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Letteratura sarda - C. Sulis

Cinema e letteratura

di Chiara Sulis

 Il rapporto tra cinema e letteratura è considerato da sempre come uno dei più rilevanti per la comprensione del nuovo mezzo di espressione, anche se spesso le due forme di linguaggio vengono comparate in maniera impropria: da un lato si restringe il campo dell’analisi della letteratura ai generi della poesia e del romanzo, dall’ altro invece, il cinema viene considerato globalmente, come divulgazione di informazioni e espressioni tramite proiezione di immagini in movimento. Proprio per questo motivo il cinema ha dovuto lottare per imporsi nel panorama artistico-culturale e per superare l’iniziale paragone riduttivo, ma inevitabile con la letteratura.
Il cinema dunque comincia a cercare una propria linea di narratività e la trova nel genio di Griffith, che per primo riesce a far prevalere il cinema prosastico su quello poetico.
Con The birth of the nation (1915) e Intolerance (1916) possiamo affermare che il cinema ha raggiunto un linguaggio e una struttura narrativi, lo stesso Griffith ne era consapevole: «Dickens scriveva allo stesso modo, con il mio procedimento: questo è un racconto per immagini, e c’è solo questa differenza».
Griffith influenzò alcune elaborazioni teoriche della scuola sovietica, e in particolar modo il lavoro di Eizenstejn e quello di Pudovkin, di cui si parlerà in seguito.
Lo stesso Ejzenstein spiegherà in Dickens, Griffith e noi il rapporto che intercorre tra l’opera letteraria di Dickens e quella cinematografica di Griffith (nella foto).

 Il «narrare» cinematografico si sta facendo strada, ma è ancora forte e diffusa l’idea del cinema come semplice registrazione di immagini e suoni.
Prima di proseguire con i cenni storici occorre approfondire il rapporto tra narratività cinematografica e narratività letteraria per comprendere meglio analogie e differenze tra le due forme di comunicazione.
La letteratura ha sempre avuto un primato rispetto al cinema, poiché veniva identificata come la cultura, cioè la miglior forma di rappresentazione della coscienza di sé dell’uomo e della società, questione complessa per il cinema che parla attraverso la combinazione di audio e video in movimento. In più si aggiunge che il cinema possiede una caratteristica unica, che è insieme pregio e difetto, cioè quella di «rendere tutto credibile, in quanto conferisce ad ogni oggetto lo stesso carattere di realtà», autolimitandosi nella capacità espressiva.
Lino Miccichè parla di quattro tipi diversi di rapporto che intercorre tra cinema e letteratura:
1. Rapporto indiretto: influenza culturale della letteratura sul cinema e viceversa.
2. Rapporto indiretto: relazione tra film tratti da opere letterarie ed opere letterarie tratte da film.
3. Rapporto di pre-testualità: la sceneggiatura come ipotesi «scritta» del film.
4. Rapporto di aggregazione: le didascalie del cinema muto e i dialoghi del cinema sonoro come componente specificatamente «letteraria del film».
Al di sopra di queste problematiche Miccichè tratta delle differenze e somiglianze semiologiche del linguaggio scritto-parlato e del linguaggio cinematografico e delle differenze e somiglianze storiche degli usi finora utilizzati a livello di pratiche simboliche.
 
Dal punto di vista semiologico il cinema viene classificato come linguaggio privo di codice, doppiamente motivato (nel senso denotato e nel senso connotato), doppiamente espressivo (nella analogia con il profilmico che denota e nella polisemia contestuale che connota) e continuo (il numero delle unità significanti è infinito).
Da ciò ne consegue che nel linguaggio filmico ogni «grammatica» è una «retorica» e ogni «sintassi» è una «stilistica»; la denotazione è sempre espressiva, cioè interamente riassorbita nella connotazione; il linguaggio è fondamentalmente mimetico, le unità significanti del cinema sono illimitate e non vi è «kinéma» che non affermi qualcosa; il linguaggio è sempre creativo e costituito da un’infinita serie di neologismi; infine è unico e in esso la denotazione ha sempre la forma della connotazione.
Dal punto di vista storico occorre notare che il cinema alla nascita si inseriva in un sistema di espressione del racconto già consolidato, cioè quello della letteratura e, a parte qualche eccezione che si rifaceva al teatro, la maggior parte delle opere di quel periodo cercarono di narrare tramite schemi ispirati alla letteratura; e questo fu positivo, perché il sistema letterario così differente da quello cinematografico, ha imposto a quest’ultimo una maggiore articolazione e la creazione di un codice tutto nuovo, fatto che il teatro, probabilmente non avrebbe indotto, creando un appiattimento tra i due tipi di spettacolo.
Il racconto cinematografico agli esordi soffre inoltre dell’influenza della crisi del romanzo e dell’intera nozione di narrativa letteraria, fenomeno che ha rallentato ulteriormente l’affermazione della narratività nel cinema.
La situazione muta notevolmente con l’avvento del cinema industriale e il rinvigorirsi dell’industria cinematografica americana: essa, infatti, ambisce alla creazione di stereotipi e generi che possano facilitare la produzione, e trarre spunto da opere letterarie, sfruttandone la già consolidata notorietà, garantiva maggiore successo e credibilità.
 
