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Letteratura sarda - C. Sulis

Narrativita' e esperienza narrativa

di Chiara Sulis

 cinemecum.cultura.sarda«Il cinema è quell’arte che ha la narratività strettamente avvinta al corpo» (Metz).
Il concetto di narratività è legato alla capacità di narrare, che, in senso letterale
, significa esporre una vicenda o un fatto con chiarezza,  spiegare; ed è molto interessante pensare a ciò in relazione al cinema, poiché esso più di ogni altro mezzo di comunicazione ha la capacità di spiegare quel che vuole dire, dal momento che “impone” il proprio modo di narrare. Al cinema, infatti, si lascia poco spazio all’immaginazione, tutto è già stato definito, dalle fattezze dei personaggi, alla scelta dei tempi e delle ambientazioni, fatto che non accade in letteratura, dove anche la più minuziosa delle descrizioni deve sempre passare per la mostra capacità di immaginare...
L’interesse del cinema nei confronti della narratività è da far risalire alle origini del sistema cinematografico.
Inizialmente il linguaggio cinematografico che noi conosciamo non esisteva: l’inquadratura era un quadro autonomo e autosufficiente e da sola costituiva già un film; è con il passare degli anni che le inquadrature cominciano a moltiplicarsi, anche se continuano a essere autonome e a non comunicare tra loro: vengono montate, ma senza obbligo di continuità.
Il primo progetto narrativo all’interno del cinema nasce grazie alla giustapposizione di riprese singole, tramite il montaggio di più inquadrature collegate da una continuità.
Da questo momento in poi le riprese non vengono più fatte in relazione alla singola inquadratura, ma in funzione del montaggio e della storia che il film si propone di narrare.
Tra le prime opere cinematografiche che ricordiamo per il tentativo di narratività ci sono i film dei Lumiere e in particolare L’Arroseur arrosè (L’innaffiatore innaffiato, 1895) (nella foto).
Il film narra di un monello che mette un piede sul tubo per innaffiare di cui si sta servendo un giardiniere, il quale, stupito dall’arresto del flusso d’acqua, guarda imprudentemente l’apertura del tubo, per vedere se qualche oggetto non lo ostruisca. In quel momento il monello toglie il piede dal tubo e l’innaffiatore viene innaffiato! Il giardiniere segue il ragazzo che si dirige verso il bordo sinistro dell’inquadratura, lo riporta a forza al centro del campo e lo sculaccia.
In questo film abbiamo ancora la presenza di un’unica inquadratura, senza alcun montaggio, ma abbiamo già la presenza di un progetto narrativo: perché un racconto possa essere definito narrativo occorre che rispetti il principio stesso della narratività, cioè la successione e la trasformazione; e l’opera dei Lumiere risponde perfettamente a questa esigenza: da uno stato di equilibrio iniziale (il giardiniere svolge pacificamente il suo lavoro), si passa ad uno squilibrio (il monello turba la tranquillità del giardiniere), per poi tornare a uno stato di equilibrio terminale (il giardiniere riprende il proprio lavoro).
Successione e trasformazione però devono essere utilizzate secondo criterio per non andare incontro a ripetizioni o semplici imitazioni: se prendiamo come esempio due fotografie e tentiamo di renderle narrative, dobbiamo preoccuparci di metterle in un rapporto di successione e trasformazione; se però le immagini sono del tutto simili, la narratività è assente, poiché non vi è alcuna modificazione; ma esse non devono essere neanche del tutto differenti, poiché al soggetto della trasformazione deve essere assicurata una certa permanenza, altrimenti la narratività non arriva a manifestarsi.
A seguito di queste osservazioni individuiamo nel cinema due livelli narrativi:
1. il micro-racconto di ogni inquadratura che, in quanto enunciato fotogrammatico, comunica e costituisce la base sulla quale si genera il secondo livello;
2. la somma dei vari micro-racconti comunicati da ciascuna inquadratura, e messi insieme dalla procedura montaggio.
Il linguaggio cinematografico è costituito dalla mobilità dei soggetti rappresentati resa possibile dalla successione dei fotogrammi, e la mobilità dei segmenti spazio-temporali, resa possibile dalla successione delle inquadrature.
Il primo strato di narratività, che costituisce il procedimento alla base stessa del cinematografo, produce enunciati narrativi di primo livello, risultanti dall’articolazione tra fotogramma e fotogramma.
