di repertorio, proveniente da archivi o tratto da documentari d'epoca. Diversamente, però, da "I morti di Alos", "Inferru", per quanto riguarda le immagini, non presenta nessuna scena girata 'de novo'. Attraverso un abile lavoro di montaggio, curato dallo stesso regista, lo spettatore segue un monologo recitato fuori campo in lingua sarda (ma sono presenti i sottotitoli) da Giorgio Pinna, che ci racconta la vita di un minatore in un momento delicato della sua vita: forse, ha subito un incidente sul lavoro e ora fa un bilancio della propria esistenza.

''Inferru''Le immagini si saldano perfettamente alle parole e, dunque, lo spettatore alterna tensione, commozione, riflessione senza perdere per un momento la concentrazione. L' "Inferru" è la miniera dove il narrante ha lavorato sin da giovane, in un passaggio ereditario drammatico ("mio babbo è morto in galleria. Prima di lui anche mio nonno è morto in galleria"). Atzeni accentua questo senso di fato immutabile che modella la vita del minatore. Niente sembra poter cambiare il suo destino di "servo": le crisi economiche, l'alternarsi dei padroni, le proteste, i cambiamenti e i progressi tecnici nel lavoro, tutto sembra, in uno spietato gioco circolare, ripresentarsi con spietatezza nella esistenza  del minatore, il quale ripete come non ci sia possibilità di reale riscatto. Ci si può augurare, al massimo, di rimanere in relativa buona salute, per non finire, come gli operai licenziati o mutilati, nel "muntronaxiu", una sorta di orribile bidonville, ripresa in un documentario girato negli anni sessanta, le cui scene ancora oggi ci sconvolgono.

Dunque, meglio servi che morti. Nè il boom economico, l'apparente migliore disponibilità di denaro muta il risultato finale: i magazzini pieni di oggetti da comprare e consumare, le nuove tecnologie non arginano la crisi del minerario in Sardegna. Si lotta, si occupano i pozzi, si chiedono dirigenti e capitali sicuri e, poi, ogni cosa sembra di nuovo crollare, bisogna sempre ricominciare da capo, mentre la miseria è appena dietro l'angolo. Dice la voce narrante: "Io figli non ne ho fatto", proprio per interrompere una catena di dolore. Nelle parole del narratore, mentre le immagini, anche crude, ci mostrano situazioni lavorative drammatiche, visi e corpi dove la povertà o la fatica hanno segnato la fisiognomica, si ripete anche la parola "bissu", sogno, l'unica via di fuga fantasmatica da una esistenza, a volte, insopportabile. Così come si ripete l'immagine di una scena che si potrebbe definire primaria: la ripresa della discesa nel sottosuolo della miniera, una parete nera che si alterna alla vista dalla gabbia-ascensore in cui si trovano gli operai. Un incubo nella immaginazione di chi, comunque, dice di essere nato per stare sottoterra, per quella vita oscura.

DostoevskijDaniele Atzeni cita in esergo Dostoevskij e il suo capolavoro "Memorie dal sottosuolo", l'opera in cui l'autore russo esprime il suo pessimismo estremo, sia nei confronti della società, ipocritamente positivista, sia nei confronti dell'essere umano e delle sue scelte comportamentali. Dostoevskij, ma anche vari autori e filosofi del novecento (Atzeni ha citato, commentando il film, tra gli altri, anche Marcuse, gli esistenzialisti, Paul Laforgue) sono alla base delle riflessioni del monologante. Ma se il regista ci indica un mondo quasi senza speranza, con "Inferru" ci mostra, ancora una volta, come le immagini cinematografiche sappiamo adattarsi, con un uso ben temperato del montaggio, alle storie personali, ma soprattutto al disegno dell'immaginazione e dell'inconscio profondo dell'individuo.
In qualunque forma o situazione sarà distribuito, "Inferru" è da non perdere.

5 dicembre 2019