L’industria americana in questo periodo sfrutta  abbondantemente la letteratura per le proprie produzioni, dando più spesso importanza alla quantità che alla qualità, tanto da degradare il rapporto cinema e letteratura e farlo disdegnare dagli ambienti intellettuali.
Nell’occidente europeo, abbiamo ampia diffusione di film «tratti da», ma mentre in Italia i casi sono sporadici e non sempre di successo, in Francia abbiamo forti influenze ispirate alla tradizione del romanzo ottocentesco. Ma il cinema in cui si sviluppa con più facilità l’interesse per il confronto con la narratività letteraria è quello sovietico, proprio perché esso non conosce un’industria privata e spregiudicata come quella americana; i giovani Eisenstein, Kulesciov, Pudovkin e Vertov uniscono le forze alla ricerca di un racconto cinematografico autonomo e indipendente da qualsiasi altra corrente narrativa, fino a quando potere politico e attività culturale non vengono sottomessi alla gestione burocratica  che ha frenato questi sforzi e lasciato spazio anche nel cinema sovietico a film «tratti da».

 Con l’avvento del neorealismo il rapporto tra cinema e letteratura viene nuovamente ostacolato: fu infatti il neorealista Cesare Zavattini, e non fu il solo, a avanzare la «proposta di uno specifico che respinge la narratività» ossessionato com’era «dall’idea del passaggio dal film narrativo al film di autocritica che è per sua natura anti-soggetto». Ci furono poi opere quali Paisà (1946) di R. Rossellini e La terra trema (1948) che diedero nuova forma alla nozioni di personaggio, ambiente, «storia» per proporre un nuovo «immaginario cinematografico» che getterà le basi ad una produzione più «mediatica» e moderna. Nel frattempo una nuova generazione di cineasti francesi (la cosiddetta «nouvelle vague») scalpita per un «nuovo cinema» caratterizzato da il rifiuto dell’intreccio, del personaggio a tutto tondo, della tessitura psicologica, del conflitto drammatico; tale movimento è a tal punto rivoluzionario da costringere anche l’industria americana ad un’opera di autorevisionismo, fino al 1968 quando la corrente del mutamento cinematografico subisce notevoli rallentamenti.
 
Dal dopoguerra in poi abbiamo quindi una sorta di inversione di tendenza caratterizzata da un confronto tra letteratura e cinema più ad armi pari, fino a giungere al fenomeno del libro «tratto da» un film, che non ha comunque riscosso grande successo.
Il rapporto cinema e letteratura resta comunque controverso perché mette a confronto due tipologie di comunicazione molto complesse e tra di loro diverse: secondo Lukàcs questa differenza viene sottolineata dal diverso «immaginario» letterario e cinematografico. Nell’Estetica egli rileva «l’affinità profonda, e ricca di conseguenze, tra vita quotidiana e cinema», il fatto che quella cinematografica è l’unica arte in cui visibilità e decorso reale del tempo sono connessi categorialmente per cui la molteplicità del quotidiano vi appare quasi specularmente riprodotta, ma allo stesso tempo «il cinema può dare realtà ed evidenza sensibile al fantastico più sfrenato» cosicché «in esso anche la rappresentazione del fantastico non ha limiti» e per dirla con Metz, questa forza è anche la debolezza del cinema, poiché ne deriva «un’arte più robusta e più volgare, che indietreggia di rado di fronte all’espressione o all’emozione».