Il secondo strato, che si basa sugli enunciati del primo livello,produce enunciati narrativi di secondo livello, risultanti da quella procedura, fondata sull’articolazione tra inquadratura e inquadratura, che è il montaggio.  
Questi due strati narrativi raramente si identificano in maniera chiara e separata, ma si accompagnano l’uno all’altro lungo tutta la storia della riflessione sul cinema.
Secondo Lotman l’unione di una microcatena narrativa di differenti inquadrature in una sequenza che formi senso costituisce racconto.[…]
L’altro tipo di racconto è la trasformazione di uno stesso piano[…] La serie delle modificazioni forma,naturalmente, una narrazione. Ma ciò che a quel punto si produce non è la combinazione di una moltitudine di segni in microcatene, bensì la trasformazione in un unico e medesimo segno.
Dalla narratività intrinseca, spontanea, propria dell’alternarsi dei fotogrammi, secondo Lotman, si genera poi una meta-narratività, che definisce come l’unione di una micro-catena narrativa di differenti inquadrature in una sequenza, dovuta al montaggio e che si nutre della narratività primaria.
Dopo aver discusso sul concetto di narratività, spostiamo la nostra attenzione sulla capacità di cinema e letteratura di creare esperienza narrativa.
 cinemecum.pietro.montaniSecondo Pietro Montani (nella foto) si può definire ‘esperienza narrativa’ la capacità del soggetto narrante, che si tratti di cinema o di letteratura, di imprimerci un’esperienza, cioè qualcosa che ci modifica in quanto ha l’effetto di riorganizzare, anche in piccola parte, i criteri con cui interpretiamo il mondo; e tale esperienza avviene attraverso la capacità di narrare.
Narrare, come abbiamo già detto, significa spiegare, esporre una vicenda con chiarezza e aggiungiamo che un narrativo è una raccolta di segni che possono essere raggruppati in varie classi:
1. i segni del narrare: rappresentano l’attività del narrare, la sua origine e la sua destinazione;
2. i segni del narrato: rappresentano gli avvenimenti e le situazioni raccontate.
Occorre però ricordare che il modo di narrare della letteratura e del cinema è differente: la letteratura narra raccontando all’immaginazione e lasciando spazio alla nostra interpretazione, il cinema deve far vedere, cioè non può scegliere di non descrivere, per esempio, il volto del protagonista o come egli si veste.
Montani sostiene che la rappresentazione audiovisiva deve organizzare sul piano dell’espressione elementi che la rappresentazione verbale organizza sul piano del contenuto, seguendo la classificazione della narratologia, studio della forma e del funzionamento della narrativa, che si suddivide in narratologia del contenuto, che studia i contenuti narrativi e narratologia dell’espressione, che studia il mezzo di espressione della narrativa.
Inoltre Montani richiama la distinzione di Ejzenstejn tra «rappresentazione» e «immagine»: si possono produrre molte rappresentazioni di un oggetto, ma solo una buona immagine di esso mi restituisce sul piano dell’espressione qualcosa di fondamentale del suo contenuto.
Per cui l’immagine riesce a esplorare uno strato di senso che il linguaggio verbale presuppone, ma non può rappresentare; così l’immagine, per come la intendeva Ejzenstejn è più originaria del linguaggio. Kant chiamava questo processo «schematismo dell’immaginazione», secondo cui riconosco un cane solo se ho lo schema del cane, ma per procurarmi questo schema mi è servito il cane stesso! secondo un gioco circolare tra forma e senso.

Il piano semantico del linguaggio verbale funziona in virtù di un lavoro preliminare della nostra immaginazione che consiste in un circolo dal dato sensibile (il cane che incontro) al costrutto significante (il concetto empirico di cane).
L’immagine narrativa è quella che trasferisce sul piano dell’espressione qualcosa che riguarda la narrazione e che il testo letterario deve presupporre senza poterlo direttamente rappresentare, così, come già detto, l’immagine raggiunge uno strato di senso maggiore rispetto al linguaggio verbale, che anzi dipende da essa.
Montani conclude spiegando il concetto di «esperienza narrativa autonoma», che possiamo fare solo al cinema: l’esperienza del costituirsi di un racconto a partire dalla comprensione originaria delle cose secondo uno schematismo che le prepara a rendersi fenomeno in una configurazione narrativa possibile.; il cinema riesce a far raccontare un colore, o un suono, o addirittura una qualità fisica della materia, senza parlare poi di  tutte le risorse sconfinate che derivano dalla composizione dello spazio, dal montaggio, dai movimenti di macchina e dal nesso audiovisivo.