"Caramel" di Nadine Lebaki
di Ignazio Sanna
PRIMA DELLA VISIONE

La regista Nadine Labaki è anche una delle protagoniste (Layale) di “Caramel”, film che fin dal titolo preannuncia quel sentore di caramelloso (non necessariamente nell’accezione negativa del termine) che può essere evocato da un tramonto nel deserto come dalla complicità esibita da un gruppo di giovani donne. In realtà il caramello è un componente della ceretta, uno dei trattamenti tipici di un salone di bellezza, come quello in cui lavorano le cinque protagoniste. Il film è ambientato a Beirut, uno dei luoghi del Medio Oriente in cui la convivenza tra cristiani e musulmani è meno problematica.
DOPO LA VISIONE
Il mio sguardo non può che essere quello di un uomo non avvezzo a frequentare parrucchiere e loro clientele. D’altro canto, un gineceo starnazzante non può essere certo una novità assoluta nemmeno per un uomo che non frequenta saloni di bellezza.

Lungi da me l’idea di accettare visioni sciocche e superficiali, purtroppo sin troppo diffuse da noi, come quelle che vorrebbero non soltanto le società islamiche ma tutte quelle del Medio Oriente manifestamente inferiori alla cosiddetta civiltà occidentale. Al contrario, credo che come sardi siamo più vicini a quelle culture che alle pseudoculture di stampo macdonaldiano che alcuni vorrebbero imporre come la Cultura tout court. E forse è proprio per questo che “Caramel” mi ha deluso, finendo per restare ai miei occhi soprattutto una buona occasione mancata. Provaci ancora Nadine.
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