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"La ragazza del lago" di Andrea Molaioli

La trama si svolge su un doppio piano narrativo: l’inchiesta vera e propria, che alla fine condurrà Sanzio alla soluzione (e alla scoperta di un secondo, mai emerso, omicidio); la vita privata del commissario, in crisi come padre e come marito (la moglie è gravemente malata e non riconosce più né lui né la figlia), la cui angosciosa situazione è segnalata da una dermatite anomala che lo tormenta.
La critica e il pubblico hanno accolto con grande favore questa pellicola, presentata all’ultimo festival di Venezia, nella sezione Settimana della critica (e non pochi hanno recriminato sulla scelta di non inserirla nella competizione ufficiale): in effetti, tra i film italiani degli ultimi anni, il film si distingue per la forza della storia, la bellezza delle immagini, la straordinaria prova corale degli attori (oltre a Servillo, l’ottimo Gifuni, la Golino e la Bonaiuto, che, in piccole parti, portano al film un contributo essenziale), insomma un vero prodotto d’autore, che va ben oltre i ridotti confini del cinema d’essai e rappresenta la vera faccia nuova della nostra cinematografia. In questo quadro, propongo ai lettori di Cinemecum un livello di lettura ed analisi del film, in linea con il titolo della rubrica, Cinema e delitti: la storia infatti si concentra sull’indagine del commissario, offrendoci un modello quasi ideale di investigatore nostrano.

cinemecum.la.ragazza.del.lagoPer questo, come scritto in apertura di questo pezzo, un sottotitolo efficace per questo film sarebbe proprio “Elogio dell’investigatore”: Servillo ci regala un personaggio straordinario, perché tutto il suo metodo di indagine si concentra sulle persone, sui loro desideri e sui loro dolori, e in questo modo mette a fuoco, con inesorabile precisione, il contesto e la genesi del delitto, con la scoperta progressiva delle ragioni del delitto (anzi, come detto, dei delitti).
Colpisce questa figura di investigatore (che, nei film americani, si chiama detective, proprio per la capacità di analisi del crimine): l’informazione ci tempesta di cronache di indagini nelle quali prevale, in via quasi esclusiva, l’aspetto tecnico e scientifico, dal DNA alla rilevazione delle tracce sulla scena del crimine, con immagini di investigatori-scienziati vestiti da astronauti che passano ore a cercare gli indizi di dimensioni anche microscopiche (una goccia, un pelo, un frammento), e che, alla fine, indicano con certezza il nome dell’assassino: se questa risposta scientifica non arriva, l’inchiesta si chiude mestamente, il delitto resta impunito, salvo poi riaprirsi, a distanza di anni, per qualche traccia di saliva che viene ritrovata su reperti dimenticati.

 cinemecum.la.ragazza.del.lago1 La supremazia e l’importanza dell’indagine scientifica è fuor di dubbio: la scienza al servizio della giustizia ha aperto scenari di indagine e di approfondimento impensabili solo pochi anni fa, offrendo elementi fortissimi di valutazione per la soluzione di gravissimi delitti.
Ma, come ci ricorda questo film, il centro dell’indagine è sempre l’uomo che investiga ed analizza, approfondisce, riflette, ipotizza e poi verifica: insomma, l’indagine è sì scienza esatta ma soprattutto scienza umana, nell’accezione filosofica e positiva di questo termine.
L’indagine è quindi il trionfo della ragione, il banco di prova della razionalità, la palestra dell’analisi, il regno della sintesi: tutto quello che il Commissario Sanzio sa fare e che sperimenta sul campo, per la durata della sua inchiesta.
Infatti, la trama del giallo, pur dipanandosi su ritmi lenti e metodici, priva come è di qualunque aspetto truculento e sensazionalistico, ci avvince e ci attrae, sino alla sua soluzione: perché ci affascina lo spettacolo di quella mente che crea, costruisce, verifica, controlla ed, infine, conclude.
Ci piace, insomma, l’indagine che un uomo fa su altri uomini, nella quale la domanda che guida l’azione del detective non è tanto “come?” ma “perché?”, in quanto Sanzio sa che la radice dei comportamenti è proprio nelle sue cause: in questo modo, non ha bisogno di indagini tecniche, gli basta la pista scoperta dalla sua mente investigatrice.


cinemecum.la.ragazza.del.lago2 Sanzio è un grande: chiede scusa a un sospettato, ingiustamente fermato, e non si accontenta di una semplice confessione dell’assassino, perché vuol capire la ragione profonda dell’omicidio (ed è così che scopre il secondo assassinio).
Sono due le frasi che scolpiscono la sua figura: di fronte al cadavere della ragazza, osservandone la posizione, conclude “qua ci sono di mezzo i sentimenti” (intuizione che si rivelerà felice ed esatta); alla figlia che lo contesta e che gli chiede “non pensi mai che potresti sbagliare?”, risponde “ ci penso sempre”, con una smorfia amara che tradisce la sofferenza interiore di tanto lavoro di analisi.
Si, perché questo lavoro non è solo freddo ragionamento, non è una macchina che elabora dei dati: è un uomo che, per risolvere il caso, “entra” nella mente altrui: e questa operazione non è affatto indolore.
Il film ci propone un modello di investigatore che non è scomparso ma che è decisamente sopraffatto da un modello investigativo più “industriale”, poco disposto ad attendere i tempi lunghi di questa investigazione “lenta”.
Ma non confondiamo l’efficienza con la velocità: il film ci ricorda che, in materia di giustizia, la riflessione e l’analisi non sono tempo perso ma tempo guadagnato e che la ricerca del colpevole non obbedisce ad altro che alle regole eterne della logica e del rispetto umano.