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C'era una volta a Hollywood

di Alessio Cossu

''C'era una volta a Hollywood''Assistere a "C'era una volta a Hollywood" equivale a immergersi in un'epoca singolare segnata  da uno spartiacque tra la fine degli anni '60 e l'inizio dei '70, carico di aspettative ma allo stesso tempo declinante verso la crisi e il riflusso. E tutto ciò non vale solo per gli USA. Politicamente e culturalmente sono gli anni in cui è ancora viva l'eco della controcultura, degli eredi di Ginsberg e Kerouac, della contestazione, degli assembramenti spontanei, delle marce per i diritti civili. Anni in cui niente sembra impossibile: perfino sbarcare sulla luna!

Eppure, in questo edificio progressista compaiono anche delle crepe: la diffusione delle droghe,  la violenza suburbana, l'assassinio di leader carismatici.

''C'era una volta a Hollywood''Tarantino ricorda questi anni tratteggiandoli da un angolo visuale particolare: il mondo del cinema, quello delle Majors, quello di Hollywood, appunto. Anche nel microcosmo hollywoodiano vi è una cesura netta tra attori della vecchia guardia, rappresentati da Rick Dalton (Leonardo Di Caprio) e Cliff Booth (Brad Pitt), e da quelli della nuova generazione. Da un lato le rutilanti feste ai bordi delle piscine, con attori e registi destinati al successo, tra cui spicca Sharon Tate (Margot Robbie) e dall'altro Dalton e Booth, rispettivamente attore e stuntman in declino. Lega i due una profonda amicizia che emerge dalla vita privata; più che significativo, a tal proposito, il fatto che per tutto il corso del film non vi è alcuna sequenza in cui si veda Cliff subentrare da stuntman a Rick.

Le uniche circostanze, infatti, in cui si adombrano le qualità professionali della spalla sono quelle in cui Rick è assente: i balzi felini per guadagnare il tetto e riparare l'antenna, l'agilità nel confronto con Bruce Lee () e la forza dei bicipiti nello scontro con gli hippies.

''C'era una volta a Hollywood''"C'era una volta a Hollywood" non è tuttavia soltanto la storia di un'amicizia, ma molto di più. Si può affermare che l'ultima (in molti sperano solo in ordine di tempo) fatica di Tarantino sia un atto d'amore verso il cinema, nel senso più completo del termine. È una pellicola che dichiara tale affetto sin dall'inizio: l'incipit in bianco e nero e con formato e didascalie d'epoca che presenta Rick Dalton come stella di un western che ha originato una serie di successo (Bounty Law) ne è una prova. È il noto debito di Tarantino nei confronti dei B movie e soprattutto dei western. Ma in questo film il regista va oltre. Egli ci mostra metafilmicamente cosa avviene quando l'attore si prepara a recitare sul set, come viva la tensione, come combatta i fantasmi delle proprie insicurezze e dei propri fallimenti. Uno dei momenti topici si ha quando Rick, dopo alcune riprese ripetute più volte a causa dei suoi vuoti di memoria, rifugiatosi nella roulotte dia sfogo alla propria frustrazione con un monologo concluso davanti a uno specchio che però, e qui Tarantino vola alto, è orientato in modo tale che il suo sguardo sia rivolto direttamente verso lo spettatore.

Il regista vuole così ricordarci che ciò cui assistiamo è tutta una finzione; che lo è il film girato da Rick, ma anche quello che lui, Tarantino, ha girato. C'è in questa sequenza il gusto di dissacrare e demistificare in un attimo anche gli episodi in cui la Spannung sembra raggiungere l'apice.  

''C'era una volta a Hollywood''Insomma, abbiamo appena iniziato a immedesimarci in Rick e abbiamo fatto nostra la sua volontà di migliorare la propria performance, che improvvisamente, per quello specchio, facciamo un passo indietro riprendendo le distanze dal protagonista. Lo specchio, si sa, nel cinema non è mai casuale, è sempre rivelatore di verità nascoste, eppure stavolta demistifica ai nostri occhi, non a quelli del personaggio. Rick non riesce a smettere di bere e questo compromette le sue performances attoriali. Questo suo vizio, unito ai suoi baffi (sebbene posticci) ci ricordanoun celebre personaggio della storia americana, poi trasposto nel mondo del cinema: Doc Holliday. Questi è un dentista, ma incapace di svolgere la professione perché tormentato dai fantasmi dell'alcol, tanto da vedersi costretto a diventare un pistolero, sebbene dalla parte della legge. Sempre nella sequenza della roulotte, il montaggio è più volte spezzato, sincopato.

A conferma del fatto che il film di Tarantino è un atto d'amore verso il cinema in quanto tale, se ne ignorassimo il regista e non fossimo sul set di un western potremmo scambiare quella sequenza per il prodotto finale un autore della nouvelle vague. In altri termini, Tarantino quasi voler giocare, ludere (alla latina), prendersi gioco dello spettatore, salvo poi deluderlo, farlo uscire dall'illusione.

