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Percorso

"Ultimo tango a parigi" di Bernardo Bertolucci

di Monica Aschieri


ultimo tango a Parigi. CinemecumQuando sono triste, avvilita, desolata, cerco conforto nel cinema, nelle storie d’amore raccontate in celluloide, con parole, colori suoni, descrizioni struggenti di passioni infrante, amori finiti.
Mi trovavo in queste tristi condizioni l’altra sera, girandomi e rigirandomi nel letto non riuscivo a prendere sonno, e così.. inforcate le pantofole, sono andata nella mia piccola e privata “cineteca” fatta da vecchi whs e dvd abusati. Ho dato un’occhiata veloce ai titoli, ai colori delle copertine, a ciò che mi suggerivano, sinché l’occhio non è caduto su: Ultimo tango a Parigi…
ah eccolo il colpo di grazia, eccola una storia triste almeno quanto me.

Mi domando, resta qualcosa del mito dell’Ultimo tango a Parigi? Della pellicola condannata a morte dalla magistratura italiana? Rimarranno le provocazioni di Jeanne e Paul? Suicidio, sesso, disamore, amore, rabbia, contestazione, dissacrazione, esiste ancora qualcosa che possa scandalizzare, o suscitare emozioni forti, riflessioni, in questo film? La scena contro la famiglia, ispirata dal racconto di Stindberg, avrà ancora una sua verità, una  realtà di fatto oggettiva?
 
Ultimo tango a Parigi.CinemecumNon mi interessa niente.
Voglio soltanto godermelo, voglio entrare in quel torpore che accompagna tutta la pellicola, in quella stanchezza, in quel già visto, già fatto, già stanco, così ben raccontati dal volto di Paul/Brando. Avevo tredici anni quando lessi la sceneggiatura di Ultimo tango, trenta quando lo vidi la prima volta. Non ho più smesso, l’ho visto e rivisto ogni anno, cercando sempre la stessa cosa, ponendomi sempre la stessa domanda che mi posi appena tredicenne, “ sono io Paul?”
Play, il film inizia!
Penso: è solo migliorato! Il sensazionale non c’è più, né imbarazzo, né morale, c’è la storia intima di un uomo, della sua vita disfatta, con le speranze rotte, il vuoto dentro, e poi il tornare a sentire, ad aggiustare, a riempire, così, magicamente, tra le braccia di una ragazza sconosciuta, da possedere, derubare quasi, dentro una casa vuota, patria del non esistere, del non amore, del non credo, del non essere, della non famiglia.
 
Marlon Brando.CinemecumE lì.. tra il non voluto, il non cercato, il semplicemente vissuto, senza poi, senza mai, senza perché, lì tra le pareti consunte e disadorne di un appartamento vuoto, qualcosa accade. Nasce. Esiste.
La bellezza di certe scene rarefatte del finale, mi taglia il fiato, sempre. Il Paul che si ritrova, che rispera, riama, progetta, il Paul più sicuro dentro il suo cappotto di cammello, Paul che ci prova, ci crede, e poi, impietoso, lirico e geniale, l’arretrare, l’abbandono, la fuga della giovane fanciulla, con tutte le prospettive di vita davanti: matrimonio, famiglia, figli, casa, vita!
Il cinismo drastico, distaccato e crudele della gioventù, della vita stessa, e la danza ultima folle di un uomo che riappropriatosi di nome e cognome, passato, non è più utile al mondo, e può solo, deve, quasi, farsi sparare. Andarsene . Morire.
La tristezza rimane. Ma l’aria è meno greve. Riuscirò a dormire.
“Sono io Paul?”
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