''C'era una volta a Hollywood''Questo confine tra il filmico e il metafilmico, tra la finzione dell'attore che recita e quella del regista che mette a nudo, è assai labile nel film, ed è con disinvolta maestria e leggerezza da par suo che viene varcato da Tarantino.
Anche il modo in cui i vari episodi sono legati tra loro contribuisce a questa sensazione: la sequenza dello scontro tra lo stuntman Cliff e Bruce Lee, che all'inizio siamo indotti a credere sia contemporaneo o successivo a quello in cui egli è sul tetto per riparare l'antenna, si  rivela in realtà un flash-back frutto dei ricordi di Cliff medesimo. Incastonata poi allo stile narrativo di tarantiniano, di colui che ha cioè stupito tutti rivoluzionando le tecniche di montaggio, c'è poi un'altra sequenza chiave, probabilmente la più  significativa: quella in cui la Tate, a passeggio a Hollywood, si imbatte nell'insegna di un cinema che per il matinee trasmette un film nel quale lei stessa sa di aver recitato.
A differenza della sequenza di Dalton con la quale fa da pendant, stavolta si tratta di un film storicamente realizzato: "Missione compiuta stop. Bacioni Mattew Helm". La regia fu di Phil Karlson e nel cast, accanto alla Tate, compariva Dean Martin; si trattava di una parodia del genere agente 007.

Spinta dalla narcisistica curiosità di passare dal ruolo di attrice a quello di spettatrice di sé stessa, la Tate si avvicina dunque al botteghino svelando la propria identità e chiedendo di vedere il film. E qui la prima cosa che sconcerta è che la sua interlocutrice non la riconosce, tanto che, non fidandosi, chiede conferma ad un proprio collaboratore il quale invece la riconosce e le accorda il permesso di assistere al film. Ma, prima che questo avvenga, la stessa addetta alla biglietteria chiede di poter scattare una foto ricordo dell'attrice. 

''C'era una volta a Hollywood''Prima dello scatto, tuttavia, viene chiesto alla Tate di posare accanto al manifesto pubblicitario all'ingresso del cinema, perché diversamente la foto potrebbe sembrare essere scattata ad una persona qualunque. In altri termini, Tarantino, indirettamente, ci sta ancora una volta dicendo che il cinema è tutta una finzione, che bastano trucco e abbigliamento studiati ad arte per non essere nemmeno riconoscibili; che al cinema è lecito fingere ogni cosa, e che, quindi, anche le critiche che gli vengono mosse per le sequenze pulp della sua filmografia sono infondate. A conferma della centralità del tema della frizione e della riconoscibilità, quando Rick parla col regista per un nuovo lavoro, alle obiezioni dell'attore circa il rischio che i suoi fan possano non riconoscerlo, il regista risponde che è proprio quel che vuole!Mentre Rick è dunque impegnato nelle riprese nei panni di un malvagio baffuto, Cliff incontra una giovanissima hippy che gli chiede un passaggio in auto fino alla comune nella quale risiede insieme agli amici.

La comunità hippy vive in quel che rimane di un altro villaggio, lo Spahn's movie ranch, un tempo gloriosa location per i western. Qui tutto sembra inizare per il verso giusto, tanto che la ragazza vuole che tutti i compagni la vedano rientrare con il fascinoso sconosciuto. Fin quando Cliff non decide di andare a trovare un vecchio amico che, inspiegabilmente, vive nella comune.

''C'era una volta a Hollywood''Prima che ne sorga una colluttazione che sancisce la incompatibilità tra le due generazioni, la ragazza pronuncia indispettita una frase che ci riporta al tema della finzione e della riconoscibilità: "Non è vero che il tuo amico è cieco: sei tu a non vederci!". Sul villaggio western, di fatto decaduto dal suo status, si allungano le ombre della violenza giovanile. È infatti proprio da qui che nell'ultima parte del film una missione omicida si muoverà contro il mondo degli attori vip rei di essersi arricchiti insegnando a praticare la violenza e a commettere omicidi. Sempre per quanto riguarda il rapporto tra realtà e finzione va sottolineata la frase rivolta a Cliff dalla ragazza hippy prima che i due giungano alla comune, secondo la quale gli stuntman sono migliori degli attori in quanto i primi, a differenza dei secondi, non fingono, e soprattutto, mentre gli attori fingono di morire, ci sono altri che lo fanno sul serio, in Vietnam...

Nell'intero film si tratta delle parole dal peso politico più evidente e colpiscono lo spettatore perché non sono pronunciate sul set dai protagonisti, nè da qualche attempato regista o da qualche acuta segretaria di edizione, bensì da una semplicissima ragazza che fa l'autostop. Nello specifico, in quel contesto, in quell'atmosfera in cui la spensieratezza e la rilassatezza della conversazione potrebbero preludere ad altro, le parole della hippy, anche perché prive di replica da parte di Cliff, sono un brusco risveglio, una secchiata gelata sul volto dello spettatore serenamente immerso nella visione.

''C'era una volta a Hollywood''Altri topoi tarantiniani sono meritevoli di sottolineatura prima di analizzare la conclusione del film: le splendide colonne sonore e il ritorno costante dell'automobile come luogo del set. Tra l'altro quest'ultimo aspetto non poteva mancare proprio nella metropoli che ha fatto dell'uso dell'automobile il proprio biglietto da visita più di altre città degli States, se è vero architetti e urbanisti coniarono il termine "losangelizzazione/losangelizzare" proprio in riferimento alla crescita policentrica del tessuto edilizio e alla conseguente imprescindibile necessità di avvalersi dell'autovettura in una città che costringe i suoi abitanti a spostarsi dai luoghi di residenza verso le zone lavorative non servite dai mezzi pubblici.
Notevole anche la fotografia, che, ad esempio, tra le altre cose mette a nudo - è proprio il caso di dire - le immancabili cicatrici dello stuntman Cliff senza per questo dover morbosamente indugiare con primissimi piani sul corpo dell'attore.

Per quanto riguarda il montaggio, vi è una sequenza significativa che rivela ancora una volta l'intento del regista di sottolineare anche solo per immagini quanto il cinema sia finzione e quanto esso possa mettere in scena ogni cosa. Mentre Rick è già sul set del villaggio western  per girare alcune scene, con un'unica e suggestiva inquadratura dall'alto ottenuta con un dolly, si vede l'arrivo di un uomo a cavallo; poco prima che questi ne smonti, il dolly si abbassa fino al livello del suolo per riprendere i suoi stivali che entrano in un saloon fino a quando non incrociano le scarpe col tacco di una donna (che non viene inquadrata se non per tale dettaglio) la quale viceversa esce dal locale in direzione opposta.

''C'era una volta a Hollywood''Ebbene, questa sequenza (senza stacchi!) che inquadra la sconosciuta è notevole perché Tarantino con essa innanzitutto ci spiazza (una donna non esce da sola da un saloon!) E poi ci induce a pensare che in realtà non si tratti di un ipotetica attrice che sta recitando sul set, quanto piuttosto di una figura femminile che sul set collabora. La sequenza che inizia come la ripresa di un film western si conclude con un'inquadratura che spezza questo incantesimo del western. Qui Tarantino giganteggia rivaleggiando coi maestri del piano sequenza suggerendoci ancora una volta che, al cinema, la finzione può sfumare in un istante, perfino senza che gli attori parlino o vengano mostrati in volto. Tornando all'assunto di base secondo cui il film è un omaggio al cinema in quanto tale, vediamo quali film vengono direttamente o indirettamente citati. Alcuni lo sono infatti più palesemente, come nel caso de "La grande fuga". Si tratta di un vero e proprio cameo:viene addirittura riproposta una breve sequenza nella quale Di Caprio compare al posto di Steve McQueen.

Dalton confessa infatti di aver accarezzato l'idea di poter essere lui a recitare nei panni del capitano Hilts. Altre opere sono citate più velatamente, come quando, ad esempio, viene per pochi secondi inquadrata una statuetta che presenta le fattezze di quella che da corpo a "Il mistero del falco", capolavoro noir di J. Houston.

''C'era una volta a Hollywood''C'è poi una nutrita serie di episodi che rimandano a film dello stesso Tarantino: l'insistenza sulle inquadrature riservate ai piedi nudi (Jackie Brown, Pulp Fiction), il ralenti che mostra l'arrivo in aeroporto di Rick e della compagna italiana (ancora Jackie Brown), l'uso del lanciafiamme (Bastardi senza gloria). Venendo alla conclusione del film, sulla scia del principio secondo cui il cinema è finzione per eccellenza, il credo tarantiniano viene portato fino alle estreme conseguenze e, come già accaduto per il finale di Bastardi senza gloria, anche qui il regista modifica il dato storico (da cui pure aveva preso le mosse) assicurando ai due protagonisti la riscossa finale contro la gang degli hippy votati all'omicidio. Si tratta dunque di un finale in un certo senso a sorpresa, anche se le simpatie dell'autore nei confronti dei protagonisti potevano farlo presagire.

È in quei dieci minuti finali che Tarantino decide inoltre di concentrare le tinte più pulp del suo affresco hollywoodiano lanciando contemporaneamente un implicito messaggio di condanna agli autori dell'aggressione alla villa Polanski, rei di avere fatto perdere a quel mondo un'innocenza altrimenti ritenuta imperitura.

16 aprile 2020